Andrea a 40 anni ha deciso di abbandonare definitivamente l’Italia e di trasferirsi stabilmente a Rio de Janeiro e lavorare in Brasile come designer e architetto.
Andrea P. nato a Merano e vissuto a Milano. Una passione innata per i viaggi per le diverse culture . Dopo aver visitato numerosi Paesi, ha deciso di abbandonare definitivamente l’Italia e cambiare vita a 40 anni. Si è trasferito stabilmente a Rio de Janeiro, in Brasile, lavorando come designer e architetto. «Per me essere “molteplice” è un must intellettuale – afferma – e forse è anche l’unico modo per stare al mondo. Sono cosmopolita per nascita, situazione e convenienza: considero la vita un grande viaggio e credo nella continua trasformazione».
Cosa facevi in Italia, prima di partire?
Nella mia vita ho cambiato molte occupazioni. Ho lavorato sia con l’architettura – dalla costruzione di fabbriche a quella di negozi “della moda” di Milano – sia col design. Negli ultimi anni di permanenza in Italia ho collaborato con diversi registi e case di produzione per la realizzazione di film, documentari e pubblicità.
La tua vita italiana ti soddisfaceva?
L’Italia è una Paese fantastico, coi suoi pregi e i suoi difetti: una bizzarra repubblica inventata a metà 800 con regionalismi curiosi, svariate lingue e differenze in ambito culturale, alimentare e comportamentale. Sono serissimo, lo dico da “ironico cronico”: la adoro. Come tutti i Paesi, però, spesso la gente non sa o non nota questa cosa. Tutto ciò che ha avuto una nascita – in realtà molte nascite – ha una vita e avrà una morte. Sì, l’Italia morirà o almeno diventerà altra cosa da come noi la conosciamo ora. Questo è normale, fa parte della storia delle nazioni, che possono avere vita brevissima o lunghissima. Ma comunque diversa dalla vita media degli esseri umani. È fondamentale accorgersi di questa cosa.
Cosa ti ha spinto a lasciare l’Italia?
Fondamentalmente la voglia di cambiare, di evolvermi. Nella mia vita sono stato fortunato: non ci sono cose di cui mi pento. Ho viaggiato in lungo e in largo, visitando tutti i continenti, con centinaia di mete diverse. Prodotto documentari di viaggio e ho fatto un giro del mondo di quasi 4 mesi. Ho una certa familiarità col mondo, con le lingue (ne parlo – male – sei) e con le persone appartenenti a culture diverse dalla nostra. Questo mi ha aiutato a modificare il mio pensiero, a correggere le mie traiettorie. Sono fortemente attratto da ciò che non conosco.
Come mai hai scelto proprio di andare a vivere e lavorare in Brasile?
Ora, il punto, semplificando moltissimo, è solo uno: è come quando scegli un amore o un amico… è un semplice fatto di energia. Un luogo dove sai di stare bene, un luogo che ti da qualcosa che altrove non avevi o non potevi avere per cause connesse alla politica, all’economia, alla cultura, alla situazione attuale, al modo di essere e di porsi della gente. Ci sono “terreni” che sono più funzionali al tuo carattere, più in sintonia rispetto al tuo modo di pensare le cose e il mondo. Direi addirittura che ti sono congeniali. Se un eschimese nascesse e vivesse in Uganda e non si trovasse bene gli direi «Vai via, cerca altrove!». Per me è una questione di ricerca: io non scappo, né mi piace l’espressione “mollo tutto” o “trasferirsi”.
Avevi già avuto modo di conoscere il Brasile?
Conosco l’America Latina – da Tijuana in Messico fino ad Usuhaia in Argentina – abbastanza bene. Sono stato in Brasile molte volte, sia per lavoro che per piacere. Mi accadeva una cosa strana quando venivo qui. Alle volte rimanevo a Rio un mese, con mille progetti e intenzioni di viaggio all’interno del Paese… Spesso, però, ripartivo dopo un mese chiedendomi cosa avessi fatto tutto quel tempo. Se non aver camminato per la città, nella sua incredibile geografia, e aver osservato paesaggi naturali e umani. Ancora non ho una risposta. Perché ancora questo luogo ha per me un suo fascino misterioso, una gradevolezza difficile da cogliere. In realtà non è mai accaduto nulla di particolare: semplicemente scoprii che, il fatto di esserci, di essere qui, faceva per me la differenza. I luoghi cambiano e trasformano: spesso noi diventiamo i luoghi.
Quali sono state le difficoltà iniziali? E quali sono le maggiori differenze, sul piano dell’organizzazione del lavoro e della mentalità, tra l’Italia e il Brasile?
Sicuramente non è facile combattere contro questo tipo di burocrazia, quella brasiliana, latina e labirintica come la nostra, portoghese per lingua e diritto e multiculturale per formazione. Conquistare la ” felicità ” è sempre complesso. Amo troppo questa “Europa tropicalizzata”, come io definisco il Brasile. Perché qui la miscela tra neri (sì neri, anzi negros: il politically correct di matrice inglese qui non ha deturpato i costrutti sintattici, né le parole), indios, emigrati europei, libanesi, ebrei e giapponesi ha creato un nuovo tipo di organizzazione-mondo, una nuova popolazione, nuovi gesti, parole e psicologie differenti.
E’ come essere dentro un grande esperimento continentale.
Qui tutto ciò che non era possibile in Europa diviene magicamente facile. Specialmente sotto il piano delle relazioni personali, affettive o lavorative. E’ un mondo nuovo, epurato da barriere antiche e idiote, da gerarchie inutili. Quello che qui conta, oltre alle capacità, è il sorriso, il modo di porsi, il voler fare. Qui si vive allegri e spensierati, sapendo che, se anche tutto dovesse andare male nella vita, una banana e un mango ti cadranno sempre in testa. E questo non è poco. E’ un enorme vantaggio, una differenza abissale di impostazione nella vita. L’Italia, a mio giudizio, senza addentrarci nei singoli motivi che sono visibili alle persone mediamente informate e intelligenti, si sta ritirando ogni giorno che passa nella paura e questo genera chiusura e insicurezza, regressione culturale e abbandono. Il futuro, così, diventa scuro e incomprensibile.
Ti sei fidanzato o sposato con una ragazza del posto?
Sono fidanzato con una ragazza francese! Quindi dimenticatevi dei luoghi comuni brasiliani “sole, culi abbronzati e calcio”: questi sono specchietti per turisti-allodole. In Brasile c’è “muito, muito mais” (molto, molto di più)
Pensi mai ad un rientro definitivo in Italia? E cosa consiglieresti a chi stesse pensando, come te, di cambiare vita?
Non penso di tornare “a casa ” a breve. Sono in contatto sempre con amici e parenti: stimolo ogni persona che conosco a prendere in seria considerazione un possibile trasferimento in terre più “fertili “, più dinamiche. La vita gira e bisogna cercare di starle dietro, avendone le possibilità e un po’ di coraggio. Questo è un mondo veramente globalizzato: ciò non vuol dire che uno non possa “trovare la felicità” in un piccolo paesino montano o costiero italiano… Dipende da quello di cui hai bisogno per star bene. Io, ad esempio, ho bisogno di “alegria… muita alegria!” (allegria ..molta allegria)
Tirando le somme… Chiuderei con un'”equazione”:
Questo è un paese del “muito” (molto), l’Italia – ahimé – è diventata il paese del “pouco” (poco). Con la consapevolezza che poteva esser molto, ma molto di più…
Di Maura De Gaetano 20/01/2012