Emiliano Padovani crea effetti speciali per il cinema in Nuova Zelanda

Da Udine alla Nuova Zelanda, passando per l’Australia.
Emiliano Padovani crea effetti speciali per il cinema e ha trovato il lavoro dei suoi sogni dall’altra parte del mondo, perché in Italia il settore è limitatissimo.

Ha deciso di trasferirsi in Nuova Zelanda, la terra del Signore degli anelli, e lo studio dove lavora è proprio quello che ha realizzato il popolarissimo film.

“…Nel 2007 ho cominciato a spedire un po’ di video che avevo realizzato ed è così che ho trovato lavoro in Australia, in uno studio che realizzava film d’animazione, Animal logic. Sicuramente lì ho acquisito l’esperienza necessaria per propormi a una società come la Weta.  Sono venuto via dall’Australia 2 anni fa, quando è nata mia figlia, e in quell’occasione io e mia moglie  siamo tornati per qualche mese a Udine, prima di partire per la Nuova Zelanda…”

Emiliano crea effetti speciali per il cinema in Nuova ZelandaPresentati ai nostri lettori: chi sei, da quanto ti sei trasferito, cosa facevi prima di partire.

Ho 39 anni, sono di Udine e ho studiato all’Accademia di Brera di Milano, dove ho vissuto una decina d’anni.

Dal 2012 vivo a Wellington, in Nuova Zelanda.

Prima di lasciare l’Italia avevo cominciato a occuparmi di computer-grafica, in particolare della realizzazione di effetti speciali in digitale, e i miei primi impieghi sono stati in questo settore: ho lavorato in studi che facevano principalmente pubblicità.

Ma in uno spot pubblicitario le possibilità per esprimere il potenziale del mio lavoro sono un po’ limitate.

In Nuova Zelanda di cosa ti occupi? Hai trovato quello che cercavi?

Lavoro alla Weta, una delle società fondate da Peter Jackson, che fa effetti speciali per il cinema.

È lo studio che ha realizzato Il signore degli anelli, Lo hobbit, Avatar e io mi occupo di grafica al computer, quindi dell’aspetto digitale degli effetti speciali, che costituisce una parte sempre più corposa nei film di questo genere.

Sicuramente è un lavoro che rispecchia meglio quello per cui ho studiato e che non riuscivo a trovare in Italia. Nel nostro Paese questo settore praticamente non esiste, per due problemi principali.

In Italia un certo tipo di cinema con gli effetti speciali non si fa e, naturalmente, non essendoci un mercato, anche trovare un lavoro è stato quasi impossibile per me, se non appunto rivolgendomi al campo della pubblicità.

L’altro problema è che i pochi lavori che si trovano – oltre alla pubblicità si può fare qualcosa nell’ambito dei parchi divertimento o dell’architettura, nel realizzare i render degli interni – sono a un livello inferiore e sottopagati o comunque molto meno retribuiti rispetto a quello che c’è altrove. Anche se questo forse è un problema riscontrabile non solo nel mio settore…

Ad ogni modo, ho cominciato con la pubblicità perché quello era l’unico ambito in cui potevo cimentarmi un po’, ma sapevo che non mi sarebbe bastato.

cinema in Nuova Zelanda
Foto di StockSnap da Pixabay

Prima di trasferirti in Nuova Zelanda sei stato cinque anni in Australia. Si può dire che sia stato quello il tuo trampolino di lancio?

Nel 2007 ho cominciato a spedire un po’ di video che avevo realizzato ed è così che ho trovato lavoro in Australia, in uno studio che realizzava film d’animazione, Animal logic.

Sicuramente lì ho acquisito l’esperienza necessaria per propormi a una società come la Weta.  Sono venuto via dall’Australia 2 anni fa, quando è nata mia figlia, e in quell’occasione io e mia moglie  siamo tornati per qualche mese a Udine, prima di partire per la Nuova Zelanda, dove avevo già firmato il contratto per il mio attuale impiego.

