Andrea Alfonsi, un ingegnere nucleare in America
Lo scorso 12 giugno un referendum ha bocciato, per le seconda volta in meno di trent’anni, l’ipotesi nucleare in Italia. Cosa fare, allora, se si è un Ingegnere Energetico con una specializzazione in Fonti Non Convenzionali, laureato presso una grande università della capitale come “La Sapienza”? Certo, fare colloqui e tentar concorsi… Andrea Alfonsi lo ha fatto, ma un’interessante occasione di lavoro prettamente attinente l’indirizzo di studi per cui si è faticato per anni, occasione cercata e trovata, non si può perdere.
Partito alla volta di Idaho Falls, capoluogo della contea di Bonneville, nell’Idaho, uno stato degli Stati Uniti nord-occidentali, lavora da due anni presso il Laboratorio Governativo dell’United States Department of Energy, “Idaho National Laboratory – INL”, in qualità di Computational Reactor Physic Researcher.
Perché hai deciso di andare via dall’Italia?
Nel dicembre del 2009, subito dopo essermi laureato in Ingegneria Energetica Fonti non convenzionali presso l’Università La Sapienza, a Roma, ho contattato alcuni dei miei professori per capire se c’erano occasioni di impiego all’estero, soprattutto in paesi di lingua anglosassone. Qualche tempo dopo uno di loro mi ha comunicato che c’era un’interessante occasione di lavoro negli Stati Uniti presso il Laboratorio Governativo “Idaho National Laboratory – INL” che si occupa principalmente di Ingegneria e Ricerca Nucleare ed è il centro di ricerca di riferimento in questo campo per gli Stati Uniti, finanziato interamente dal dipartimento dell’energia statunitense (DOE – Department of Energy). Visto il nome di cui gode l’INL in ambito internazionale, ho deciso di candidarmi per la posizione di Computational Reactor Physic Researcher. Intorno alla fine di febbraio 2010 mi hanno contattato per un’intervista telefonica, vagliando le mie conoscenze, le esperienze fatte e mettendomi anche a conoscenza del tipo di lavoro e, soprattutto, di vita che mi aspettavano. Dopo varie e lunghe procedure burocratiche (chili e chili di moduli da compilare e rinviare, accertamenti della fedina penale, del trascorso in Italia, delle possibili connessioni con cittadini dei cosiddetti “paesi canaglia”,ecc.), che hanno preso circa 4 mesi di tempo, è arrivata l’ufficialità e da lì ho avuto un mese e mezzo di tempo per organizzare il mio trasferimento (consolato, pratiche varie, ecc). In questo modo a novembre 2010 sono partito alla volta di questa piccola cittadina dell Idaho Orientale, Idaho Falls. La decisione di “andare via” dall’Italia non è stata determinata dalla mancanza di occasioni nel nostro paese, ma è stata determinata dalla voglia di mettersi alla prova in un paese dove il nucleare si fa, la ricerca su di esso è viva, dove si comprende che il nucleare non rappresenta il “male assoluto”, ma che non è altro che un’altra fonte energetica, la più pulita di quelle cosiddette convenzionali (più pulita dello stesso gas naturale). Durante l’attesa per le varie procedure burocratiche mi sono dilettato a fare una decina di colloqui in Italia (diciamo per fare l’esperienza di approcciarmi alle “risorse umane”, visto che, alla fine dei giochi, l’ultima parola spetta sempre a quel dipartimento. Cosa che sinceramente non capisco!). A differenza di quelli che dicono che le occasioni in Italia non ci sono (parlo ovviamente del mio campo, non avendo esperienza in altri), io penso che ci siano, altrimenti non avrei dovuto rifiutare ben otto diversi contratti, tra cui un concorso pubblico vinto come “Responsabile del Laboratorio di Spettrometria gamma” presso l’Istituto Superiore Protezione Ambiente (ISPRA). Ovviamente per il settore nucleare in Italia non c’è speranza, in un certo senso, ed anche giustamente visto che non usiamo questa tecnologia!
Cosa hai messo sui due piatti della bilancia per arrivare a prendere la decisione di andar via?
