Ancora oggi dopo oltre trent’anni, il nome Vietnam, evoca nella mente di tutti le crude immagini di una guerra che per oltre un decennio ha devastato questo affascinante angolo di Indocina, ricco di vestigia di antiche civiltà e di templi, di silenti risaie coltivate da contadini con il tradizionale cappello a cono e di frenetiche città invase da moto e biciclette, di bianche ed interminabili spiagge e di verdi ed aspre montagne.

Lunedì 7 ottobre

In una splendida giornata di sole, ultimo scampolo d’estate, raggiungiamo l’aeroporto di Malpensa. Voliamo a Parigi, da dove in serata con un volo Air France partiamo alla volta del sud-est asiatico.

Martedì 8 ottobre

Passiamo la notte in volo, sorvolando tranquillamente Medio Oriente e sub-continente indiano. Alle 11, ora locale, atterriamo a Bangkok, dove è prevista una sosta tecnica di quasi due ore; un’ottima occasione per sgranchirci le gambe, prima dell’ultimo balzo verso il Vietnam. Finalmente, nel primo pomeriggio, accolti da una giornata grigia e piovosa, giungiamo ad Ho Chi Minh City, la vecchia Saigon; in taxi raggiungiamo Phan Ngu Lao, quartiere con un’alta concentrazione di alberghi di ogni categoria e prezzo. Avendo ancora qualche ora di luce davanti a noi, depositati i bagagli, usciamo per una prima presa di contatto con la città, immergendoci nelle sue affollatissime e trafficate strade.

Mercoledì 9 ottobre

Il programma odierno, è interamente dedicato alla visita della città. Usciamo di primo mattino e ci incamminiamo verso il mercato coperto di Ban Thanh; nei giardini pubblici situati nelle vicinanze dell’albergo, persone di ogni età e sesso sono impegnate nella ginnastica mattutina o in accanite partite di badmington. Ci muoviamo con circospezione nel traffico mattutino, attraversare i larghi viali percorsi da un flusso continuo di motocliclette che sfrecciano incuranti dei pedoni si rivela un’impresa alquanto ardua. Superate le bancarelle del coloratissimo mercato all’aperto di Ton That Dom, raggiungiamo il cuore della vecchia Saigon. Siamo nella zona in cui sorgono il Teatro Municipale; l’Hotel Continental, un edificio coloniale che ha ospitato numerosi ed illustri corrispondenti di guerra, durante gli anni del conflitto con gli Stati Uniti; l’Hotel de Ville, austero palazzo costruito agli inizi del ‘900, utilizzato come municipio durante l’epoca coloniale, ed ora sede e palazzo del Comitato Popolare; il monumento ad Ho Chi Minh, il padre della patria. Raggiungiamo la Cattedrale di Notre Dame e l’attigua costruzione in ferro e vetro edificata da Eiffel, che ospita gli uffici della posta centrale, reminiscenze anch’esse del periodo coloniale francese, prima di giungere al Palazzo della Riunificazione, il palazzo presidenziale verso cui si diressero i carri armati vietcong il giorno dell’entrata in Saigon. L’edificio, un tempo simbolo del governo sud-vietnamita è rimasto pressochè identico a com’era la mattina del 30 aprile 1975, giorno in cui cessò di esistere la Repubblica del Vietnam e che segnò la fine di una lunga guerra costata la vita a 3 milioni di vietnamiti ed a 58.000 soldati americani. L’atmosfera che aleggia nei vasti saloni, rende il palazzo affascinante; si rivivono di persona quelle realtà che tante volte in gioventù avevo visto in televisione durante i reportages sulla guerra. Concludiamo la giornata al museo Ho Chi Minh, dove le interessanti fotografie esposte ripercorrono la storia vietnamita, dall’inizio del colonialismo francese fino alla “liberazione” di Saigon nel 1975.

