Rocco vivere e lavorare in Polonia

Rocco si è trasferito a vivere in Polonia a Lodz dove lavora per una grande multinazionale

Rocco Mela, nato cresciuto a Caltanissetta, dopo la laurea e la presa di coscienza delle difficoltà di trovare lavoro in patria ha deciso di espatriare, prima in Francia poi Londra, Liverpool e Belfast. “…La Polonia e’ soltanto la mia ultima, ma non definitiva tappa, di un lungo viaggio, iniziato quando dopo la laurea ho deciso di fare la valige, perche’ avevo veramente fame di lavoro, e in Italia non riuscivo a trovare questo tipo di cibo, oramai sempre piu’ raro…”

Ma attenzione: “…Se non siete qualificati in Italia, cosa vi aspettate di fare qui all’estero? Se non sapete parlare bene la lingua, i primi tempi saranno durissimi, e vi dovrete adattare a fare lavori che a casa vostra non avreste mai fatto…”

Ciao Rocco, raccontaci un po’ di te… di dove sei e cosa facevi quando eri in Italia?

Tutti quelli che mi conoscono dicono che parlare di me sia come parlare di un film avvincente, pieno di colpi di scena. Ma di certo, questo non spetta a me dirlo.
Da parte mia, ti posso dire che i miei esordi sono stati tutt’altro che facili.

Sono infatti nato e cresciuto nell’ultima provincia d’Italia, quella di Caltanissetta, a 15 minuti dal luogo dove hanno assassinato il giudice Rosario Livatino. La mia famiglia e’ nativa di Gela, la capitale italiana dell’abusivismo edilizio, dove per 40 anni nessuno ha mai voluto redigere un piano urbanistico, città esempio vivente della mala politica mischiata con la mafia.

Ho vissuto per i miei primi 18 anni a Sommatino, il paese natale del giudice della corte suprema degli Stati Uniti d’America, Antonin Scalia.
A Sommatino è normale ricevere l’acqua (non potabile) una volta a settimana, avere le strade rattoppate alla meno peggio, guidare con l’unico semaforo in citta’ fuoriuso, e avere come massimo obiettivo della vita un posto di lavoro al comune.

E, già che ci siamo, avere la villa in campagna con pozzi d’acqua abusivi, ricevere false pensioni d’invalidità, e cercare il clientelismo politico come soluzione ai problemi quotidiani.
A 14 anni ho deciso di costruire il mio futuro iscrivendomi in un liceo. Non é stato facile: ho preso per 5 anni autobus fradici, senza aria condizionata, sporchi, zozzi, sempre pieni, in costante ritardo.
Solamente 30 km di distanza tra il liceo e casa dei miei. Tuttavia, in Sicilia, la distanza non si misura in kilometri, ma nella quantità di strada scassata che sei costretto a percorrere ogni giorno.

Ho preso la maturità scientifica a Caltanissetta, in un sabato del 30 giugno 2002, a 50 metri dall’aula bunker dove si sono celebrati i processi per stragi di Capaci e di via D’Amelio.

A 18 anni, comprendendo definitivamente il degrado della mia terra e la scarsità di opportunità lavorative, mi impegno completamente per entrare in marina: sono stato tra i primi dieci pronti ad entrare nell’accademia navale di Livorno, come studente di Medicina e Chirurgia. Sono stato scartato, l’ultimo giorno utile, dopo un lungo viaggio iniziato sei mesi prima, per problemi cardiaci.

A 19 anni, senza alcuna possibilità lavorativa a disposizione, sono andato all’università. Tra fare il manovale al nero e studiare, ho preferito continuare a studiare.

A 23 anni mi sono laureato nell’ultimo ateneo d’Italia, dove seguire le lezioni nelle sale dei cinema è semplicemente la norma. A Palermo ho vissuto in un appartamento pericolante, senza riscaldamenti, senza contratto.


Quando e perché è arrivata la voglia o la necessità di lasciare l’Italia?

La voglia di viaggiare penso sia innata in ogni Siciliano, ma penso che la mia generazione, che alcuni definiscono, a torto, come la bim-bum-bam generation, abbia visto i propri sogni infrangersi al G8 di Genova, nel 2001, sia per quanto riguarda i fatti di piazza Alimonda, sia per quello che e’ successo alla Diaz e a Bolzaneto.
Questa non e’ la sede adatta per analizzare quegli eventi, ma nessuno potra’ mai negare che il decennio che ne e’ seguito, iniziato con il crack finanziario dell’Argentina, proseguito con due guerre in medio oriente, la globalizzazione estrema, il termine precariato che e’ diventato di uso comune, l’ingresso dell’euro malamente gestito, l’inascolto cronico dei bisogni e delle idee dei giovani, non hanno fatto altro che cambiare il nostro modo di vivere.