Questa è una bella domanda. Se devo essere sincero quando ho deciso di accettare l’offerta l’ho fatto quasi senza rendermene conto. Il lavoro mi interessava e ho pensato solo a quello. Ho iniziato a ragionare su cosa significasse durante quel lungo periodo di attesa per motivi burocratici. Effettivamente è stata una decisione che riprenderei, ma l’Italia è l’Italia e, nonostante tutti i problemi che ci sono, mi è mancata già dopo il primo mese che ero qui. Idaho Falls è una città di 40mila persone, a ovest confina con il deserto e per il resto è circondata da montagne. Il 90% della popolazione appartiene alla religione Mormone (no caffè, no alcolici, no uscite notturne, ecc) e di conseguenza la città non è certamente adatta per ospitare ragazzi di 25 anni. C’è poco da fare e quel poco non è certo un granché! Ma questo in un certo qual modo è normale. Questi grandi centri di ricerca vengono sempre costruiti in posti sperduti , quando si ha lo spazio per farlo. Considera che l’Idaho ha 1milione e 300 mila abitanti circa ed un’estensione pari a quella di mezza Italia. Di spazio ce ne è!
Hai incontrato difficoltà nel trasferirti?
Il trasferimento non è stato drammatico, ho trovato praticamente subito casa, dopo 15 giorni, ho acquistato una macchina molto velocemente. Ovviamente l’american english è estremamente diverso dall’inglese anglosassone a cui siamo abituati noi. È pieno di slang, la pronuncia è diversa (soprattutto in questa zona) e gli americani parlano ad una velocità impressionante. Questo è stato il vero problema all’inizio e, se devo essere sincero, ancora adesso mi capita di non capire e dover far ripetere . C’est la vie!
Come appare l’Italia e quale è l’immagine di noi italiani visti da lì?
Sinceramente l’Italia non è vista così male come spesso i vari corrispondenti internazionali vogliono farci credere. Non ho trovato né conosciuto un americano che dicesse qualcosa di male sul nostro Paese, anche perché qui si tende a pensare ai problemi interni e non a quelli esterni. Ovviamente il discorso è diverso per i miei colleghi europei. L’unica cosa che ci biasimano è un certo immobilismo nei diversi campi, dalla politica al mercato del lavoro, dalla ricerca all’industria. Riconoscono, però, in noi un grande talento nei più svariati campi, dall’ingegneria al design, dalle capacità organizzative (vedi per esempio la movimentazione subito dopo l’Aquila, qui ne sono rimasti molto colpiti) alla cultura. Ti voglio fare un esempio: circa un mese fa stavo parlando con un team leader americano che mi diceva che ci sono solo tre tipologie di candidati che assumono senza pensarci: gli italiani, i cinesi e gli indiani. Continuando mi diceva che in America considerano di pari livello una laurea presa in Italia con un PhD (dottorato di ricerca) preso da uno studente americano. Sono soddisfazioni!
Cosa porteresti lì del nostro modus vivendi lì e cosa importeresti del loro qui?
In Italia porterei la speditezza burocratica (ovviamente intendo quella che si trova una volta arrivati qui). Un esempio: ho richiesto a maggio la restituzione di una certa quantità di tasse che ho pagato e non avrei dovuto pagare; la domanda è stata inoltrata via internet e dopo due settimane avevo tutta la somma nel mio conto. Poi gli stipendi veramente commisurati alle proprie competenze e al proprio valore e la possibilità di fare carriera senza dover necessariamente conoscere qualcuno. Dall’Italia porterei tutto il modus vivendi. In Italia o in generale in Europa si “lavora per vivere”, qui sembra il contrario! Qui manca un minimo di cultura multidisciplinare: un ricercatore in nucleare conosce solo quello, non gli interessa altro perché non gli serve per il suo lavoro. In Italia capita che le persone si interessino a cose non pertinenti con il proprio lavoro, qui è estremamente difficile! E poi porterei un po’ di leggerezza, in America c’è troppa serietà.
Torni spesso in Italia? Cosa provi nel rientrare?
Cerco di tornare per le feste comandate (Pasqua, Natale). Sarà banale, ma il detto è proprio vero: capisci quanto sei legato ad una cosa solo quando la lasci. Ogni volta che rientro in Italia cerco di usare ogni secondo per girare per la città, stare con gli amici, la famiglia… Insomma faccio il pieno di aria buona.
Pensi ritornare in Italia un giorno o costruirai la tua vita in America?
Non penso proprio di costruirmi una vita qui. Nonostante le offerte che mi sono arrivate, penso di rimanere un altro anno o al massimo due per poi tornare, se non in Italia, perlomeno in Europa. Ovviamente l’Italia sarebbe un sogno, ma non so se con la mia specializzazione riuscirò a trovare qualcosa che sia degno di essere chiamato “lavoro”.
Di Silvia Coco 19/08/2011