Katia Raduazzo, 27 anni, lavora all’Istituto Italiano di Cultura di Sydney
Katia Raduazzo, 27enne di origini campane, ha sempre avuto le idee chiare fin da quando, ancora bambina, sentiva il bisogno di sentieri da esplorare e si orientava osservando mappe, planisferi, atlanti e tracciandovi i percorsi che avrebbe voluto seguire.
Crescendo si è resa conto la sua sete di ricerca non si sarebbe placata, se non dandole soddisfazione; è così che sono cominciati i primi viaggi lontano da casa.
Prima un soggiorno Erasmus in Inghilterra all’età di 20 anni e poi… A Sydney, dove ad oggi vive e lavora, soddisfatta artefice del suo percorso di crescita e ricerca personale. Ecco la sua storia.
Il 21 settembre 2011 con un biglietto di solo-andata tra le mani e il Working Holiday Visa valido per un anno ho preso il volo per l’emisfero australe.
L’opportunità di trasferirmi a Sydney, dove vivo da un mese circa, mi si è presentata grazie al programma di tirocini promosso dal Ministero degli Affari Esteri in collaborazione con la fondazione CRUI. Ho vinto il concorso per svolgere uno stage di tre mesi all’Istituto Italiano di Cultura, dove mi occupo di promuovere e diffondere la cultura italiana attraverso l’organizzazione di eventi in diversi settori (arte, musica, cinema, teatro, danza, moda, design, fotografia) ma anche attraverso corsi di lingua, la gestione di biblioteche e l’offerta di materiale didattico ed editoriale. Il mio rapporto con il continente è iniziato però nel 2008 in occasione del Sorry Day (la giornata ufficiale di scuse alle popolazioni autoctone indetta dal neo insediato governo laburista guidato da Kevin Rudd). L’evento suscitò la mia attenzione al punto da farmi intraprendere un’attività di ricerca dalla quale è nata la mia Tesi di Laurea Magistrale dal titolo: “Aborigeni Australiani: tra politica e memoria.
L’impatto con questa nuova realtà è stato forte.
La gente vede l’Australia come una falena di libertà, felicità e benessere. Il motto vigente è “Fair go!” che tradotto significa: “Anche tu avrai la tua possibilità!”. L’opulenza e il benessere sono frutto del lavoro e di una economia sana e liberata dagli impacci burocratici dai quali è ancora imbrigliata nel vecchio continente. Questa terra è straordinaria soprattutto per questo, regala un sogno: opportunità di crescita economica, contrattazione salariale più libera, nessuno stress dovuto a mancanza di impieghi o alla necessità di tenersi stretto il proprio lavoro, flessibilità, stipendi molto più alti. Ben diversa è invece la situazione degli abitanti autoctoni che rimangono il gruppo sociale più svantaggiato, costretto a pagare le conseguenze delle brutali politiche coloniali e in seguito statali in termini di disadattamento sociale, disfacimento del tessuto comunitario, delinquenza, alcolismo e tossicodipendenza. Un’altra cosa che va detta è che il livello di scolarizzazione qui è molto più basso che in Italia, manca la manodopera tecnica specializzata di un certo valore e quindi chi ha capacità da spendere qui può trovare terreno fertile.
Quando sono arrivata in Australia conoscevo già le difficoltà del primo impatto all’estero perché all’età di 20 anni avevo trascorso un periodo a Londra nell’ambito del progetto Erasmus, quindi ero già abituata a molte delle abitudini britanniche adottate anche dagli “aussie”. Nonostante questo le difficoltà ci sono state e continuano a presentarsi (superare alcune differenze culturali, la trafila nel trovare un buon lavoro, il ricostruire le proprie abitudini e amicizie, l’imparare a contare solo su stessi) ma è senza dubbio questa la parte del viaggio che amo di più. Le asperità sono vitali. Tengono in circolo l’adrenalina. Il viaggio deve essere avventuroso, come a dorso di un asino. È importante sentire più da vicino le necessità e gli intralci del vivere.
Detto questo penso che quella di partire non sia una decisione da prendersi alla leggera.
Mi sembra che ora vada un po’ troppo di moda dire “me ne vado dall’Italia!” come se fosse la cosa più semplice del mondo. Chi decide di emigrare è bene che abbia spirito di adattamento, grinta, determinazione, basi linguistiche solide e disposizione a fare sacrifici. Ho vissuto all’estero prima di approdare a Sydney e questa è forse la prima cosa che posso consigliare: aprirsi al mondo quanto prima. L’Australia è agli antipodi e come prima lunga esperienza fuori dall’Italia potrebbe essere troppo dura.
Il mio Paese mi manca molto.
Mi mancano prima di tutto gli affetti: le persone che amo meriterebbero molto più della comunicazione asettica alla quale li sto costringendo. Mi manca la cultura italiana -non quella che sono incaricata di promuovere qui a Sydney- i festival del cinema, la buona musica, i ristoranti all’aperto in spiaggia e i sapori del mare, guidare senza paura di sbagliare corsia, i saluti affettuosi con gente che incontri per strada. Mi mancano i virtuosismi verbali, i giochi di parola, gli accenti regionali, mi manca il profumo del vino novello, il cornetto e il cappuccio nei bar di Roma, gli aperitivi a Santa Croce a Firenze, i sapori della buona cucina Irpina, il lungo pranzo della domenica, i vestiti e le scarpe di qualità italiana a buon prezzo. Mi mancano queste e tante altre piccole cose che fanno il nostro Paese davvero Grande”.
Di Silvia Mammarella 30/11/2011