Giovedì 10 ottobre

Usciamo di buon’ora. A piedi, raggiungiamo il Museo dei Residuati Bellici, conosciuto un tempo come il Museo dei crimini di guerra cinesi ed americani, il più visitato dai turisti occidentali a Saigon. Anche se molte delle atrocità commesse da eserciti in guerra, sono ampiamente conosciute e sono state documentate dai media nei conflitti più recenti, questo resta un museo estremamente duro e “choccante”. Pur se di parte, e a volte forzatamente fazioso, da, come pochi altri musei al mondo, un’idea chiara, brutale, sconvolgente delle crudeltà e delle nefandezze che vengono perpetrate, durante un conflitto, sopratutto ai danni della popolazione civile. Nei giardini e nelle sale, carri armati, pezzi di artiglieria, bombe, residuati bellici ed armi di ogni genere e tipo. La parte più sconvolgente è comunque fotografica; immagini, molte delle quali provenienti da fonti americane, che hanno immortalato le scempiaggini ed i massacri compiuti in guerra. Altrimenti sconvolgente, l’esposizione di recipienti in vetro contenenti i feti di bambini deformi; deformazioni causate dagli effetti della diossina, dei defoglianti e del famigerato agente “orange”. Una sezione, estremamente interessante per chi come me è appassionato di fotografia, è quella dedicata ai reporter di guerra; fotografi che hanno pagato lo scatto di una foto con la vita, che ci hanno lasciato testimonianze, in alcuni casi dure e terribili e che hanno saputo cogliere ciò che la guerra in Vietnam è stato ed ha rappresentato. Sono foto conosciutissime, pubblicate nel corso degli anni dalle più famose riviste di tutto il mondo. Quando lasciamo il museo, nelle cui sale, il silenzio pesa come un macigno e ci rituffiamo nel traffico e nell’animazione della città, siamo senza parole; anche se eravamo preparati a quello che avremmo visto, anche se molte immagini erano conosciute, anche se molti films sulla guerra in Vietnam, erano stati un duro atto d’accusa, mai avremmo potuto immaginare, quanto sarebbe stata cruda la realtà.
In taxi raggiungiamo il quartiere di Cholon, un angolo di Cina, un enorme mercato fra vecchi e malridotti ma affascinati palazzi coloniali. In risciò, ci facciamo portare alle pagode di Giac Lam, la più antica di Ho Chi Minh City e di Giac Vien; sono entrambe in una zona periferica della città e vi si respira un’atmosfera serena, quasi agreste. Rientrati con un affollato autobus urbano a Phan Ngu Lao, ci rechiamo in una delle numerose agenzie che propongono escursioni nel delta del Mekong. Visto il costo irrisorio, decidiamo di utilizzare i loro servizi, piuttosto che muoverci autonomamente.

Venerdì 11 ottobre

Alle 8 siamo alla Mekong Delta Tour, l’agenzia che abbiamo scelto per l’escursione nella regione del delta. Il gruppo di cui facciamo parte è composto da otto persone; oltre a noi, due ragazzi tedeschi, due spagnoli ed un signore francese con la moglie vietnamita. In minibus lasciamo Saigon; percorrendo una trafficata arteria asfaltata che attraversa campi coltivati e risaie, raggiungiamo My Tho, capoluogo di provincia, che sorge sulle rive dell’estremo braccio settentrionale del Mekong. Appena fuori città, ci fermiamo nei pressi di un casolare, al cui pontile sono attraccate alcune lance; lasciato il minibus, che ritroveremo nel pomeriggio a Vinh Long, saliamo in barca. Percorriamo una selva di stretti corsi d’acqua invasi da una vegetazione rigogliosa, per raggiungere Cai Be, dove si tiene un animato mercato fluviale. Sotto il profilo imponente della cattedrale cattolica che sorge proprio sulle rive del fiume, le minuscole lance a remi condotte da donne con il caratteristico cappello a cono, scivolano agili fra i grossi battelli. L’ora è un po’ tarda e l’animazione tipica delle prime ore del mattino è già svanita. Proseguiamo la navigazione; fra incantevoli villaggi che si specchiano nelle acque tranquille dei corsi d’acqua più piccoli. Dopo aver fatto sosta a Tanphong Island, villaggio del delta, dove la popolazione del luogo produce articoli artigianali e “pop corn”, ci immettiamo in uno dei rami principali del Mekong. Il fiume in alcuni punti molto largo, ha una portata d’acqua impressionante; lo risaliamo fino a Vinh Long, dove terminiamo la navigazione odierna. In attesa del minibus che ci porterà a Cantho, passeggiamo per la cittadina e per l’animato mercato dove oltre al pesce, sono in vendita alcuni tipi di serpenti; tenuti in apposite teche, costituiscono una vera leccornia per i buongustai locali.

