Gianluigi Tosches ha aperto un ristorante pizzeria a Vinhedo nello stato di San Paolo. Gianluigi Tosches fin da giovanissimo si innamora del Brasile durante una vacanza.
Diverse difficoltà lo portano lontano dal “suo” Paese d’elezione, ma con tenacia e spirito d’inventiva, realizza un successo dopo l’altro. Oggi che ha aperto un ristorante pizzeria a Vinhedo non lascerebbe il Brasile per nulla al mondo.
Ciao Gianluigi, che cosa ti ha portato al trasferimento all’estero?
Dunque, la mia storia con il Brasile inizia più o meno nel 1989. A quel tempo ero iscritto a Scienze politiche e dovevo sostenere un esame di un seconda lingua straniera, così stavo seguendo un corso di tedesco in Germania della durata di otto mesi. Durante i mesi di gennaio e febbraio conobbi tantissimi brasiliani dato che in quei mesi per loro sono quelli delle vacanze estive.
Andai in Brasile per un mese e rimasi affascinato da tutto: colori, odori nell’aria, la gente, gli spazi enormi che in Europa non ci sono. Vedevo la gente che andava a lavorare la mattina che cantava a bordo degli autobus, questa cosa forse la ricordavo solo dai racconti di mia madre.
Quindi avevi deciso di restarci?
Tornato in Germania per finire il corso avevo anche pensato di finire l’Università, ma dopo il viaggio in Brasile ci ho rinunciato all’istante.
E sei ripartito subito?
In Brasile ci tornai a maggio dell’89, dopo più o meno sei mesi dalla prima volta. Decisi di tornarci per rimanerci, non ricordo come ma trovai un lavoro a Rio de Janeiro presso un’agenzia viaggi corrispondente di un tour operator italiano. Ci passai quasi un anno, nel frattempo il Brasile, dopo essere appena uscito da un periodo di governo militare, iniziò un lento cammino verso la democrazia, ma era proprio lento il cammino (ricordo che un pacchetto di pasta costava circa 7 dollari!).
Accade inoltre che l’allora presidente del paese Fernando Collor aveva appena approvato un piano economico da paura, del tipo che la gente la notte andava a letto la sera con i suoi risparmi in banca e la mattina dopo il governo aveva congelato tutto: la gente si suicidava, c’era un caos insomma, per cui terminato il mio contratto con l’agenzia, fatti due conti, mi resi conto che non c’era la possibilità di stare in Brasile. Tornai in Italia con un po’ di bottiglie di “cachaca” (acqua ardente brasiliana), un po’di lime, e cominciai a far provare caipirinhas ai miei amici in Italia nella città dove sono nato.
A quel punto che hai fatto?
Avevo parecchie idee in testa, parlai con un amico di scuola e così nacque l’idea di aprire un locale latino in Brianza -siamo nel ’94- e dopo sei mesi aprì il “Le Bahia” (www.lebahia.com, il locale esiste ancora adesso e penso sia uno dei locali storici latini in Italia). Mi ricordo che all’inaugurazione vendemmo qualcosa come 500 caipirinhas in 3 ore! Il locale partì alla grande e c’erano autobus che arrivavano da tutto il Nord per venire da noi il fine settimana. Purtroppo mi accorsi pian piano che l’Italia è un paese di vecchi fatto per vecchi, i giovani non hanno spazio e nemmeno le loro idee, figurarsi aprire un locale in Brianza, latino poi.
Ricordo che ogni lunedì ci chiamava il sindaco o l’assessore per farci la predica: ”ragazzi cosa state facendo, qui i giovani devono andare a letto presto per lavorare il giorno dopo”, idem il prete. I funzionari dell’usl venivano al locale perché pensavano di trovare le ballerine brasiliane nude sui tavoli. Noi spiegavamo che l’idea era creare un disco bar, un fenomeno che nasceva giusto in quegli anni. Abbiamo accumulato circa 30.000 euro di multe, in più con l’obbligo di chiusura alle 2 di notte. Se alle 2.05 c’era un cliente che finiva la birra erano 1.000 euro di multa. Secondo me l’Italia non è fatta per i giovani e tantomeno per divertirsi ecco.
Dopo l’euforia per aver creato qualcosa di nuovo in Italia inizia a prendermi sempre di più la voglia di ritornare in Brasile, e così ci torno in vacanza sempre più spesso.
Avevi intenzione di stabilirti in Brasile questa volta?
