“Stai attento a ciò che desideri perché diventa realtà”. Hai mai sentito, letto o pronunciato queste parole?
Sembra che il sogno di molti si sia avverato: provare l’ebbrezza dello smart working. Il sogno di chi prima si sentiva in gabbia in una routine d’ufficio 9-17.
Piano piano l’Italia si sta risollevando dalla pandemia, e probabilmente alcuni sono già tornati alla quotidianità pre-covid 19, con le dovute raccomandazioni di distanziamento. Tanti altri invece continueranno ancora per qualche mese a lavorare da remoto e forse riusciranno a convincere i loro capi che è la soluzione più adatta a loro.
Lo schieramento è netto: c’è chi vorrebbe continuare con il nuovo stile di vita e chi non vede l’ora di rivedere l’ufficio e i colleghi. Ho letto e ascoltato opinioni contrastanti.
Chi preferisce il vecchio stile di vita si lamenta di non avere tempo per il proprio benessere nemmeno a casa, anzi di lavorare più ore di prima. Privato di un ambiente sociale manca di creatività, e mancano i momenti dell’ufficio, come il senso di comunità all’ora del caffè e le chiacchere faccia a faccia.
Ma credo che il segreto stia tutto nell’organizzarsi, come creare spazi diversi per il lavoro e la socialità e porsi dei limiti.
Se tu dovessi scegliere tra lavorare in remoto oppure in ufficio, cosa sceglieresti?
Quando le parole ‘distanziamento sociale’ sono diventate parte del linguaggio di ogni giorno, la nostra percezione della realtà è cambiata.
La realtà dentro le quattro mura di casa che prima vedevamo solo per qualche ora al giorno, si è fatta più ampia: i concetti di spazio e tempo si sono dilatati tagliando i momenti del tragitto casa lavoro, lavoro palestra, palestra casa.
E c’è chi ha apprezzato questo cambiamento, che si può definire radicale.
Riporto una lettera pubblicata da Selvaggia Lucarelli su Il Fatto Quotidiano qualche settimana fa, parole che sono una testimonianza di rinascita, di riscoperta e dilatazione del tempo.
“Sveglia alle sei, doccia al volo, trucco, colazione terribilmente veloce e povera, e poi corsa, fermata del tram, tragitto, lavoro.
Pausa pranzo al bar con una roba surgelata o riscaldata, pagata troppo, prima di tornare dietro alla scrivania con il cibo ancora sullo stomaco.
Poi via, di ritorno all’ora di punta, con il tram pieno, con il crepuscolo, che arrivi a casa e non hai tempo di fare la spesa, di prepararti qualcosa che è già sera. È esser produttivi questo?
Ora mi sveglio un’ora e mezza dopo, faccio mezz’ora di yoga (le dirette hanno creato un mostro), mangio un frutto che faccio in tempo a sbucciare e mi siedo davanti al computer con il caffè ancora caldo. Quando ho voglia mi fumo una sigaretta, a pranzo cucino io, appena finisco posso pensare a me e non al ritorno.
La spesa non la devo nemmeno fare perché la faccio una volta alla settimana, sì c’è un po’ di coda ma è tutto così meravigliosamente lento, ho riscoperto il mio quartiere, l’aria, lo spazio e il tempo. Questo virus ha tolto a tanti il tempo, ma credo che a tutti gli altri ne abbia fatto dono”.
Per leggere la lettera completa ti rimando a questo link se sei abbonato a Il Fatto oppure scorri sulla bacheca Facebook di Selvaggia Lucarelli fino al 18 maggio.
Capisco che la situazione di partenza dell’autrice di questa lettera era abbastanza drammatica, ma era sommersa fino al collo dalla situazione da non rendersene conto. Solo quando è stata costretta a cambiare modalità di approccio al lavoro e alla vita, allora ha capito quanto la routine antecedente fosse stressante.
Questo periodo ha dato una bella rispolverata ad anni e anni di silenzio interiore, lasciando spazio a nuove sfide e cambiamenti, permettendo un’introspezione mai sperimentata prima.
Tuttavia, non dobbiamo pensare solo al nostro orticello.
E di nuovo si apre una voragine tra i pro e i contro dello smart working: da un lato, si esce di meno e si evita di passare al bar per il caffè, oppure dal giornalaio per il quotidiano, con il rischio che i piccoli commercianti falliscano, soprattutto nelle medie e piccole città. La comodità di casa permette anche di prepararsi il proprio caffè.
Dall’altro lato, riducendo gli spostamenti in auto, l’ambiente ne giova. L’abbiamo già sperimentato durante il periodo di stretto lockdown: flora e fauna hanno iniziato a respirare di nuovo. E ne giova anche la nostra salute, riducendo i livelli di stress da imbottigliamento nel traffico.
La perdita di clienti per i piccoli commercianti e il respiro ambientale, sono due fenomeni, l’uno negativo e l’altro positivo, da non sottovalutare nel decidere il futuro dell’Italia e dei lavoratori.
Una cosa è certa.
Dato che lo smart working è ancora in fase di sperimentazione sul suolo italiano, l’organizzazione non eccelle e forse per questo sono sorte molte critiche da parte di chi preferisce l’ufficio.
La soluzione credo stia nel mezzo, come molto spesso accade.
Bisognerebbe trovare un equilibrio tra benessere personale e socialità, tra sostenibilità ambientale e supporto di piccoli commercianti locali.
Ristabilendo orari di lavoro, routine e coscienze, lo smart working potrebbe davvero essere il futuro del lavoro in Italia.
Se la tendenza a lavorare da remoto è quella di isolarsi, bisogna trovare tempi per la socialità nel quotidiano, oltre gli schermi del cellulare. Bisogna inoltre gestire lo spazio in casa: non tutti hanno la fortuna di crearsi un vero e proprio ufficio, quindi la soluzione è ricreare un ambiente dalle linee immaginarie da destinare solo al lavoro, in cui si accede in determinate ore della giornata. E soprattutto separare l’ora dei pasti dal momento del lavoro.
Questi sono solo piccoli consigli, se ne potrebbero implementare molti di più, ma la verità è che con la nuova coscienza sviluppata nel post lockdown, ognuno dovrebbe essere capace di creare la propria routine di benessere quotidiana.

di Margherita Marchesi