Anna Amadei, lavora come manager nel settore della danza

Da bambina sognava di danzare a New York.
Anna Amadei ventinove anni, nata e cresciuta a Carpi in provincia di Modena ora nella Big Apple ci vive, ha sposato un ballerino professionista e lavora come manager proprio nel settore della danza.
Tanto entusiasmo, forza di volontà e un pizzico di testardaggine perché crearsi una nuova vita non è facile: “NYC è un posto estremamente difficile, che spaventa all’inizio e che non ti apre le porte”.

New York dista dall’Italia circa 6640 km, quali scelte di vita ti hanno portato a percorrerli?

New York, New York! Da bambina, anzi da sempre e specialmente come ballerina NY è sempre stato il mio sogno nel cassetto. Dopo la laurea ho interrotto per qualche anno la mia carriera di danzatrice per poter approfondire i miei studi e diventare manager di spettacolo. Ho fatto un master all’Università di Bologna, poi ho scelto di trasferirmi a Roma per lavorare con un’agenzia di spettacolo che porta in Italia le compagnie di danza straniere più importanti del mondo. Nel 2007 portammo in tournee la Limon Dance Company, avevo già lavorato con loro in diverse occasioni ma questa volta notai un nuovo ballerino nella formazione, Daniel Fetecua. Scoppiò l’amore e la mia vita cambiò… dopo solo sei mesi decisi di trasferirmi a New York.
Qui ho trovato un lavoro nello stesso campo, sono manager di spettacolo per un’agenzia che gestisce circa venti compagnie tra danza, musica, teatro e teatro fisico www.elsieman.org. Daniel è diventato mio marito e ha fondato una sua compagnia www.pajarillopintao.org nella quale mescola il folklore colombiano (lui è colombiano) con la danza moderna. Un anno fa mi ha chiesto di ricominciare a ballare e fare spettacoli con lui. Così adesso, oltre al mio day-job gestisco la sua compagnia, danzo e continuo la mia attività di ballerina di tango, la mia vera e profonda passione.


Tu sei nata e cresciuta a Carpi, una piccola cittadina in provincia di Modena, com’è cambiata la tua quotidianità?

Le giornate newyorkesi sono più corte perchè qui il tempo va più veloce…la gente ride quando lo dico, poi vengono qui, anche solo in vacanza e mi rispondono: “Avevi ragione!”. Qui va tutto a mille, mi sembra di poter vivere tutti i giorni nuove avventure e l’idea di poter trovare tutto quello che cerco ad ogni ora del giorno è incredibilmente per me…io amo NYC. Ci vuole tanta concentrazione per vivere qui ma è anche vero che puoi sognare di essere quello che vuoi e, molto probabilmente, se sei tenace e capace, lo diventerai.


Quali sono state le maggiori difficoltà pratiche che hai incontrato nel tuo trasferimento?

Arrivi a New York con mille speranze e sogni e sei convinto che, essendo bravo in quello che fai, non sarà cosi difficile trovare lavoro. Il problema più urgente è il visto! Se non hai un visto non ti danno il lavoro, ma se non hai un’offerta di lavoro non ti danno il visto. Appena arrivi non conosci il sistema, pensare di fare tutto da solo è una pazzia, quindi ti affidi ad un avvocato, cerchi un datore di lavoro che sia disposto a farti da sponsor per ottenere il visto, spendi migliaia di dollari per pagare l’application per il visto, e l’avvocato….Non è per niente facile. Io ci ho perso tre mesi e un sacco di chili, ma alla fine sono riuscita ad ottenere un visto di 3 anni.
La seconda grande difficoltà è la ricerca della casa: senza un conto in banca, senza una “storia di credito” nessuno ti concede un affitto. Piano piano, scontrandomi con tutte le difficoltà ho cominciato a capire il sistema e ho anche capito che i soldi, ahime’, sono una cosa fondamentale qui a NYC, anche per chi, come me, non ama pensarci. La cosa bella è che qui il lavoro viene riconosciuto, qualsiasi cosa tu faccia, impari a fartela retribuire nel modo giusto e a richiedere un giusto riconoscimento per la tua professionalità.