Prima si studiava fino a 25 anni, si trovava lavoro, si prendeva casa vicino al lavoro e ci si sposava.

Adesso siamo oramai ai livelli ultra liberistici degli USA, dove si puo’ essere licenziati dall’oggi al domani. Ma, mentre negli USA, quando si perde un lavoro, e’ relativamente semplice averne un altro, in Italia, per chi esce dal mercato del lavoro, si prospetta un interminabile calvario.

Chi ha fame di lavoro, e non lo trova in patria, allarga le possibilita’ all’estero.

vivere in Polonia e lavorare in Polonia

Perché hai scelto proprio la Polonia e in quale città vivi?

La Polonia e’ soltanto la mia ultima, ma non definitiva tappa, di un lungo viaggio, iniziato quando dopo la laurea ho deciso di fare la valige, perche’ avevo veramente fame di lavoro, e in Italia non riuscivo a trovare questo tipo di cibo, oramai sempre piu’ raro.
Adesso sono in Polonia perche’ una agenzia di lavoro irlandese mi ha proposto questa possibilita’ di crescita lavorativa e, dopo aver superato tre colloqui con l’azienda del luogo, sono partito. Ovviamente con il biglietto aereo pagato dall’azienda.
Vivo a Lodz, la seconda citta del Paese, a 120 km da Varsavia. Ha circa 800 mila abitanti, ed e’ un continuo cantiere aperto, dato che sta cercando di sfruttare i finanziamenti dell’Ue per potersi rifare il look.



Avevi già vissuto all’estero per lunghi periodi prima?

Ho vissuto per due anni e mezzo in Costa Azzurra, nel Sud della Francia. Dopo un anno di contratto a Venezia come responsabile di un residence universitario, sono ripartito da zero, imparando la lingua e iniziando a lavorare fin da subito, accettando quello che trovavo.
Ho chiuso l’esperienza d’oltralpe come responsabile di una stazione di servizio a Grasse; mica male per chi era arrivato due anni e mezzo prima senza masticare una parola di francese e senza nessuna rete di conoscenze.
Ma la voglia di viaggiare e di fare nuove esperienze era ancora molta, e non ci ho pensato piu’ di tanto a ricominciare un’altra volta da zero e partire per il Regno Unito, destinazione Londra.
In UK ho trascorso due anni, passati tra la capitale inglese, lavorando come cameriere in un ristorante, a Liverpool, in una azienda di brookeraggio immobiliare, e a Belfast, in un customer service.

Sei partito da solo o con la partner o amici?

Caro Massimo, bisogna partire da soli. Solamente quando si e’ da soli si riesce a far uscire da dentro di noi risorse che neanche sapevamo di avere.
Si, per carita’, la solitudine e’ una brutta bestia, ma se si riesce a controllarla e ad addomesticarla, ne usciamo molto ma molto piu’ forti di prima.
E, poi, se si va via dall’Italia, e’ per conoscere altre culture e mentalita’, non per frequentare le stesse persone che conoscevamo nel Bel Paese.

vivere in Polonia e lavorare in Polonia

In che cosa consiste la tua attività?

In gergo tecnico mi occupo di “accounts receivable”. Ovvero tengo la contabilita’ di una grossa multinazionale per quanto riguarda i pagamenti che riceve da parte dei suoi clienti. Mi occupo del mercato francese. E’ un mercato molto grosso e complesso, e ogni giorno e’ una buona occasione per imparare sempre qualcosa di piu’ rispetto al giorno prima. In altre parole, un’altra buona esperienza da aggiungere al mio curriculum.

Quali differenze sostanziali hai avuto modo di riscontrare a livello lavorativo rispetto all’Italia?

In Italia ho lavorato quasi sempre a nero, e anche quando avevo un contratto, questo non veniva mai rispettato appieno.
Sicuramente, visto che lavoro per una azienda con circa 2000 dipendenti, parto avvantaggiato. In se’ e per se’ la grande azienda rispetta i contratti.

Comunque, andando nello specifico, posso dire che c’e molto affiatamento nel mio team, e cerchiamo sempre di lavorare come una squadra, senza pensare a metterci i bastoni tra le ruote l’un l’altro. Nel team proveniamo da sei nazionalita’ diverse, ed e’ bellissimo poter lavorare tra noi utilizzando degli know how cosi’ lontani tra loro ma che, messi assieme, formano veramente un bel mix.