Sabato 12 ottobre

L’appuntamento con gli altri componenti del gruppo, è poco dopo l’alba. Una veloce colazione ed in minibus ci dirigiamo al fiume per recarci, nuovamente in barca, ai mercati galleggianti di Cai Rang e di Phong Dien. Ci muoviamo attraverso una ragnatela di canali suggestivi, sulle cui rive sorgono capanne isolate e piccoli villaggi; il livello del fiume è molto alto e molte abitazioni sono letteralmente lambite dall’acqua. Entrambi i mercati sono molto animati; quello di Phong Dien, in particolare, è molto suggestivo per la presenza di numerosissime piccole barche a remi. Ci addentriamo lentamente nel mercato, mentre intorno a noi, fervono commerci e trattative. Notiamo che oltre a verdura, frutta ed ortaggi, sono in vendita altri tipi di merce; alcune barche in perenne movimento, vendono le “baguettes” il tipico pane francese diffuso in tutto il Vietnam, reminescenza gastronomica del periodo coloniale. Altre imbarcazioni condotte quasi esclusivamente da donne, hanno a bordo un grosso pentolone, sotto cui arde una fiamma; vendono una zuppa calda, assai richiesta ed apprezzata. Passiamo l’intera mattinata in barca; quando scendiamo ci concediamo una passeggiata per il villaggio per poter apprezzare, prima di far rientro a Saigon, la vita della gente del delta.

Domenica 13 ottobre

A piedi ci rechiamo all’agenzia, dove ieri al nostro rientro dall’escursione, abbiamo acquistato i biglietti per raggiungere Nha Trang. Abbiamo deciso di concederci qualche comodità ed optando per il minibus turistico, utilizzato prevalentemente da turisti o da vietnamiti benestanti, abbiamo evitato di recarci alle 5 di mattina alla stazione dei bus di Mieng Dong situata alla periferia della città. Alle 8.30, l’autobus che si era già fermato a caricare presso alcuni hotels, altri viaggiatori, è di fronte agli uffici della Mekong Delta Tour. E’ quasi al completo; troviamo posto vicino ad una ragazza tedesca, Katrine, che si è concessa un anno sabbatico per visitare in tutta tranquillità, l’Oriente. Seguendo la statale 1, la strada che collega Ho Chi Minh City ad Hanoi, arriviamo a Mui Ne, dove è prevista la sosta per il pranzo. Ne approfittiamo per una rilassante passeggiata sulla lunghissima spiaggia orlata da palme; per la prima volta vediamo le barche a cesto, utilizzate dai pescatori per raggiungere, dai pescherecci ormeggiati in rada, la riva. Qui è previsto anche il cambio dell’autobus; noi proseguiamo con un bus proveniente da Nha Trang che ritorna a nord e viceversa chi è diretto a sud sale sul bus, utilizzato da noi, che rientra a Saigon. Dopo nove ore di viaggio giungiamo a Nha Trang. Scopriamo che i bus turistici portano i propri passeggeri direttamente agli hotels presso cui pensano di soggiornare; ci facciamo così lasciare al Phu Qui, l’albergo scelto in base alle indicazioni della Lonely Planet.

