eccesso di profilo nel mondo del lavoro italiano
Foto di Gerd Altmann da Pixabay

IL PROBLEMA DELL’ ECCESSO DI PROFILO NEL MONDO DEL LAVORO ITALIANO

Esiste ancora il “merito” della formazione in Italia?

Osservando gli effetti della crisi che l’Italia sta attraversando, non possiamo non notare la moltitudine di persone che, dopo avere studiato con profitto ed avere lavorato duramente, sono oggi  smarrite ed improvvisamente incerte in un Paese che sembra non riconoscere più il merito e la preparazione.

Molti italiani sono oggi in grado di offrire una grande professionalità, frutto di anni di studio e anni di esperienza lavorativa, ma che putroppo entra a fatica in un mondo sempre più globalizzato e accomunato forse solo dal triste miraggio del reddito minimo.

Oggi, chi ha opportunità e talento scappa all’estero in cerca di miglior fortuna mentre chi non ha modo di avanzare o riscattarsi, è destinato ad accontentarsi delle poche briciole che la sua prestazione d’opera, per quanto qualificata, è in grado di raccogliere sottomttendosi a mansioni dequalificanti in un processo inesorabile di recesso.

Mentre la politica urla stupidamente che bisogna progredire ed investire, cieca ed ottusa innanzi alle difficoltà che ci attanagliano nel quotidiano, sono milioni oramai gli italiani costretti a migrare per poter sopravvivere e tornare a sognare un futuro.

Eppure abbiamo studiato e lavorato duramente. Tutti.

Dalle superiori, dove la sfida era quella di diplomarsi con il voto più alto, fino alla fine del percorso universitario con il sospirato 110, la preparazione è un percorso incessante che non smette mai di accompagnarci.

Dalla massima di Socrate, io so di non sapere, pare che le nozioni nel nostro bagaglio non siano mai bastanti ad assolvere le tante problematiche, di natura sempre più multitasking, che oggi dobbiamo affrontare applicandoci al massimo.

Ma la colpa è davvero tutta della crisi o è il sistema Italia che non funziona?

Mi presento, sono Andrea Guidorossi, classe 1967, non più giovane, oggi ho 48 anni, mi considero nel pieno della mia maturità professionale e con un bagaglio ricco di esperienze e di successi.

Ho frequentato il liceo linguistico, prestato il servizio obbligatorio di leva nell’arma dei Carabinieri, quindi ho frequentato la business school di Miami specializzandomi poi, grazie ad un Master post laurea, in marketing.

Sono quindi entrato in possesso degli strumenti per navigare nel mondo, strumenti che mi danno la possibilità di strutturare una qualsivoglia realtà di business curandone, nel modo più opportuno, la progettazione e pianificazione arrivando fino agli aspetti delle attività produttive, gestione economica e  vendita.

eccesso di profilo nel mondo del lavoro italiano
Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Ancora ricordo il mio primo approccio al mondo del lavoro.

Rientrato in Italia, al termine del mio percorso di studi ed uno stage formativo come business analyst, prestato presso la Ford motors Inc di Fort Lauderdale, iniziai a rivolgermi al mondo italiano del lavoro.

Rimasi colpito dal primo commento ottenuto presentandomi in uno dei tanti uffici di ricerca e selezione del personale della mia città di origine, Parma: Eccesso di profilo.

Non capivo cosa significasse la natura negativa con la quale venivo schedato.

Il mondo dal quale provenivo non conosceva il termine ” troppo preparato” ma solo il suo esatto opposto. Not fit for the job. Non qualificato per il lavoro.

In pratica, mi si diceva che nonostante la mia preparazione, dovevo accontentarmi di ruoli minori nei primi anni in cui, alle aziende, con i famosi CFL, Contratti di Formazione Lavoro nati nel 1984, venne consegnata una terribile arma a doppio taglio che ha causato un prevedibile effetto boomerang oggi drammaticamente evidente:

Prendere giovani brillanti e preparati, pagandoli il meno possibile.

Spremerli per 18 mesi dando loro il miraggio di una conferma definitiva al termine di questo percorso chiamato “formativo”.

Mi trovai cosi, alla tenera età di circa 24 anni, tra persone che la mia esperienza avrebbe definito provinciali, in un mondo del tutto autoreferenziale dove, i titoli in calce ai biglietti da visita, esprimevano più una appartenenza ad un clan oppure ad una classe politica rispetto ad una preparazione vera.

I figli di, gli amici di, ed i parenti di, erano le sole eccezioni che sfuggivano a questa visione bizantina.

Mentre a noi venivano affidati compiti quali archiviazione, battitura dei testi con i primi programmi di scrittura Windows, portaborse di vario genere e tipo, i direttori generali degli anni 90 usavano le aziende come una estensione del proprio stile di vita che li accompagnava dal tennis, alle cene con i clienti e conseguente intrattenimento notturno nei tanti night club, alle fiere internazionali dove a noi, primi schiavi, veniva affidato tutto il lavoro massacrante salvo poi consentire ai capi di figurare bene avendo fatto il minimo indispensabile.

Se da un lato, questo ha reso la vita comoda a molti ed esasperato l’intelligenza e le risorse di tanti volenterosi giovani, tra i quali il sottoscritto, il rovescio offerto ha fatto si che il tessuto imprenditoriale italiano delle PMI rimanesse ancorato ad una cultura ancora novecentesca dove, al lavoratore, non veniva richiesto di contribuire con le sue migliori risorse ed intelligenza in un percorso di crescita e di team ma, bensi, di uniformarsi, senza tentare di distinguersi, di competere o tantopiù di emergere, guai a farlo, a quello che era il generale andamento.

