Il patto nucleare iraniano e l'attacco alle ultime grandi dinastie americane
Foto di John R Perry da Pixabay

IL PATTO NUCLEARE IRANIANO E L’ATTACCO ALLE ULTIME GRANDI DINASTIE AMERICANE

I prezzi del greggio stanno testando i livelli più bassi da tre mesi dopo che l’Iran ha stretto un accordo che porterà alla revoca delle sanzioni internazionali sulla sua economia in difficoltà in cambio di controlli sul suo programma nucleare.

Il contratto futures di riferimento per gli Stati Uniti del greggio è sceso di oltre un dollaro al barile nei primi scambi in Europa  dopo i negoziato e la conferma di un accordo di trattativa.

La fine graduale delle sanzioni previste sotto l’accordo, permetterà quindi all’Iran, che ha la terza più grande riserva di petrolio e gas del mondo, di attrarre investimenti nel settore energetico erogando una fornitura mondiale di petrolio in un momento in cui il mercato è già “massicciamente eccedente”, secondo l’agenzia internazionale per l’energia con sede a Parigi.
 
Il Financial Times ha riferito, nel mese di giugno, che le major petrolifere europee come Royal Dutch / Shell e l’italiana Eni SpA hanno già visitato Teheran, per compensare vecchi debiti ed aprire la via a nuove offerte.

Il patto nucleare iraniano e l'attacco alle ultime grandi dinastie americane
Foto di John R Perry da Pixabay

 
Questa è una brutta notizia per i produttori di olio Schell (americani), che hanno lottato per adattarsi ad un mondo di prezzi più bassi da quando l’Arabia Saudita ha spinto l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio in una lotta per le quote di mercato alla fine dello scorso anno.

Tuttavia, non è l’affare Iran di per sé che è la cattiva notizia, ma il fatto che si aggiunge a un elenco di fattori che hanno permesso il rimbalzo del prezzo del petrolio nelle ultime due settimane.

Scrive l’AIE nel suo ultimo rapporto sul mercato mondiale del petrolio: “Lo spazio di stoccaggio Onshore è limitato. Così è la flotta di navi cisterna. Le nuove raffinerie non vengono costruite ogni giorno. Qualcosa si deve cedere…” Quel qualcosa, ha aggiunto, è più probabile che il petrolio “magro” statunitense chiamato tight oil.
 
Gli analisti di Wood Mackenzie stimano, come scenario di base, che l’Iran da solo raggiungerà i 120.000 barili al giorno entro la fine dell’anno, contro i 2,7 milioni di barili che attualmente produce in un anno.

E ‘poco più di una goccia nel mare rispetto a quanto erogato quest’anno tra Arabia Saudita, i produttori del Golfo insieme a Russia e Brasile che hanno pompato furiosamente per assicurarsi il mantenimento della loro fetta di torta.
 
Al completo sollevamento delle sanzioni, l’Iran arriverebbe a 260 mila barili al giorno, 94 milioni di barili in un anno. Il petrolio si estrae ogni giorno, feriale o festivo, 24 ore su 24 senza nessuna pausa.
 
Se l’accordo tiene, e l’Iran in grado di superare il suo isolamento diplomatico per il bene, allora sembra destinata ad avere un grande impatto sulle forniture globali a lungo termine.

Oltre tre quarti delle sue riserve recuperabili devono ancora essere sviluppate e la maggior parte può essere sviluppata senza la tecnologia state-of-the-art (vedi Stati Uniti per le complicate e rishiose estrazioni off shore e fracking) di cui si devono necessariamente dotare altre regioni con grave impatto sui costi di estrazioni oltre ai considerevoli rischi ambientali.

Ricordiamo ancora il grave danno ecologico provocato dalla BP ed ora concordato per un risarcimento di oltre 8 miliardi di dollari per i gravi danni ambientali causati.
 
Non si può non considerare quello che sarà un grandissimo impatto sull’industria petrolifera statunitense con un presidente che ha già decretato corposi investimenti per le energie pulite e rinnovabili.

Finora, le società americane più deboli del settore si sono affidate in gran parte a nuove azioni di emissione e drastici tagli della spesa sugli  investimenti tra cui, le più importanti, ambiente e sicurezza, per superare quella che speravano sarebbe stata una temporanea battuta d’arresto.
 
Se l’Iran inizia ora a realizzare il suo pieno potenziale come produttore, il settore dovrà accettare un allineamento al ribasso dei prezzi e molte grandi compagnie americane non potranno sopravvivere.

Questo spiega, in parte, l’ondata di sdegno repubblicano contro il quale, il presidente Obama, dovrà ora fare i conti al congresso che è a maggioranza repubblicana dove spiccano, storicamente, le principali famiglie proprietarie degli impianti petroliferi.

Di Andrea Guidorossi

Email: aguidorossi@gmail.com

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