Lunedì 14 ottobre

Vista la bellissima giornata di sole, decidiamo di noleggiare una motocicletta, direttamente all’hotel in cui alloggiamo, di proprietà di un simpatico ed intraprendente signore vietnamita, così da poter visitare in piena libertà ed autonomia Nha Trang ed i suoi dintorni. Costeggiando il lungomare, ci dirigiamo verso i quartieri settentrionali della città. Dal lungo ponte che attraversa la foce del fiume Cai ed il porto fluviale in cui sono ormeggiati decine e decine di coloratissimi pescherecci, possiamo osservare il frenetico movimento di pescatori che raggiungono riva utilizzando i thung chai, le barche a cesto, già viste a Mui Ne; ceste circolari di circa due metri di diametro fatte con strisce di bambù intrecciate e rese impermeabili da uno strato di pece. Siamo nei pressi della collina di Hon Son, ai cui piedi sorge ciò che rimane del complesso cham di Po Nagar; torri erette nel VI°/VII° secolo, dedicate a Po Nagar, una dea venerata durante l’impero cham ed oggi meta di pellegrinaggio per i fedeli buddhisti. Dopo aver costeggiato le rovine del mandapa, la sala della meditazione, saliamo sulla spianata su cui sorgono le quattro torri rimaste integre delle otto costruite in origine; circondati dai fedeli in raccoglimento, osserviamo i bassorilievi e le incisioni che le ornano. In moto, sotto un sole a picco, proseguiamo verso nord; ci dirigiamo verso Doc Let, località balneare distante una trentina di chilometri. Attraversata la cittadina di Ninh Hoa, abbiamo qualche difficoltà a trovare la giusta direzione. Le persone a cui ci rivolgiamo per ottenere indicazioni, sempre sorridenti, fanno l’impossibile per spiegarci con parole a noi incomprensibili la strada da seguire; anche la gestualità, nostra e loro, non è per entrambi facilmente comprensibile, ma ci consente di giungere ugualmente a destinazione. La spiaggia è deserta; dopo aver visitato il piccolo villaggio di pescatori ci concediamo qualche ora di relax. Ritornando in città, constatiamo come il poco traffico che percorre la statale 1, la direttrice che attraversa il Vietnam in tutta la sua lunghezza, sia composto quasi esclusivamente da autocarri ed autobus. Ritornati a Nha Trang, terminiamo la visita della città recandoci dapprima alla pagoda di Long Son ed all’enorme Buddha eretto sulla collina prospicente e successivamente, alle ville di Bao Dai, costruite negli anni ’20, per l’ultimo imperatore vietnamita, sul promontorio che divide Nha Trang dal porto di Cau Da, dove ci godiamo la splendida vista sulla baia, nella calda luce del tramonto.

Martedì 15 ottobre

In taxi attraversiamo la città deserta, ancora avvolta dalle tenebre. In dieci minuti, siamo al terminal degli autobus di Lien Tinh, alla periferia della città; siamo diretti a Pleiku e non essendoci, su questa tratta, autobus turistici, dobbiamo utilizzare l’autobus di linea. L’orario di partenza è fissato per le 5,30; mentre Adriana resta vicino al bus con i bagagli, mi reco alla biglietteria per l’acquisto dei biglietti. Gli addetti parlano solo vietnamita; abbiamo difficoltà nel capirci, ma una frase mi è chiara: “no ticket”. Insisto, a gesti mi invitano ad aspettare. Finalmente una signora, in inglese mi spiega, che solo i locali possono acquistare i biglietti presso la biglietteria; gli stranieri devono vedersela direttamente con l’autista dell’autobus. Ritornato da Adriana, attendiamo l’arrivo del conducente e del suo aiutante, i quali dopo una veloce consultazione, ci chiedono una cifra venti volte superiore al costo ufficiale del biglietto. Cerchiamo di contrattare, ma non ne vogliono sapere. L’autobus è quasi vuoto, le 5,30 sono passate da un pezzo, ma di partire non se ne parla. Ci viene detto che partirà quando sarà pieno! Attendiamo pazientemente vicino al bus, con i nostri bagagli. Ogni qualvolta l’autista o il suo aiutante ci passano accanto, ci domandano quando saliamo; alla risposta, non al prezzo richiesto, se ne vanno. Ha inizio un braccio di ferro che termina alle 6,30, quando con una ventina di passeggeri a bordo, ci comunicano che è ora di partire, di consegnare i bagagli e salire. La trattativa si fa rapida e serrata, alla fine riusciamo a spuntare un prezzo decisamente migliore. Partiamo. Percorriamo la statale 1, che in alcuni tratti, costeggiando il mare ci offre panorami suggestivi; a Qui Nhon lasciamo la strada costiera per inoltrarci, lungo la statale 19, verso l’interno del paese. Dopo nove ore di viaggio e 430 chilometri giungiamo a Pleiku. E’ ancora presto; decidiamo di proseguire fino a Kontum. Uscendo dal terminal dei bus siamo subito circondati dagli autisti di microscopici pulmini che ci sciorinano le loro destinazioni. Quello diretto a Kontum è, almeno per noi, già strapieno; purtroppo ci sbagliamo. Ci fanno salire e con noi salgono altri passeggeri. Siamo pigiati in venti – venticinque, in uno scatolino che dovrebbe trasportare quattro o cinque persone. In queste condizioni affrontiamo il trasferimento che dura circa un’ora fra i continui sobbalzi di una stretta strada asfaltata. Avvicinandoci a destinazione, la gente comincia a scendere nei piccoli villaggi attraversati o nei dintorni di isolati e sperduti casolari. Quando giungiamo a Kontum siamo rimasti in pochi; il tempo di recuperare i bagagli legati sul tetto e realizziamo di trovarci nel bel mezzo di una piazza deserta. L’unica presenza umana è data da un signore che si avvicina dicendo di essere un “mototaxi-driver” e che si propone quale guida per la visita dei villaggi abitati dalle minoranze etniche che si trovano nei dintorni e di cui dice, di essere profondo conoscitore. Ci accompagna nella ricerca, alquanto difficoltosa, di una camera; pur non essendoci nessuno, i due alberghi del paese, riferiscono di essere al completo. L’ultima possibiltà è una piccola guest-house, aperta recentemente e gestita da una signora che non parla inglese; solo con l’aiuto del mototaxi-driver che ci fa da interprete riusciamo ad ottenere una sistemazione per la notte.

