Ines, expat dal 2013, è andata a vivere in Etiopia (Addis Ababa) da soli due mesi: a causa della pandemia aveva perso il lavoro in Europa.
Fa la pasticcera e scrive per il blog Donne che emigrano all’estero.
“Io non ho scelto l’Etiopia, è l’Etiopia ad aver scelto me.
La prima tappa fu la Nuova Zelanda, in cui passai due anni e mezzo. Ci sono arrivata per caso: era l’ultimo anno in cui avrei potuto chiedere il Working Holiday Visa e l’ho fatto! In realtà avrei voluto andare in Australia, ma sono rimasta in Nuova Zelanda. Poi ci sono stati i sei mesi invernali in Canada; ci sono rimasta poco: non mi è piaciuto viverci.
Dopo due anni e mezzo mi sono spostata ad Ibiza “solo per un’estate” e invece ci sono rimasta quattro anni.
Ed ora eccomi in Africa!
I miei spostamenti non sono mai pianificati, mi piace molto l’avventura e mi lascio sorprendere dalla vita.”
La prima volta sei partita da sola o con qualcuno?
Quanto spesso torni in Italia?
Sono partita da sola, all’avventura!
Non torno in Italia regolarmente. Non perché sia lontano, ma perché le vacanze le faccio altrove: se ho del tempo libero preferisco viaggiare ed esplorare altri paesi piuttosto che tornare in patria.
Ho fatto una tappa nel Belpaese prima di venire qui in Etiopia ed erano quasi tre anni che non ci tornavo…
Come hanno reagito la tua famiglia ed i tuoi amici quando hai raccontato loro di voler lasciare l’Italia?
Ho notato che, in generale, le persone più giovani hanno incoraggiato la mia scelta mentre le più anziane non l’hanno né capita né supportata.
La maggior parte dei miei affetti non è stata a favore di questa decisione. Preoccupazioni per un paese povero, che non si conosce, con tutti i luoghi comuni annessi e connessi… Per non parlare di quelli che mi hanno preso in giro con battute di cattivo gusto: sembrava stessi andando nella giungla a vivere in una capanna su un albero!
Sono contenta di non aver ascoltato nessuno ed essermi lanciata in questa nuova avventura.
Cosa fai in Etiopia? In Italia facevi qualcosa di diverso? Nel resto del mondo hai avuto altri tipi di esperienze?
In Italia ho lavorato per dieci (lunghi) anni in una sala bingo.
Non sopportavo più i giocatori incalliti e nemmeno i turni di notte, il mio corpo non sapeva più quando fosse l’ora di dormire.
Quando ho avuto il coraggio di lasciare il mio lavoro a tempo indeterminato e il mutuo da pagare, ho deciso di partire.
Ho iniziato a lavorare come pizzaiola in Nuova Zelanda, nel corso degli anni e dei paesi sono passata alla cucina e negli ultimi due anni è sbocciato l’amore per la pasticceria.
Sono ad Addis per l’apertura di una food hall, concetto che in Italia è poco conosciuto: un supermercato italiano con angolo panetteria, pasticceria, ristorante e pizzeria con forno a legna.
Mi occuperò principalmente della pasticceria oltre che di supervisionare gli altri settori.
Ti sei spostata in Africa principalmente per la mancanza di opportunità lavorative altrove: raccontaci…
Ho risposto ad un annuncio, mi hanno fatto una buona offerta e sono partita, senza neppure sapere dove fosse collocata l’Etiopia sulla cartina!
Prima di venire qui mi trovavo ad Ibiza.
Essendo un’isola che vive di turismo ha patito particolarmente gli effetti del Covid. Non avrei mai trovato lavoro a Ibiza in questo periodo e l’Africa è stata un’opportunità incredibile a livello professionale: sto lavorando ad un progetto molto stimolante per la mia carriera.
Hai incontrato difficoltà nel corso dei vari trasferimenti? Come le hai superate?
Ovviamente. Prima tra tutte la lingua.
Ci vuole pazienza e capacità di adattamento.
Arrendersi al primo problema credo voglia dire non essere fatti per questo genere di vita, in giro per il mondo.
Burocrazia: com’è nel resto del mondo (in base ai paesi in cui hai vissuto) rispetto all’Italia?
In Nuova Zelanda direi che è abbastanza leggera, in Spagna è simile all’Italia, in Etiopia… un disastro! Ma cosa vogliamo, è uno dei paesi più poveri al mondo (ma in via di sviluppo).
In Etiopia cosa costa particolarmente meno che in Italia?
Il cibo locale costa pochissimo.