Diciamo che il destino ha fatto un po’ la sua parte. A “Le Bahia” avevamo un fornitore che aveva brevettato il sistema delle drink cards e stava iniziando ad aprire uffici in Sudamerica. Una volta, scherzando, dissi al proprietario se per caso non avessero bisogno di qualcuno in Brasile e manco mi fece finire che rispose di sì. Dopo un mese ero a S. Paolo. Restai a lavorare per circa un anno mentre intanto iniziai a vendere le mie quote al “Le Bahia”. Vendetti la mia parte al mio ex socio in Italia. Con i soldi aprii nel ’99 la prima pizzeria nella città di Torres, nel sud del Brasile, nello stato del Rio grande do Sul.
L’anno prima avevo conosciuto la donna che sarebbe diventata la madre di mio figlio. La quale mi aiutò per la burocrazia e permessi vari. Contando che io sapevo già lavorare (allora affittammo una casa per turisti ed in 4 mesi l’avevo trasformata in pizzeria). Torres era una cittadina dove passavano le vacanze i “gauchos” ricchi. Frequentata anche da molti turisti argentini per cui la pizzeria “Girasole” fu un successone, c’era la fila tutta la stagione. Successivamente ci trasferimmo per 3 anni a Porto Alegre, capitale dello stato con 2 milioni di abitanti. E aprii anche lì la “Girasole” che fu un gran successo.
Cosa ti ha portato ad aprire un nuovo ristorante pizzeria in Brasile a Vinhedo?
Perché purtroppo dopo la separazione dalla madre di mio figlio, lei decise di tornare nella sua città natale. Vinhedo, dove mi trovo adesso, per non stare lontano da mio figlio.
Avevo dovuto vendere tutto a Porto Alegre e Torres e mi trasferii a Vinhedo, che si trova a 75 km da S. Paolo, penso sia una delle zone più ricche del Sudamerica, potremmo definirla la “Brianza del Brasile”.
Vendute le pizzerie dovevo inventarmi qualcosa per vivere e mantenere mio figlio che viveva con me e aveva circa sei anni. Iniziai quasi per gioco a fare qualche lavoro come traduttore e a dare lezioni di italiano. Così riuscii a mantenermi e crescere mio figlio.
Un giorno, parlando con un mio studente, gli raccontai che avevo le pizzerie e che mi sarebbe piaciuto tornare a lavorare in questo settore, così nacque l’idea della “Peperino”: questo ex studente diventa il mio socio ed essendo architetto realizza il progetto della “Peperino” www.peperino.it che è nata da zero.
Abbiamo avuto la fortuna di trovare un terreno sulla piazza principale della città di Vinhedo. Ora va benone, siamo stati anche riconosciuti dalla F.I.P. (Federazione Italiana Pizzaioli nel mondo). Siamo il primo locale che ha la birra Moretti come sponsor principale e non è facile da ottenere. Siamo praticamente per l’80% prodotti italiani, a parte le verdure ovviamente.
Com’è la vita brasiliana? Tu ti sei letteralmente innamorato di questo Paese. Cosa ti ha colpito? Trovi molte differenze rispetto al modo di vivere italiano?
Il bello qui è nel modo di saper vivere. I brasiliani sanno godersi la vita molto più di noi. Ad esempio si sanno divertire con poco: una birra, gli amici e poco altro. A me piace giocare a tennis, gioco tutti i giorni praticamente. Qui c’è un club che è un po’come fosse la piazza in Italia. Ci si trova al club, si gioca, si beve una birra. A volte anche in pieno lunedì e dopo il gioco e la bevuta spuntano le chitarre e si canta tutti insieme. Sono cose che in Italia manco si sa più che esistono. Penso che qui quello che vale è la semplicità delle cose, quello che gli italiani non hanno più purtroppo. Quando vengo in Italia vedo solo gente arrabbiata con il mondo e con la vita, penso che in Italia manchi il calore umano.
Ti faccio una domanda forse superflua vista la tua storia, torneresti a vivere in Italia?
Eh già, io in Italia non ci tornerei nemmeno per tutto l’oro del mondo. Sono 4 anni che non vado in Italia. L’ultima volta dovevo rimanerci un mese ma dopo 18 giorni mi è venuta tristezza. Tutti si lamentano ma poi alla fine non fanno nulla per cambiare le cose. Mi sono stancato di sentirmi dire le solite parole: “Ah beato te che sei in Brasile!”, solo che io mi sono fatto da solo.
Di Luisa Galati 22/06/2012