Di certo, cosi’ non e’ stato quando ho lavorato con gli Italiani. Ci sono le pecore bianche, per carita’, ma e’ sinceramente una tristezza infinita vedere dei tuoi colleghi che cercano di farti fuori perche’ hanno paura di te e del tuo rendimento sul lavoro.
Qui dove lavoro posso parlare con il mio team leader francamente e senza peli sulla lingua, in altre realta’ ho incontrato solamente delle vipere con il solo scopo di mantenere il lavoro e buttare fuori chi era meglio di loro.

Rocco si è trasferito a vivere in Polonia a Lodz dove lavora per una grande multinazionale

Cos’altro hai notato della società polacca? (Economia, crisi, sicurezza, immigrazione, famiglia, politica, cultura, etc)

Sicuramente la lingua polacca e’ un ostacolo che non mi permette di conoscere appieno la vita di questo Paese. Non nascondo che in questo periodo sto preferendo di concentrarmi sul lavoro e avere delle skills che ancora mi mancavano, al posto che dedicarmi allo studio della lingua.

Ad ogni modo, tutti i giovani che hanno fatto, o che frequentano l’universita’, parlano l’inglese, cosi’ si ha comunque modo di rapportarsi con la realta’ polacca.
A grandi linee, la famiglia e’ abbastanza considerata ed ha molto valore, ma si notano parecchie realta’ culturali: si va dai nostalgici del comunismo, ai cattolici praticanti, fino a quelli che vivono all’occidentale.
Di negativo non posso non citare l’eccessivo consumo di alcool, pari all’uso che se ne fa nei paesi anglosassoni.

Come avviene, e come e’ avvenuta la tua integrazione in realtà locali così differenti da quella italiana?


Non sono dell’idea che bisogna dimenticare il proprio passato ma che, invece, bisogna saperlo sfruttare per fare la differenza nel posto dove si e’ andati a vivere.
All’estero, io sono stato, sono e saro’ sempre uno straniero.
All’inizio vivevo male questa condizione, ma poi ho capito che sono stato sempre un’espatriato, anche in patria. Ero straniero, da paesano, quando studiavo a Palermo, ero straniero, da Siciliano, quando lavoravo a Venezia. Sono straniero, da Italiano, quando sono all’Estero.

Non bisogna vergognarsi delle proprie origini, ma andarne fieri. Se riusciamo a lavorare e ad imporci in realta’ a noi estranee, abbiamo sicuramente una marcia in piu’.
Cio’ detto, bisogna rispettare la cultura, gli usi, i costumi e la politica del Paese in qui in quel momento viviamo.
Sicuramente, in un secondo momento, possiamo anche criticare i disservizi e le cose che non funzionano nello Stato che ci sta ospitando, ma all’inizio penso sia controproducente farlo, perche’ ad ogni modo quello Stato ci sta dando la fiducia di lavorare nei suoi confini.

Vivere in Polonia sotto quali aspetti è meglio che in Italia? E sotto quali aspetti è peggio?

La Polonia e’, sotto certi aspetti, un territorio vergine. E’ uscita dal comunismo 24 anni fa, e ci sono ancora molte cose da fare per poter avere gli standard di vita di Paesi occidentali come Francia e Germania.
Ma si nota che, dove l’opera di ristrutturazione infrastrutturale del governo e delle comunita’ locali e’ gia’ passata, l’aria che si respira e’ di un Paese competitivo che ha voglia di dimostrare al mondo di avere un certo peso.
Chi ha l’occasione di vedere citta’ come Varsavia, Poznan, Cracovia e Danzica, rimarra’ estasiato dal grado di benessere e di occidentalizzazione che si respira tra le loro strade.

Secondo te perche’ assistiamo ad un vero e proprio esodo di giovani che se ne vanno dall’Italia?

Vedi, ricordo quando ero nel Sud della Francia e ogni tanto varcavo il confine per andare a Ventimiglia, in Liguria.
Vedevo che c’era qualcosa di diverso tra i cugini francesi e noi.
Li’ per li’ non capivo cosa, ma pensandoci poi con calma, mi era balzata agli occhi la differenza. In Italia vedevo solo vecchi commessi nei negozi, nelle stazioni di servizio, nei supermercati, nei tabaccai, nelle farmacie.