A quale progetto stai lavorando ora?

In questo momento, oltre a lavorare alla tournee nordamericana di Mummenschanz, sto producendo uno spettacolo con la compagnia di mio marito. Il progetto DanSur/DanSouth è in realtà la prima edizione di un festival nato per celebrare le nuove tendenze e i nuovi protagonisti della danza latino americana. Ci sono tanti nuovi talenti coreografici e la danza contemporanea in Sud America ha fatto passi da gigante negli ultimi decenni anche se è spesso completamente sconosciuta.
Contemporaneamente, come se non bastasse, mi sto preparando per viaggiare a Bogota, città natale di mio marito dove insegnerò in un workshop di Organizzazione dello spettacolo.

New York è un crocevia di persone che vengono da ogni parte del mondo, c’è un incontro curioso che ricordi con piacere?

Ho conosciuto Jovanotti! Si si, l’ho incontrato in una pizzeria al taglio a Brooklyn. Noi uscivamo dalla sala prove e lui usciva dal cinema con Saturnino e il suo chitarrista. E allora ci siamo messi a parlare e ci ha invitato allo spettacolo. Solo qui possono succedere queste cose, solo qui, non ci sono miti né persone irraggiungibili.


Cosa ti manca della tua città natale e cosa invece non ti manca per nulla?

Mi manca la tranquillità, la facilità delle cose, la mamma! Di Roma mi manca il clima, le serate tornando a casa con gli amici in motorino, le coinquiline con le quali condividere tutto. Ma si cresce e si cambia.

Cosa vedi in questo momento fuori dalla finestra?

Vedo i palazzi di fronte, a Brooklyn dove lavoro, vedo un pezzo piccolo del Manhattan Bridge e, grazie a Dio, un pezzetto di cielo.

Dove e come vedi il tuo futuro?

Credo qui. L’idea di lasciare NY mi inquieta molto e per molti motivi ma l’idea di avere un figlio e crescerlo in questa metropoli mi spaventa altrettanto. Non so. Il mio futuro lo vedo felice, duro, pieno di sorprese, pieno di pianti e di risate. Qui ho imparato ad amare quello che la vita ti dà, non importa se bello o brutto. Ho imparato a combattere, ho imparato che è tutta vita. E quante vite ci sono! Diverse, matte, normali, strane, noiose, interessanti. E allora ho iniziato ad essere molto più tollerante anche con me stessa e con quello che mi succede.


Cosa ha significato per te “mollare tutto”?

Mollare tutto mi dà l’idea di scappare e non mi piace tanto. Non mi piace più. Io in realtà ho mollato un paese, un lavoro, ma mi sono portata dietro me stessa, il mio bagaglio di esperienze, e ho ricostruito qualcosa qui di ancora più grande. Mi sono lasciata dietro le spalle un sacco di cose e ho preso con me solo il meglio di me stessa per ripiantarlo dove potesse crescere di più. Forse è questo il vero significato di mollare tutto.


Cosa pensi quando hai un momento di abbattimento?

I momenti di abbattimento sono tanti e per tanti motivi: il lavoro che annoia alle volte, i problemi familiari, i problemi economici, la solitudine…
Nonostante queste cose penso a quanto sono fortunata ad essere esattamente dove voglio nel mondo, a fare fondamentalmente, con tutte le lotte e i dolori alla testa, quello che voglio, ad essere riuscita ad ottenere tutto questo. Quando mi sento sola, confusa, nervosa esco a fare due passi e NYC mi aiuta a non sentire più niente di tutto questo.


Quali consigli daresti a chi vuole lasciare l’Italia e venire a New York per cambiare vita?


Se vieni qui devi avere voglia di stringere i denti. Se sei capace di non lasciarti andare allora questo posto ti darà indietro tutto quello che meriti.

Di Greta Ronchetti 24/11/2010

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