Un’altra frase che mi colpi come un maglio, sempre detta da un head-hunter.

Lei Guidorossi non si deve mettere in mostra con ciò che sa fare, lei deve sforzarsi di piacere all’azienda.

Ancora oggi, ai miei amici extra italici, fatico a spiegare questo concetto.

Quando dico loro che per avere successo, se vogliamo usare questo termine cosi sopravvalutato, devi fingerti scemo e stare nell’ombra del capo, mi guardano come se comunicassi con loro in una lingua morta.

Eppure è cosi. Questa è la realtà del sistema italiano delle Piccole Medie Imprese che costituiscono la principale ossatura del nostro sistema imprenditoriale.

Su 4.338.766 imprese, il 99,9% sono, infatti, piccole e medie imprese.

Inoltre, la quasi totalità delle PMI (il 95%) è costituita da imprese con meno di 10 addetti.

Il resto è formato da imprese che impiegano da 10 a 49 addetti (196.090 unità, pari al 4,5%), mentre le imprese di taglia più grande (da 50 a 249 addetti) sono appena 21.867, ossia lo 0,5% del totale.

Non cambiano di molto le realtà che le accomunano.
Salvo rarissime eccezioni di intelligente imprenditoria, la quasi totalità affondano le loro radici nel dopo guerra.

Frigoriferi, cucine, mobili, gruppi oggi falliti oppure ceduti, carpenteria ed idraulica o ingegneria di precisione guardano tutte al grande padre fondatore.

Quante volte l’ho sentita questa storia; la storia del giovane tenace che già a 14 anni aveva la saldatrice in mano e che da li, prima lavorando il ferro, poi facendo biciclette e quanto altro, diede vita alla prima piccola produzione su scala che divenne poi la grande ed applaudita realtà industriale.

I film di Fantozzi non erano poi cosi lontani da questa descrizione.

Assistiamo però ad un fenomeno che ritngo sia il principale responsabile della attuale crisi che non ha solo ragioni economiche, ma implica un “mea culpa” che accomuna tutta la classe industriale perchè dopo il fondatore, ci sono i figli del fondatore.

Infatti, se il primo, a 14 anni, lavorava e saldava il ferro, i secondi erano a sciare a Cortina oppure studiavano in modo più o meno blando con la certezza del posto sicuro mentre, gli utili prodotti dall’azienda, sono sempre stati usati come il bancomat di famiglia e mai re-investiti in innovazione, sviluppo e ricerca.

Se c’è un fenomeno che ho avuto modo di osservare nel corso della mia esperienza è stato questo.

L’assoluta certezza dell’immutabilità, in un contesto internazionale sempre più agguerrito ed in continua evoluzione, mescolato all’arroganza dell’autoreferenzialità.

E questo è un altro chiodo sulla bara dell’industria italiana.

Nel corso degli ultimi 30 anni, il non avere saputo creare un management adeguato stimolando capacità e competitività, una eccessiva fiducia nelle possibilità di successo, una mancanza adeguata della valutazione degli eventi e degli interventi da approntare, unitamente ad una mancanza di consapevolezza critica basata su preparazioni incomplete e superficiali, hanno dato luogo alla peggiore crisi che possiamo ricordare nella storia moderna.

Andrea GuidorossiIl paradosso, ed è quasi buffo, è che sarebbe stato sufficiente consentire ai giovani di esprimere le loro capacità e talenti invece che sfruttarli biecamente in un percorso burocratico sempre crescente.

Prima i contratti di formazione lavoro, quindi i contratti a progetto, contratti di collaborazione continuata in un crescendo di precarietà e sigle tanto indefinibili quanto ridicole, aventi il solo scopo di risparmiare contributi invece di considerare il valore della professionalità che andava perduta, anzichè essere premiata, insieme alle ambizioni ed al legittimo desiderio di competere per emergere in percorsi di innovazione e di crescita.

La crisi economica, generata dalla speculazione immobiliare, è stata la spallata che ha fatto cadere un sistema già di per sé fragile.

In questo panorama post apocalittico, vediamo che la lezione purtroppo non è stata recepita.

Una persona con le mie caratteristiche e qualifiche, è in grado di prendere in mano una qualsiasi azienda, leggerne le criticità in pochissimo tempo, elaborare una strategia efficace tenendo conto delle risorse disponibili con ordine di priorità, progettare nuove strategie e percorsi, affrontare processi di internazionalizzazione rivalutando prodotti e mercati ma il solo fatto di mettere queste due ultime righe in fila su di un curriculum, cosi come le avete lette, fa si che la mia candidatura venga inesorabilmente cestinata insieme a quelle di molti altri.

Questo accade in Italia!

Mi è capitato, ultimamente, occupandomi di innovazione tecnologica, che un gruppo di Dusseldorf mi richiedesse il curriculum.

Andrea GuidorossiDopo l’invio mi hanno contattato immediatamente complimentandosi per la completezza della mia preparazione e, nel giro di pochi giorni, avrò con loro il mio primo incontro per valutare diverse opportunità di collaborazione.

Fuori dall’Italia ti chiedono cosa sai fare e cosa hai fatto bene.

“Cosa sei disposto a fare” si chiede solo alle prostitute o ai disperati pronti a tutto per una paga minima.

Di Andrea Guidorossi

Email: aguidorossi@gmail.com

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