A volte penso proprio se non ce la siamo cercata di proposito, noi giovani.
Tutti li’ a studiare lingue moderne per il web, filologia, letteratura straniera, archeologia, scienze dell’educazione primaria, scienze della comunicazione internazionale, scienze dei servizi giuridici… Ma che roba è? Veramente pensiamo di risolvere qualcosa studiando queste cose?

Veramente pensiamo che in Italia le aziende siano alla strenua ricerca di filologi, antropologi, letterati, sociologi, esperti in tecniche della comunicazione, archeologi et similia?

Non sto dicendo che la colpa è solo nostra, ossia che al posto di studiare ingegneria aerospaziale o matematica abbiamo preferito studiare Machiavelli e Foscolo, pero’ non posso non dire che chi si aspettava di diritto un lavoro correlato alle sue skills, è rimasto fregato.

Poi ci stanno tutti un altro paio di discorsi, che sappiamo tutti, ossia che in Italia non ci sia affatto meritocrazia, che la corruzione regna sovrana e che manca un welfare state centralizzato, ma delegato alle regioni, alle province e ai comuni che, al posto di creare un reddito minimo vitale, preferiscono continuare a dare contributi a pioggia alle associazioni che in quel momento gli fanno comodo.

Il problema, forse, è che abbiamo di più rispetto agli Inglesi, ai Tedeschi e ai Francesi: c’è il discorso della raccomandazione, nel senso che io non avro’ mai quel lavoro perché non sono amico degli amici.

Un altro handicap in piu’, rispetto agli inglesi, ad esempio, e’ il seguente: noi pensiamo da chi farci assumere, loro pensano a quale idea farsi finanziare.
Ecco, diversi giovani italiani superano questa differenza di mentalità, ma non riescono a dare nulla alla società, perché la società non glielo concede.
Solamente tra certificati e scartoffie varie, ti passa un anno per aprire un’attività, per poi scoprire che in pratica sei socio dello Stato, che ti ciuccia tutti i tuoi guadagni.

Rocco si è trasferito a vivere in Polonia a Lodz dove lavora per una grande multinazionale

Cosa consiglieresti ad altri italiani che desiderassero cambiare vita e trasferirsi a lavorare in Polonia?

Bella domanda! Che merita una lunga risposta, rivolgendomi direttamente a chi ha voglia di emigrare: volete venire all’estero? Ok, ma datevi da fare, perchè niente vi è dovuto!
Prendo l’esempio dell’Inghilterra.

Sui social network e’ un pullulare di domande del tipo:
-Ciao, vorrei trasferirmi in Inghilterra, li’ lavoro ce n’è?
-Ciao, vorrei venire a Londra, ma non mi va di lavorare al Mc Donald, che posso fare?
-Ma tipo se salgo lunedi, una stanza in centro la si trova?
-Io sono disponibile a tutto, che lavori posso fare?
-E’ vero che facendo il cameriere si portano a casa 2500 sterline ed hai sabato e domenica libere?
-Ma perchè se sono un architetto in Italia dovrei fare il lavapiatti? No no no, non è giusto!

Vorrei dirlo chiaro e tondo: L’INGHILTERRA NON E’ IL PAESE DELLA CUCCAGNA! NON STANNO ASPETTANDO VOI!

In Inghilterra esiste una sola legge: va avanti il migliore. Se vali, sei premiato, se non vali, sei fuori.
E’ il capitalismo, dannato o benedetto che sia, ma è questo.

Ora, mi dispiace per il vostro master in scienze della grappa che vi siete presi in quel di Udine ma, francamente, qui se ne fregano dei vostri titoli di studio. Anzi, per poco non vi ridono in faccia. Se dico che sono laureato all’università di Palermo, qui non sanno neanche dov’è Palermo.

Credete che stia esagerando? Pensateci un momento. Quanti Indiani, o immigrati del Bangladesh o dello Sri Lanka abbiamo in Italia, che sono laureati, ma che fanno i lavavetri e i posteggiatori abusivi?
Ma anche gli onesti rumeni che vengono nel nostro paese per fare muratori o badanti. Non pensiate che siano tutti analfabeti, anzi.
Eppure non badiamo minimamente al loro titolo di studio.

E pensate che in UK sia diverso?

Non potete pretendere che, scendendo dall’aeroporto di Liverpool o di Londra o di qualsiasi altra città Inglese, vi si prosti ai vostri piedi un lungo tappeto rosso e le guardie reali pronte a darsi il cambio al ritmo di “O Sole Mio”.