Mercoledì 16 ottobre

Kontum è al centro di una regione abitata da alcune minoranze etniche, i Bahnar, i Jarai, i Rengao. A differenza di Pleiku, dove per recarsi nei villaggi è necessario ottenere dei permessi, a volte non facili ed allo stesso tempo costosi da ottenere, a Kontum, tale obbligo non esiste. Quando usciamo dalla guest-house il nostro mototaxi ci sta già aspettando, insieme ad un altro signore anch’esso motorizzato. Siamo gli unici occidentali e la nostra presenza non passa certo inosservata, soprattutto a bordo di due motociclette. Ci dirigiamo subito ai villaggi più lontani, percorrendo strade in terra battuta che si inoltrano tra le colline dove la vegetazione nella totale assenza di alberi d’alto fusto è costituita quasi esclusivamente da arbusti e cespugli. Visitiamo alcuni villaggi: Kon Dra Ji, Knomh, Plei Ton Nghia, abitati da etnie Bahnar e Jarai. Nei villaggi, costituiti da rustiche case in legno ci sono solo donne intente ad accudire una moltitudine di bambini o ad intrecciare stuoie in bambù; gli uomini sono nei campi o al pascolo con i bufali. Scendiamo al fiume, un uomo con un’accetta sta pazientemente ricavando una canoa da un tronco d’albero. Purtroppo non indossano più gli abiti tradizionali, ma ciò nonostante hanno mantenuto inalterato il loro fascino. Ammiriamo le case rong, abitazioni costruite su palafitte che in passato avevano lo scopo di difendere la popolazione dagli animali più feroci e che ora sono centri di aggregazione per la gente del villaggio, in cui vengono celebrati gli avvenimenti più importanti per la comunità. Ritornati a Kontum, ci rechiamo al piccolo mercato per raggiungere passeggiando per le tranquille e deserte strade della cittadina, la caratteristica chiesa cattolica costruita interamente in legno. Veniamo avvicinati da un sacerdote vietnamita, che ci invita a visitare il seminario ed il museo sulle etnie della zona, ospitato nel seminario stesso. Curioso, gentile e disponibile è felicissimo di parlare in francese con noi; ci spiega gli usi ed i costumi delle popolazioni della zona e di come le autorità locali hatto fatto e facciano di tutto per “educare” la gente del posto, snaturandone le origini. Ritornando verso la guesthouse, nell’attraversare la piazza, l’autista di un microbus ci avverte che l’ultima corsa della giornata per Pleiku, sta per partire; ci sono pochi passeggeri, un ottima opportunità per viaggiare più comodi.