La Nuova Zelanda è letteralmente dall’altra parte del mondo: quali sono le differenze culturali più evidenti?

La mia è ovviamente un’esperienza parziale, perché posso parlare solo di ciò che vedo a Wellington, che pur essendo la capitale della Nuova Zelanda, è una città di circa 400.000 persone, ben lontana dalla grandezza di una capitale europea.

La cosa che mi manca di più sono gli eventi culturali, è un Paese molto indietro da questo punto di vista: mancano la Storia, le attività culturali, la gente che legge libri o che si interessa di cinema è pochissima. Insomma, tutta questa fetta di cultura a cui noi in Italia siamo abituati e che riteniamo parte integrante della vita di una popolazione, di una città, qui come in Australia è molto limitata.

Per questo aspetto devo dire che Australia e Nuova Zelanda sono molto simili. Persino Sydney, che è una città con quasi cinque milioni di abitanti non offre neanche lontanamente la quantità incredibile di inaugurazioni, incontri culturali, mostre, gallerie a cui avevo accesso quando vivevo a Milano.

A Wellington un’attività culturale di questo genere è quasi inesistente. Un’altra differenza che ho riscontrato in Nuova Zelanda riguarda un aspetto più pratico: la qualità delle abitazioni è molto più bassa di quella italiana.

Moltissime case non hanno mezzi di isolamento termico o riscaldamento centralizzato ed essendo principalmente costruite in legno, per via dell’alto rischio sismico, non offrono moltissima protezione dal freddo. Persino i doppi vetri, standard dalle nostre parti, qui sono cosa rara. Considerando che il clima è simile a quello inglese è spesso difficile trovare una sistemazione accogliente.

Come vi siete integrati?

Per rispondere a questa domanda vorrei paragonare Australia e Nuova Zelanda, che in questo mi sono apparse molto diverse. Ci siamo integrati molto meglio in un anno e mezzo qui a Wellington che non in cinque anni a Sydney.

Naturalmente le due città sono molto diverse tra di loro: la metropoli in Australia e la città di medie dimensioni qui in Nuova Zelanda, di conseguenza non so se sia giusto fare un paragone…

Ad ogni modo, quello che ho visto è che, se da un lato le persone di Sydney sono aperte, gioviali e socievoli, dall’altro è difficile riuscire a instaurare dei rapporti di amicizia più solidi.

Non ho fatto fatica a conoscere nuova gente, c’è un clima “da spiaggia”, però non ricordo, per esempio, molti colleghi con cui sono andato a cena. Si finiva a fare feste tra italiani o tra stranieri.

Invece, a Wellington, forse perché più piccola, la gente è più alla mano, anche se meno sorridente, e sia io che mia moglie siamo riusciti a instaurare rapporti sociali più profondi e duraturi.

Emiliano crea effetti speciali per il cinema in Nuova Zelanda

Com’è stato il trasferimento? Le pratiche burocratiche e la ricerca di un alloggio sono state difficili?

La casa l’ho trovata in circa un mese e le difficoltà maggiori hanno riguardato soprattutto quelle caratteristiche tecniche di cui parlavo prima.

Nell’attesa abbiamo vissuto in albergo, a spese dell’azienda, che è stata molto efficiente in tutta l’organizzazione del trasferimento. Alla fine abbiamo trovato una casa in collina vicino alla costa e non distante dal centro di Wellington.

È una casa molto grande, di 110 mq e dubito che, a parità di prezzo, avrei mai trovato una sistemazione simile a Milano. Per quanto riguarda il visto, non ne avevamo bisogno perché abbiamo la cittadinanza Australiana, che ti permette di lavorare in NZ senza problemi.

Com’è la tua giornata tipo?

In questo periodo la mia vita è scandita dai ritmi di mia figlia, che non ha ancora 2 anni. Nella mia azienda i ritmi di lavoro sono intensi, specialmente nei periodi di chiusura di un film.