Ci sono quelli che senza saper parlare la lingua del posto, pretendono il lavoro dietro una scrivania, in ufficio, con aria condizionata e possibilmente con segretaria.
Ma se è già difficile per gli stessi Inglesi trovare un lavoro da impiegato, come si puo’ anche lontanamente pensare che uno straniero, senza padronanza della lingua, possa trovare un lavoro del genere?
Non dico di essere pessimisti, ma di essere semplicemente realisti: qui, all’estero, gli stranieri siete voi.

In UK, generalmente anche partendo da un punto basso, ti si da l’opportunità di emergere e di farti avanti nel mondo del lavoro. Ma non vi aspettate che qualcuno lo faccia per voi.

Se non siete qualificati in Italia, cosa vi aspettate di fare qui all’estero?
Se non sapete parlare bene la lingua, i primi tempi saranno durissimi, e vi dovrete adattare a fare lavori che a casa vostra non avreste mai fatto.

Io batto e ribatto sulla ristorazione, consiglio sempre quella, perchè è uno dei pochi settori dove anche se non si ha esperienza e si capisce male la lingua del posto, si puo’ esordire e si puo’ iniziare a portare una busta paga a casa.

Poi, ripeto, se siete super qualificati, avete un inglese fluente ed anni di duro lavoro alle spalle, chi puo’ fermarvi? Ci sono un sacco di Italiani affermati qui in UK. Il discorso, in questo caso cambia, ma di sicuro non mi sto rivolgendo a queste persone.
Pero’ sinceramente, se vi aspettare di fare faville in terra britannica, partendo non qualificati dall’Italia, e con zero capacità comunicativa, non venite a lamentarvi poi che lavoro non ne trovate.
Anche al Mc Donalds è richiesta la conoscenza della lingua inglese, per intenderci…

Che tipo di lavoro/attività/investimento pensi sia conveniente praticare per un italiano in Polonia?

Penso che ci sia spazio per chi voglia lavorare nelle infrastrutture, sia queste civili, sia per quanto riguarda l’IT.
Per piccole realta’ imprenditoriali, invece, il marchio della buona cucina italiana e’ sempre una certezza. Ma, bisognerebbe trovare un partner del luogo, per sapersi meglio destreggiare con le leggi e la lingua polacca.

Pensi che ci siano molti italiani che vivono in Polonia?

Caro Massimo, gli Italiani li trovi in ogni dove! Ma qui, al contrario di altre nazioni piu’ gettonate, come l’Irlanda e il Regno Unito, si tende a venire con un contratto gia’ in tasca, firmato da una grande azienda. Non si parte quindi all’avventura, per intenderci, e quasi sempre l’Italiano che lavora in Polonia fa un lavoro d’ufficio, qualificato insomma.

Consiglieresti la Polonia come meta per espatriare o più per una vacanza?

Secondo me le varie multinazionali presenti in Europa delocalizzeranno in Polonia, per via del basso costo del lavoro, e per via degli sgravi fiscali che garantisce lo stato polacco nei confronti di chi si vuole impiantare da loro.

Grosso modo questo sara’ il trend per i prossimi 5 anni, ossia fino a quando la Polonia non entrera’ nella zona Euro, entrata prevista nel 2019/20.
Quindi, fino a quella data, la Polonia avra’ molto da offrire agli espatriati.
Ovviamente, il Paese e’ veramente bello, e merita di essere visitato anche per una vacanza.

Email: roccomela@mollotutto.com

Di Massimo Dallaglio

CONDIVIDI SU:
You May Also Like
I 3 Paesi nel mondo dove gli Italiani sono più rispettati

I 3 Paesi nel mondo dove gli Italiani sono più rispettati

I 3 Paesi nel mondo dove gli Italiani sono più rispettati Gli…
vivere in Olanda Amsterdam

CAMBIARE VITA E TRASFERIRSI A VIVERE IN OLANDA

CAMBIARE VITA E TRASFERIRSI A VIVERE IN OLANDA In questo articolo vogliamo…
sindrome di wanderlust

La sindrome di wanderlust: Gli ammalati di viaggi

LA SINDROME DI WANDERLUST: GLI AMMALATI DI VIAGGI La sindrome di wanderlust è…
Paola si è trasferita lavorare a Los Angeles dove ha aperto un'agenzia per trasferirsi negli USA

Paola si è trasferita lavorare a Los Angeles dove ha aperto un’agenzia per trasferirsi negli USA

Paola si è trasferita lavorare a Los Angeles dove ha aperto un’agenzia…