Giovedì 17 ottobre

Anche stamane sveglia prima dell’alba. Nella fresca brezza mattutina, mentre il sole comincia a fare capolinio fra le colline, con due mototaxi raggiungiamo il terminal dei bus a lunga percorrenza. Ormai conosciamo la prassi, ed al diniego della biglietteria di venderci i biglietti ci mettiamo alla ricerca del bus per Hoi An. Il conducente questa volta ci chiede una cifra più ragionevole e dopo una breve trattativa aiutati anche da Diung, una ragazza vietnamita, che possiede una sartoria ad Hoi An e che rimprovera l’autista per l’eccessiva esosità delle sue richieste agli stranieri, saliamo a bordo. L’autobus si riempie velocemente e con un ritardo più contenuto sull’orario ufficiale lasciamo Pleiku. Fino a Qui Nhon percorriamo a ritroso la statale 19; ci immettiamo quindi sulla direttrice che conduce a nord, la statale 1. Essendo l’autobus diretto a Danang, dobbiamo scendere all’incrocio di Dien Ban, distante una decina di chilometri da Hoi An, che sorge sulla costa. Scende con noi anche Diung ed una sua amica; è lei che procura quattro mototaxi e contratta il prezzo anche per noi. Nell’accomiatarsi, ci invita a visitare la sua sartoria e ci indica l’hotel di un suo conoscente, in cui decidiamo di fermarci.

Venerdì 18 ottobre

I marciapiedi di fronte al nostro albergo cominciano ad affollarsi di gente. C’è chi, seduto su bassi sgabelli attende nei chioschi allestiti lungo la strada, la cottura della zuppa servita per la colazione mattutina e chi indossato un candido ao dai, l’abito tradizionale femminile, si sta recando a scuola. Camminando per le strette vie, ci dirigiamo verso il borgo storico; Hoi An, incantevole cittadina conosciuta nei secoli scorsi come punto di approdo lungo le rotte commerciali dell’Asia, fortunatamente, è stata toccata solo marginalmente dalla guerra. Camminando fra vecchie abitazioni, tuttora abitate dai discendenti degli antichi proprietari, fra pagode e case di culto degli antenati, possiamo vedere come si sviluppava una città commerciale orientale nel periodo medioevale. Ci rechiamo a visitare una delle vecchie case del centro storico, la casa di Tan Ky; costruita agli inizi del XIX° secolo, perfettamente conservata, era appartenuta ad un ricco mercante ed aveva la particolarità di essere adibita, nella parte retrostante che si affaccia sul fiume, a deposito per le merci. Ci portiamo al vicino ponte giapponese coperto, eretto nel 1600 dalla comunità giapponese per unire il proprio quartiere con quello cinese. Le vie, hanno mantenuto inalterato il loro aspetto d’altri tempi, in un alternarsi di ricche dimore appartenute a mercanti cinesi (Quan Thang e Phung Hung), di abitazioni del più recente periodo coloniale, di pagode e templi. Ne visitiamo alcuni: il tempio di Quan Dong, il tempio di Phuc Kien, la sala delle riunioni della Congregazione Cantonese. Raggiungiamo il mercato centrale, dove numerosissimi sono i negozi di sartoria, tra cui quello di Diung che confezionano abiti su misura in pochissimo tempo. Passeggiamo fino a Phan Boi Chan, la via che ospita un intero quartiere di vecchi edifici coloniali costruiti dai francesi con colonne e porticati e su cui si affaccia anche un’altra antica abitazione cinese, la casa di Tran Duong. Nel tardo pomeriggio, affittiamo una moto per recarci alla vicina spiaggia di Cua Dai; di sabbia finissima ed ombreggiata da palme, è purtroppo affollatissima.