Tutto ciò che è importato è carissimo, dal cibo, ai vestiti, alla tecnologia… Il costo della vita è molto alto ad Addis Ababa per gli expat.
Che differenze sostanziali ci sono nel modo di vivere, secondo te, tra l’Italia e gli altri posti in cui hai vissuto?
Credo che la differenza sia nell’attitudine delle persone. Per esempio, in Nuova Zelanda ci si focalizza più sul tempo libero che sulla vita lavorativa. Ci si identifica nelle proprie passioni piuttosto che nel lavoro.
In Canada, invece, la frase che sentivo ripete di più era “make money”: la gente è molto incentrata nel lavoro.
In Spagna ho avvertito un po’ di pigrizia, a partire dalla siesta pomeridiana: tutti i negozi sono chiusi tra le due e le cinque del pomeriggio.
Ad Ibiza, nello specifico, molti in inverno non lavorano perché si sentono in dovere di riposare dopo una faticosa estate. Ho conosciuto persone che non hanno mai lavorato tutto l’anno che per il resto del mondo è qualcosa di normalissimo.
Qual è il più grande difetto che hai trovato nel vivere in Etiopia? Ed il più grande pregio? E negli altri paesi?
La condizione di povertà dell’Etiopia si nota e non poco durante i vari momenti della giornata…
Però qua il Covid non è arrivato come negli altri paesi, quindi poter vivere normalmente mentre il resto del mondo si divide in zone gialle rosse e arancioni, durante una pandemia mondiale, è sicuramente un lusso.
Ho deciso di andarmene dalla Nuova Zelanda perché ho iniziato a notare troppo la distanza fisica dal resto del mondo.
Ci stavo molto bene, però.
Il Canada ha un inverno troppo pungente!
Il livello della qualità della vita è uno dei migliori al mondo, come in Nuova Zelanda.
Ad Ibiza il costo della vita è molto alto. C’è una speculazione sugli affitti davvero incredibile e ci sono anche parecchie ingiustizie e sfruttamenti a livello lavorativo.
Però mi sono divertita tanto!
L’Etiopia com’è dal punto di vista gastronomico? E il suo clima ti piace?
…Per quello che ho potuto vedere finora non c’è una gran varietà di cibo.
Il piatto tradizionale etiope è l’injera, una sorta di pane sottile e spugnoso preparato con farina di teff. Sopra ci versano salse, verdure, carni, legumi, il tutto solitamente molto piccante. Gli etiopi mangiano injera tutto il giorno tutti i giorni!
Per quanto riguarda la cucina internazionale si trova di tutto, come in qualunque parte del mondo. La qualità, purtroppo, non è delle migliori, in parte a causa delle materie prime e della difficoltà a reperire prodotti importati, ma anche a causa della mancanza di professionalità nel mondo della ristorazione.
Una cosa strana è che non esistono le grandi catene come Mcdonald’s, Burger King, Starbucks…
Il clima qua è più o meno uguale tutto l’anno: ci sono 12 ore di luce, dalle 6 alle 18; le temperature sono miti di giorno e non troppo fredde durante la sera.
Ci sono la stagione secca e quella delle piogge.
Qual è la cosa più bizzarra che ti è successa all’estero?
Proprio oggi ho visto un uomo completamente nudo chiedere l’elemosina per la strada. Non è la prima volta che lo vedo, in realtà…
Altrimenti, sempre in Etiopia, un’abitudine bizzarra è quella di urinare per strada in pieno giorno, senza nemmeno nascondersi.
Oppure mi è capitato di essere in un ristorante e vedere una persona che si alza dal proprio tavolo per andare a imboccare uno sconosciuto ad un altro tavolo! È un gesto che fa parte della cultura locale.
In Canada ho visto persone andare in giro in pantaloncini e maglietta con appena 4 gradi centigradi.
In Nuova Zelanda la gente camminava scalza per strada.
Che parola useresti per descrivere l’Africa? E per descrivere l’Europa?
L’Africa è il futuro mentre l’Europa è tradizione.
Credi che prima o poi tornerai in patria o rimarrai a vivere all’estero?
Dubito di tornare a vivere in Italia, ma mai dire mai! Neppure avrei mai pensato di finire in Etiopia…
A chi sconsiglieresti di trasferirsi in Etiopia? E a chi, invece, lo consiglieresti?
Se non siete di ampie vedute, se non siete in grado di adattarvi, se non siete aperti alle diversità, non partite.
Se avete questi requisiti, questo paese potrebbe fare per voi!
Vivere in un paese così povero, in via di sviluppo, non è facile. Non si può raccontare, non si può capire, bisogna provare.