Francesca Frosoni, un’eclettica carriera a Londra
Si può decidere di mollare tutto nel giro di 3 settimane e partire per l’Inghilterra senza più tornare? A quanto pare sì! Francesca Frosoni, oggi 38 anni, ha lasciato la sua Roma 11 anni fa. In Italia, dopo la maturità classica, aveva avviato una società di eventi operante in tutto il territorio nazionale. Un’esperienza faticosa, anche se realizzante, portata avanti con passione, almeno fino al giorno in cui un evento demoralizzante l’ha spinta a riflettere sulla possibilità di cambiare radicalmente la propria vita.
Cosa facevi in Italia prima di partire?
Dopo il diploma ho lavorato in vari cocktail bar sul territorio romano. A 23 anni ho aperto una società di eventi chiamata “One More Night”: organizzavo parties e serate di cabaret; inizialmente a Roma, ma poi mi sono spostata in altre località come Milano, Napoli, Pescara etc. Ho collaborato con moltissimi artisti oggi conosciuti nella televisione italiana.
Gli affari, quindi, non andavano male. Perché hai deciso di lasciare l’Italia?
Avevo 27 anni e una grande voglia di fare, ma, nonostante fossi preparata in Marketing PR, facevo un’enorme fatica a farmi spazio tra le grandi società di organizzazioni eventi. Quando, poco tempo prima, avevo deciso di lasciare la piccola società a conduzione familiare in cui operavo per mettermi in proprio non mi aspettavo di incontrare così tanti ostacoli.
Ostacoli di quale tipo? Il lavoro è faticoso non solo in Italia, o no?
Ti assicuro che in Italia lo è, però, in maniera particolare: mettendomi in proprio ho dovuto imparare a districarmi tra il complicatissimo sistema di tassazione italiana, ad esempio. Ho aperto una partita IVA e ho iniziato a fare le cose da sola: ho lavorato ovunque e con nomi oggi molto importanti, ho collaborato all’organizzazione di concerti ed eventi di grandissime proporzioni, come il World Gay Pride del 2000. Le tasse, però, erano insostenibili e dovevo inventarmi di tutto per restare in piedi, tra sponsorship e continue ricerche di fondi. Un giorno un altro organizzatore romano mi ha proposto di unirci in società. Io ero giovane ed inesperta: mi sono sentita supportata. Questo signore, in tre mesi scarsi, mi ha portato via tutti i soldi e un database di 50mila iscritti. Ero emotivamente ed economicamente distrutta.
L’idea è scattata a questo punto della tua vita? E’ stata una decisione difficile?
Mi sono fermata un attimo a riflettere: avrei potuto ricostruire tutto il perduto, impegnandomi per altri 2 anni per tornare al punto in cui ero, ma non vedevo un futuro. Avrei dovuto continuare a farmi strada tra spintoni e gomitate, tra persone disoneste e tasse che non sempre riuscivo a pagare. Le uniche parole che tutti mi ripetevano erano che ero una scema a pagare tutto e che avrei dovuto lavorare in nero. Così un giorno me ne sono andata: l’ho deciso in appena 3 settimane.
Perché hai scelto proprio Londra?
Perché ci ero già stata nel 1997. Ero venuta qui per tre mesi per imparare l’inglese e mi aveva colpito la dinamicità e il potenziale del posto. Parlo di Londra nello specifico, più che dell’Inghilterra. Ricordo che, quella volta, atterrai alle 3pm di un giovedì e alle 7pm lavoravo già in un ristorante.
Qual è la tua attività ora?
Appena arrivata, con un inglese maccheronico, ho ripreso a fare cocktails. Tuttavia la meritocrazia di questo paese è sorprendente: nel bar dove lavoravo le mie prime proposte di piccoli eventi sono state abbracciate con entusiasmo! Da quel momento ho collaborato, per circa un anno, con il dipartimento di Marketing. Con lo stipendio aumentato mi sono permessa di studiare: ho conseguito una laurea in Business Management e ho trovato lavoro nell’ufficio commerciale di un hotel dove, in due anni e mezzo, mi hanno promosso ed aumentato lo stipendio di ben quattro volte (senza conoscere nessuno!). In poco meno di 3 anni dal mio arrivo ho aperto, così, una mia attività di consulenza commerciale per hotel di lusso che porto avanti tutt’ora con successo e soddisfazione. La mia passione per l’organizzazione di eventi, ad ogni modo, continua: ora sto organizzando serate per la comunità italiana, portando attori, comici, musicisti e spirito italiano qui in UK (un hobby che sta, pian piano, diventando un lavoro)
Tornando ai giorni della tua decisione di espatriare, quali sono state le reazioni di parenti ed amici?
