LE PMI E I PERCORSI DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
Foto di Gerd Altmann da Pixabay

LE PMI E I PERCORSI DI INTERNAZIONALIZZAZIONE

In un mercato globale i modi tradizionali che si usavano quaranta anni fa per esportare: “fiere, proposta, contatto” hanno sempre meno senso. Oggi le strategie per una efficace e sicura presenza all’estero devono essere rivedute e guidate da competenze complesse e avanzate.

Un rapido esame strutturale della quasi totalità delle PMI presenti sul territorio italiano, mostra come oltre il 50% del nostro tessuto imprenditoriale sia composto da ditte individuali. Ma quali sono le regole per avere successo all’estero?

                                                                                                                  imprese                    addetti                  media addetti

Ditte individuali (stima) 59,4% 2.268.563 2.268.563 1,0  
Micro (2-9) 35,1% 1.341.527 4.818.651 3,6
Piccole (10-49) 4,8% 184.345 3.250.491 17,6  
Medie (50-249) 0,5% 19.370 1.875.598 96,8  

Solo nelle aziende di maggiore dimensione, oltre i 50 addetti, quindi nella rappresentanza inferiore al 5%, troviamo strutture organizzate con figure che vanno dall’export manager al project manager.

Esiste però un invetiabile percorso di verticalizzazione gerarchica dove, solitamente, le figure manageriali sono la stessa espressione del nucleo famigliare proprietario che rimanda al fondatore e, non necessariamente, queste figure si sono evolute per essere oggi in grado di competere con la sfida globale. La quasi totalità delle aziende lavora ancora sul modello, facciamo il prodotto, quindi cerchiamo il mercato. Una volta trovato un partner sul mercato, insieme elaboreremo la migliore proposta su piazza. Questa sintesi, è la madre di ogni insuccesso di governance e di crescita.

Come superare l’empirismo?

Va detto subito che da uno studio comparativo tra l’Italia e i Paesi emergenti (India, Cina, Brasile, Messico) ll’Italia fa un po’ la figura della provinciale.

La PMI, e a volte non solo quella, è ancora radicata su concetti ormai superati nell’approccio dei mercati stranieri. Tra le mancanze dei nostri manager, emergono la carenza di conoscenze linguistiche, la scarsità di interesse per le culture locali dove si vuole esportare.

LE PMI E I PERCORSI DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Il fatto è, come afferma Andrea Guidorossi, fondatore e presidente di Kitera Technologies, che la maggior parte delle aziende italiane ha sempre adottato una politica manageriale empirica, ma oggi la complessità dei mercati richiede di internazionalizzarsi con metodo.
«Se poi all’empirismo – aggiunge Guidorossi – aggiungiamo una sorta di cronica mancanza di predisposizione alle regole e al metodo, si comprende come un Paese a forte struttura industriale, qual è il nostro, faccia fatica a valorizzare appieno ciò che gli viene riconosciuto: la capacità di produrre, di innovare e realizzare prodotti.»

Ma quali sono le regole per aver successo all’estero?

Citiamone alcune: oggi non si vende nei mercati esteri, ma ci si entra per strutturarvisi. Oggi non si può cercare solo un importatore o distributore, ma un partner con cui condividere responsabilità e successi. Non si vende a catalogo, ma si devono soddisfare le esigenze di quel particolare mercato. Oggi non si trasferisce know how, ma si adegua il nostro know how a quel mercato specifico. Oggi non si prova a vendere, ma si pianifica.

Quali i percorsi di internazionalizzazione?

Cosa manca dunque alla PMI italiana per fare questo? Secondo le analisi svolte da Guidorossi, manca la cultura del gestire i percorsi di internazionalizzazione. E le ragioni sono tante, che partono dalla scuola di base e manageriale, per andare alla mancanza di strategie di penetrazione. Altro grande difetto è l’individualismo: se siamo più piccoli dei nostri concorrenti, perché non ci mettiamo insieme?

Perché andiamo all’estero in ordine sparso, «per poi compattarci in una delegazione di 400 imprenditori al seguito di un Ministro, magari più per parlare al Ministro che per andare a fare veri affari?»

C’è poi il problema del conflitto d’interessi. Se è normale che un imprenditore diventi presidente di una associazione di categoria, è altrettanto giusto che lo stesso diventi poi consigliere di una banca e magari anche di un istituto di formazione o di servizi degli associati? Può giocare tanti ruoli diversi e delicati spesso in contrapposizione tra loro?