Il mio contratto prevede 10 ore di lavoro al giorno dalle 9 alle 7, cinque giorni a settimana, ma se ci sono periodi un po’ più intensi devo lavorare anche nel weekend.

L’ambiente di lavoro è piacevole: abbiamo cucine, cibo gratis (frutta, verdura, caffè) e di tanto in tanto passano una parrucchiera e un massaggiatore che offrono i loro servizi direttamente in azienda.

Si è sentita anche in Nuova Zelanda la crisi economica di questi anni?

Direi di sì, questa non è una nazione molto ricca, i redditi non sono particolarmente alti e negli ultimi anni la situazione non è certo migliorata.

Ma il mio ambito lavorativo è più protetto rispetto ad altri: noi lavoriamo per il mercato di Hollywood o comunque con case di produzione soprattutto americane, che hanno budget decisamente più alti. Insomma, viaggiamo a una velocità diversa rispetto alle realtà lavorative circostanti.

La crisi nel mio settore non si è sentita particolarmente, forse anche perché, come ho letto da qualche parte, le industrie cinematografiche nei periodi di crisi hanno quasi una tendenza a impennarsi, sarà…

Il tuo contratto di lavoro che garanzie offre?

Qui alla Weta si lavora a partita Iva, fatturando di settimana in settimana. Sembra una follia, invece nel mio campo è normale perché c’è una grande mobilità.

Nessuno ha l’ansia del posto fisso, anzi è più facile e proficuo spostarsi spesso da uno studio all’altro piuttosto che formare staff fissi che durano 30 anni.

Ci sono tante persone che vengono qui per lavorare 6 mesi guadagnando bene e ripartire; infatti siamo quasi tutti stranieri. In pratica, è come lavorare da libero professionista con la differenza che l’azienda ti garantisce un orario minimo di 50 ore settimanali per un anno, ovviamente rinnovabile.

Questo sistema, inoltre, fa sì che ogni ora di lavoro venga effettivamente pagata. Il mio contratto, per esempio, prevede una retribuzione oraria, inclusi gli straordinari: quando, per esempio, mi fermo 10 ore in più in una settimana il mio salario sale notevolmente.

Se poi superassi le 70 ore a settimana, ogni ora extra varrebbe ancora di più. Insomma, più si fatica più la retribuzione oraria aumenta.

In un ambiente così dinamico, quindi, dove la mobilità è addirittura un vantaggio, non c’è la paura di restare senza lavoro?

La paura di restare senza lavoro c’è sempre, specialmente dopo essere andato così lontano da casa tanto per ottenerlo, ma in generale mi sembra che questa possibilità sia vissuta in modo diverso.

Qui, come in Australia, se un’attività ti va male e sei costretto a ricominciare da capo oppure se decidi di voltare pagina volontariamente è più semplice. Innanzitutto, rispetto all’Italia, è diversa la mentalità: se dopo vent’anni di lavoro in banca, molli tutto e apri una fabbrica di deltaplani, sei stimato e ben visto da tutti, nessuno ti crede matto o pensa che tu abbia fatto un gesto disperato.

Questo approccio alla vita e al lavoro apre a possibilità di scelta molto più ampie e non ti dà mai l’impressione di esserti già giocato le tue carte. La filosofia è che si può sempre ricominciare.

Emiliano crea effetti speciali per il cinema in Nuova ZelandaIn Italia le persone sono più attaccate al posto fisso, forse però è anche perché si fa più fatica a “ricominciare”. Lì oltre alla mentalità è più semplice anche la burocrazia?

Certo, la burocrazia è decisamente più snella.

Ho comprato una macchina in 10 minuti, registrandomi su internet alla motorizzazione.

E la partita Iva non l’ho mai aperta, perché qui se vendi servizi questa pratica è associata al tuo IRD number, l’equivalente del nostro codice fiscale.

Torneresti in Italia?

Nonostante tutto, sì, il nostro resta un Paese meraviglioso e un domani mi piacerebbe poter tornare.

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Di Valeria Grandi

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