Sabato 19 ottobre

Alle otto, il minibus che ci porterà a visitare il sito archeologico di My Son è al nostro albergo. Il costo molto contenuto dell’escursione, le voci raccolte in città sulla scarsa sicurezza del parcheggio per le moto e le strade prive di indicazioni stradali che non ci avrebbero agevolato nel raggiungere il sito archeologico ci hanno fatto optare, per l’utilizzo di un minibus turistico. My Son, il principale centro intellettuale e religioso dei Champa, regno che si sviluppò tra il II° ed il XV° secolo, è il luogo dove presumibilmente vennero sepolti i monarchi cham. Ciò che resta delle torri, dei santuari e dei monumenti si trova in una larga vallata circondata da colline dalla vegetazione assai rada; sono gli effetti dei defoglianti e della diossina utilizzati, durante la guerra del Vietnam, per stanare i viet-cong dalla foresta, che a My Son avevano una loro base. Quest’area fu teatro di lunghi combattimenti ed i monumenti subirono pesanti bombardamenti dalle forze americane; solo una decina, di cui alcuni gravemente danneggiati sono giunti fino a noi. Un poco delusi per i monumenti alquanto rovinati e per l’ambiente spoglio e brullo, facciamo ritorno a Hoi An. Ci rechiamo al mercato del pesce, che si svolge in un’area adiacente al fiume; è affollato di pescatori rientrati con le loro piccole imbarcazioni. Nel pomeriggio noleggiamo nuovamente una motocicletta per recarci alle Montagne di Marmo, colline situate a circa metà strada tra Hoi An e Danang e che secondo le credenze popolari rappresentano ciascuna, uno dei cinque elementi dell’universo, di cui portano il nome: acqua, legno, fuoco, metallo e terra. A piedi, risaliamo il sentiero che conduce alle pagode, alle abitazioni dei monaci ed alle grotte, luoghi sacri utilizzati come templi, che si trovano sui fianchi rocciosi delle montagne. All’interno statue di Buddha; la più caratteristica è la grotta di Huyen Khong che presenta una spaccatura nella roccia, da cui i raggi di sole entrano come fendenti tagliando l’oscurità della sala ed illuminando le statue dei mandarini e dei soldati poste a guardia del Buddha. Molto grande ed articolata, fu trasformata dai viet-cong, durante il periodo bellico, in ospedale da campo; i segni dei colpi dell’artiglieria americana sono ancora visibili sui muri dei templi vicini ed all’ingresso della grotta. Saliamo fino a Vong Giang Dai, punto panoramico da cui lo sguardo spazia sulle colline circostanti, sul mare e le spiagge sottostanti. Ritornati ad Hoi An, passeggiando sul lungo fiume, notiamo come la città si stia animando per la festa di questa sera; la leggendaria notte di Hoi An, la festa della luna piena, che ha luogo il 14° giorno di ogni mese lunare. Con il calare delle tenebre, la festa assume le sue connotazioni più caratteristiche; la luce fioca delle lanterne colorate, illuminando strade e vecchie case crea atmosfere molto particolari che ci fanno ritornare indietro nel tempo. Nelle vie e nelle piazze, rappresentazioni teatrali, saltimbanchi, giocolieri e spettacoli di canti e danze allietano la serata di grandi e piccini.

Domenica 20 ottobre

Con il consueto autobus turistico, lasciamo Hoi An, per raggiungere Huè. Percorriamo nuovamente il tratto di strada che conduce alle Montagne di Marmo e costeggiando le lunghe spiagge deserte di China beach, ci dirigiamo a Danang. Attraversato il centro della città, la strada dal livello del mare comincia a salire tortuosa verso il valico di Hai Van, il passo delle nuvole marine, lo spartiacque climatico fra il nord ed il sud del paese, situato ad una altitudine di circa 500 metri, da cui lo sguardo spazia sulle zone circostanti. In cinque ore siamo a Huè, la città storicamente più importante del Vietnam, essendo stata la capitale politica del paese, dal 1802 al 1945, durante il regno dei tredici imperatori della dinastia Nguyen. Durante la guerra, la città fu vittima di una delle pagine più cruente dell’intero conflitto. Nel 1968 in seguito all’offensiva del Tet, così chiamata perchè avvenne mentre il paese si stava preparando a festeggiare il “Tet Nguyen Dan”, l’inizio del nuovo anno lunare, le forze vietcong riuscirono a conquistare per alcune settimane la città ed iniziarono la sistematica eliminazione delle persone ritenute anticomuniste; ne seguirono violenti combattimenti con lancio di razzi vietcong e bombardamenti americani che rasero al suolo interi quartieri. Iniziamo la nostra visita dalla cittadella fortificata, la vasta area che racchiudeva al suo interno la Città Imperiale; una città nella città, protetta da una seconda cinta di mura alta oltre sei metri, che a sua volta racchiudeva la Città Purpurea Proibita, la residenza privata dell’imperatore. Vi entriamo attraverso la porta Ngo Moi, la principale via d’accesso, sovrastata dal Belvedere delle cinque fenici, utilizzato dall’imperatore per mostrarsi al popolo nelle occasioni più importanti. Insieme all’adiacente palazzo di Thai Hoa ed alla sala dei Mandarini, è ciò che è sopravissuto alla guerra. All’interno, non sono rimaste che poche rovine di quella che era la Città Purpurea Proibita, andata quasi completamente distrutta nel 1968.