I miei genitori erano felici: io e i miei fratelli siamo stati educati a viaggiare da sempre. Ci dicevano: “se vuoi fare il pescatore di salmoni, devi andare in Norvegia!”. Mia madre e mio padre erano dell’idea che o saremmo potuti restare in Italia facendo un lavoro manuale specializzato o sarebbe stato meglio che fossimo andati via. In Italia è rimasto solo mio fratello, che ha scelto di fare il macellaio.
Quali sono i primi contatti avuti al tuo arrivo?
Spagnoli e francesi. Ho imparato queste due lingue prima ancora dell’inglese stesso! Poi è arrivata mia sorella. Ho sempre cercato di evitare di frequentare troppo gli italiani per poter imparare la lingua il prima possibile. Un bel po’ di tempo dopo il mio arrivo, ho sposato uno spagnolo di Santander. Anche lui ha vissuto in Italia: è stato un anno a Roma ed uno Bologna, ma non vuole saperne di tornare!
Una ventisettenne da sola a Londra. Avrai avuto delle difficoltà iniziali, immagino.
Nulla di troppo grave. Certo, la nostalgia iniziale è tanta. Alcune cose bellissime dell’Italia mi mancavano molto: i punti di ritrovo dove incontravo i miei amici, la condivisione di opinioni in modo aperto… Non parlare bene una lingua è come essere amputati nell’anima: non ci si può esprimere liberamente, ci si sente quasi stupidi.
Quali sono le maggiori differenze che trovi tra Roma e Londra nell’organizzazione del lavoro?
La risposta a questa domanda sarebbe lunga e molto complicata. Sarò sintetica: qui è tutto più semplice. Il sistema è talmente differente che non saprei da dove cominciare a spiegare. E’ un’altra dimensione! A partire dal colloquio fino a giungere ai corsi con cui le imprese ti formano, non solo per lavori di alta responsabilità, ma anche per mansioni semplicissime come l’uscire, la receptionist o la cameriera! Per non parlare della facilità di cambiare posizioni dentro e fuori un’impresa! Non che fare carriera sia una passeggiata: è necessario comunque lavorare duro… La crisi si sente anche qui: trovare lavori manageriali e direttivi è diventato più difficile.
E per quanto riguarda invece le differenze di mentalità?
Inglesi ed italiani sono due popoli profondamente diversi, con una storia molto diversa. Qui se passeggi nuda con una penna in testa non desti alcuna curiosità! Si è abituati a vedere usi e costumi diversi: avere un accento straniero non significa necessariamente essere un “vucumprà”. Del resto qui manca la facilità di comunicare emozioni: manca il senso stretto di gruppo, di famiglia. Noi italiani, però, ci sentiamo forse più legati a questa idea di “gruppo” solo una volta che andiamo via dall’Italia.
C’è qualcosa di italiano che importeresti a Londra?
Lo spirito, la capacità di comunicare, di scambiarci idee e pensieri, la profondità di certe discussioni che qui sono quasi inesistenti. Per il resto, a pizza, spaghetti e caffè ci hanno già pensato altri connazionali prima di me!
Qualcosa che, invece, sarebbe bene che l’Italia acquisisse da Londra?
Organizzazione, rispetto per il prossimo, onestà, senso civico e del dovere, sensibilità per l’ambiente, rispetto del cittadino per le istituzioni e delle istituzioni per il cittadino, chiarezza e semplicità nelle procedure, volontà di sviluppo, volontà di collaborazione… devo continuare?
Mantieni i contatti con i tuoi amici italiani?
Certo! Molti vengono a trovarmi e sono sempre di più quelli che rimangono qui! Al mio arrivo, nel ’99, non esistevano Skype o Facebook, le mail erano rare e ci si scriveva a mano. Oggi è tutto più semplice: i ragazzi che arrivano qui ora soffrono molto meno il distacco.
Torni spesso in Italia? Hai mai pensato ad un rientro definitivo?
Torno abbastanza spesso, ma non ho mai pensato di tornarci definitivamente. Qui sto bene: ho un presente ed un futuro, mentre in Italia vivo solo il passato degli altri. Preferisco andare a Roma per uscire con gli amici, andarmene a teatro e a cavallo, mangiare una buona cena, quattro risate e poi via: a casa mia, dove ogni anno vedo un avanzamento, un miglioramento. Sicuramente un giorno vivrò altrove, ma non in Italia.
Di Maura De Gaetano 04/11/2010