Posto che il 95% delle imprese italiane ha meno di 15 dipendenti, risulta chiara la difficoltà di contrapporsi ai tedeschi mediamente dieci volte più grandi (in Italia sono 550.000 le aziende del solo settore meccanico contro le 55.000 della Germania).

Come rimediare agli errori fatti?

Abbiamo saltato un intero capitolo in quanto non è stato investito in conoscenza. Non si è puntato sulle nuove professionalità e nei giovani che sanno le lingue e che hanno i titoli per entrare a tutti gli effetti in posizioni chiave per internazionalizzare l’impresa. P

rendiamo ad esempio il Sudafrica, una giovane democrazia economica (da meno di 20 anni) che investe sostanzialmente in infrastrutture e formazione (esattamente il contrario dell’Italia) secondo lo slogan Education for future.  Purtroppo in Italia le istituzioni non aiutano e, come ormai siamo abituati a sentire, da almeno 20 anni siamo fermi.

In questo contesto la parola chiave è “project management” vale a dire “gestione del progetto”.

Il progetto, nel caso dell’export, è il contrario di “operazione di esportazione”: deve avere uno studio preliminare, un inizio, una durata e una fine (cioè aver raggiunto l’obiettivo). Quindi occorre conoscere il mercato, segmentarlo, entrarci per capire cosa e come posso riuscire a vendere. Poi si definiscano i tempi e i costi (gli investimenti necessari, e per questo meglio se riusciamo a condividerli con altre aziende). Quanto al partner locale, deve essere azienda con cui condividere il progetto e i risultati. Quindi non un semplice distributore. 

Perché serve la figura, alquanto nuova, del project manager, piuttosto che l‘export manager? Qual è la differenza?

Questa figura di nuovo tipo deve avere conoscenze di finanza, di marketing, di mercati, di strategie, di business plan, di partnership. Tutte conoscenze che non si improvvisano. Evitare quindi di affidarsi a personaggi, magari buoni venditori, che però siano inadeguati professionalmente al mondo che è cambiato e che cambia (e al paese in cui si vuole entrare).

Ovviamente anche l’export manager può diventare un buon project manager, ma va indottrinato, gli si devono dare gli strumenti per essere un esperto di mercati internazionali.

I percorsi di consulenza, il coraggio di cambiare e affacciarsi ai mercati esteri

Molte aziende, giunte oramai allo stremo o sull’orlo del fallimento, giocano l’estrema carta della consulenza pensando che la figura del consulente, con qualche segreta alchimia e citando la formula, abracadabra, possa risolvere situazioni gravate di anni di inadempienza.

Anche qui, va aperta una grande parentesi. Se io imprenditore, ho fallito o sono prossimo a farlo, perchè ho tentato, pur agendo al meglio delle mie capacità, di gestire la mia impresa rifiutando il confronto con l’inevitabile cambiamento, mi troverò ora di fronte ad una figura che probabilmente mi parlerà in modo accademico, non sarò in grado di controllare ciò che fa e sarò costretto a fidarmi.

La maggior parte delle consulenze viene vista come una spesa “non gradita ma inevitabile” perchè rimane una delle ultime speranze di riscatto.

Purtroppo, non sempre queste aspettative coincidono con gli esiti, specialmente se il consulente è “accademico” e digiuno di una vera esperienza di mercato, di product placement, project management e business plannig.

L’approccio alla consulenza:

Andrea Guidorossi, in collaborazione con le Guide Mollotutto è in grado di fornire una valida alternativa ai percorsi tradizionali per lo sviluppo di business,  portando velocemente l’azienda in contatto con una immensa piazza di utenti suddivisi per regioni, nazioni e tipologie di acquisto, potendo cosi da subito sviluppare il migliore orientamento possibile per la tipologia offerta di prodotto. Grazie a questo network otterrete una mappatura completa delle varie possibilità e sviluppi reali potendo cosi valutare costi e ritorni certi sul previsto sviluppo.

In sinergia con altre richieste, non in concorrenza ma appartenenti alla flliera, sarà possibile gestire anche la logistica ottimizzandone l’abbattimento dei costi, favorendo cosi la marginalità residua che potrete poi re-investire sull’area target per i successivi sviluppi.

Si tratta di una modalità nuova, uno trumento più flessibile, economico, efficace e vincente per strutturare una qualsivoglia realtà di export e percorsi di internazionalizzazione.

Di Andrea Guidorossi

Contatti: aguidorossi@gmail.com

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