Lunedì 21 ottobre

Usciamo di primo mattino e noleggiata una motocicletta, dedichiamo la giornata alla visita delle pagode e delle tombe imperiali che sorgono nelle vicinanze di Huè. Percorriamo D Le Duan e costeggiando il fiume dei Profumi, il corso d’acqua che attraversa la città lambendo le mura della cittadella, ci rechiamo alla pagoda di Thien Mu; costruita nel 1600 su una collinetta che sovrasta le anse del fiume, è riconoscibile da lontano per la Thap Phuoc Duyen, la torre ottagonale di sette piani, ognuno dei quali è dedicato alla reincarnazione umana del Buddha, costruitale accanto e che è assurta a simbolo della città. Scendiamo al fiume, in un’ansa, su una spiaggetta donne e bambini stanno caricando mucchi di sabbia su camion e barconi. Ritornati verso Huè, attraversato il fiume sul ponte Phu Xuan, ci dirigiamo verso la campagna alla ricerca delle “lang tam”, le tombe della dinastia dei Nguyen, complessi edificati lungo le rive del fiume e composti oltre che dalla tomba dell’imperatore, da templi, padiglioni e cortili. Ci rechiamo a visitare la Tomba di Dong Khanh, la più piccola nonchè la più vicina alla città e la Tomba di Tu Duc, edificata su una collinetta boscosa prospiciente un piccolo lago, protetta da mura massicce. Lasciata la moto presso un chiosco di bibite, ci dirigiamo alla porta di Vu Khiem, il passaggio che attraverso le mura erette a protezione del complesso ci permette di raggiungere le rive del lago su cui si affaccia la scalinata che conduce ai piani terrazzati con i templi ed i padiglioni progettati dall’imperatore stesso. Ci spostiamo al vicino cortile d’onore; statue di elefanti, cavalli, soldati e mandarini precedono la sala della Stele, dove su una lastra di marmo l’imperatore fece incidere la propria biografia. Ritornati alla moto, proseguiamo il nostro giro alla ricerca delle altre tombe; con qualche difficoltà per la mancanza di indicazioni, raggiungiamo la tomba di Thieu Tri, l’unica a non esssere circondata da mura; la tomba di Khai Dinh, attualmente in rovina; la tomba di Minh Mang, la più maestosa, che sorge sull’altra sponda del fiume. Per raggiungerla, seguiamo una strada sterrata che fiancheggia il fiume; quando dubbiosi ci fermiamo la gente del posto, a gesti ci fa segno di proseguire. Solo dopo alcuni chilometri, nei pressi di un villaggio riusciamo a trovare un piccolo molo, dove lasciata la moto, possiamo traghettare. Saliamo con alcuni locali su una barca a remi, che fa la spola tra i villaggi delle due sponde. Proseguiamo a piedi, fino alla vicina tomba di Minh Mang; un insieme di cortili d’onore ornati da statue, scalinate, terrazze e ponti che conducono ai templi ed ai padiglioni dipinti, all’interno, con tinte dalle tonalità sgargianti. Prima di fare ritorno a Huè, ci rechiamo attraversando risaie e villaggi, al piccolo borgo di Thanh Toan, dove sorge, inserito in un piacevole ambiente agreste, un ponte giapponese coperto, molto simile a quello di Hoi An. Veniamo circondati da alcune ragazzine, che uscite da scuola, incuriosite dalla nostra presenza, cercano di discorrere con Adriana mentre un anziano signore, portato il bufalo al fiume, lo lava e lo accudisce amorevolmente.

Martedì 22 ottobre

In taxi raggiungiamo l’aeroporto, in passato importante base aerea americana, dove ci imbarchiamo in una splendida giornata di sole sul volo VN 244 della Vietnam Airlines; destinazione Hanoi. Lasciamo la parte meridionale del paese; quella che avrebbe dovuta essere la meno favorita dal punto di vista meteorologico, ci ha regalato giornate calde e soprattutto soleggiate. Al nord, dove avremmo dovuto avere condizioni meteo ottimali, siamo accolti da un cielo bigio e da una temperatura piuttosto fresca; una situazione climatica, che peggiorerà nei giorni seguenti e che ci accompagnerà per il resto della nostra permanenza.

di Mauro Rolando www.viaggiephoto.it

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