Export da incubo: I 30 errori delle piccole aziende italiane che esportano o che vorrebbero esportare
Certamente vorremmo essere tutti grandi esportatori. In realtà la domanda di made in Italy è forte nel mondo perchè in più rispetto ad altri paesi abbiamo la capacità “artigianale” di costruire con passione prodotti in grado di soddisfare il desiderio di bellezza, o di bontà, o di salubrità. Questa passione attrae un desiderio di acquisto di prodotti dall’estero molto piu’ che non a casa nostra. In piu’ la miriade di piccole imprese che caratterizza il nostro paese conferisce tutta la flessibilità oggi necessaria, senza rinunciare alla creatività diffusa.
L’Italia è un paese inventivo e duttile, peccato che queste qualità non siano comprese nella visione di molti, troppi imprenditori. E queste qualità non sono nemmeno percepite dalle strategie che presiedono all’export nazionale, incagliato da decenni in un dogmatismo di luoghi comuni e vecchi schemi.
Esistono profitti potenziali giganti per chi fa export, ma nei fatti l’export delle piccole aziende non decolla. Perche’?
Ecco qui una lista di 30 errori: ma parleremo anche di cause e possibili rimedi.
1: Non scegliere il giusto mercato obiettivo.
2: Attivarsi su troppi nuovi mercati contemporaneamente.
3: Non verificare che il prodotto / servizio soddisfi i bisogni effettivamente esistenti in un mercato nuovo.
4: Non avere chiaro il modello di business aziendale.
5: Non predisporre un chiaro export business plan.
6: Aspettarsi da un consulente in Italia i risultati commerciali che solo un venditore all’estero può ottenere.
7: Non impegnare risorse per trovare agenti e distributori validi e dopo averli trovati non curarli e sostenerli in misura adeguata.
8: Non saper trarre vantaggio delle facilitazioni comunque disponibili dal contesto istituzionale pubblico.
9: Insufficiente commitment e determinazione dell’imprenditore a raggiungere l’obiettivo di esportare.
10: Presumere che una vendita estemporanea a un cliente estero dimostri l’esistenza di un mercato per i vs prodotti.
11: Non visitare il mercato obiettivo, e non facilitare le visite dei clienti esteri.
12: Aspettarsi che governo, regioni , camere di commercio facciano tutto per voi, compreso finanziarvi, o che i finanziamenti promessi da enti e banche arrivino in tempo utile.
13: Non studiare e documentarsi su cultura e usanze di ogni nuovo mercato estero.
14: Non adattare prodotti e servizi ai bisogni e ai gusti e ai comportamenti d’acquisto dei paesi obiettivo.
15: Praticare sull’estero gli stessi prezzi italiani.
16: Troppa grazia Sant Antonio: non essere preparati al successo inatteso del proprio prodotto.
17: Trattare i clienti esteri come di serie B, soprattutto quando sono pochi e scomodi da gestire.
18: Impegnare una gamma troppo ampia in un mercato che non si conosce.
19: Esporre nelle fiere solo perché c’è un finanziamento, senza ragionare sul quale sia il giusto mercato obiettivo.
20: Non proteggersi dai rischi. Insolvenze in primis: c’e’ una sola cosa peggiore di non vendere, ed è vendere senza essere pagati. Ma sull’estero i rischi imprenditoriali sono molteplici e molto maggiori.
21: Non allocare il minimo di tempo denaro e risorse necessari per aver successo. Roma non è stata costruita in un giorno.
22: Ostinarsi a fare export senza avere una visione del proprio business internazionale.
23: Non imparare dalle esperienze, sia positive che negative, di altri esportatori.
24: Rifiutare di adattarsi a lavorare e trattare con gente di altri paesi.
25: Non cercare di integrarsi con altre aziende amiche o gruppi esistenti o piattaforme locali.
26: Non sfruttare internet, i social, le risorse disponibili e le nuove metodologie digitali che consentono di raggiungere un gran numero di leads e prospect mirati.
27: Pensare di vendere senza includere nella trattativa la parte finanziaria: incassi e pagamenti spesso contano piu’ del prezzo.
28: Mantenere un sito web inappropriato per il mercato estero.
29: Arrendersi troppo presto. Aspettarsi rapidi profitti senza investire e senza sostenere l’attacco ai mercati esteri.
30: Ultimo ma piu’ importante di tutto: non comprendere come il proprio business model e proposizione di valore si devono adattare al mercato estero.
Non tutti fanno gli stessi errori, e non per tutti sono validi gli stessi rimedi. Ma questo è il quadro generale.
Intanto parliamo della cause.
Esiste una vera pioggia di corsi di formazione per l’estero fatti da ice, enti di formazione, regioni, banche, camere di commercio, academy , società di consulenza, università, associazioni di categoria. Tutti rivolti in teoria alle piccole imprese.
Eppure da decenni la percentuale di pmi italiane che possono definirsi esportatrici è inchiodata al di sotto del 2% .
Insomma la formazione e la consulenza del sistema export italiano non sono di grande aiuto. Certo è che gran parte di questi corsi sono progettati erogati e fruiti solo in funzione di finanziamenti pubblici.
Forse non è questa la causa. Di sicuro la preparazione export delle piccole aziende italiane è scadente, e il risultato in tantissime ottime imprese è l’export da incubo.
Come si puo’ rimediare?
Rovesciando il tavolo. Reimmaginando l’export.
Bisogna avere il coraggio dire basta a un certo tipo di formazione export . Calata dall’alto, fatta da burocrati, docenti e consulenti di accademia , senza conoscenza della realta della piccola impresa, e spesso senza esperienza reale maturata all’estero.
La soluzione è molto semplice: apprendere imparare condividere e fare pratica export in modo nuovo.
L’export co-working è un esperimento in questo senso, che nasce sul web e si sviluppa con l’interazione online e coi social. Un club, cui si accede su invito, che applica una metodologia basata sul confronto sistematico delle esperienze export di allievi e docenti, che permette alle aziende che lo applicano di compararsi con le migliori e soprattutto di apprendere da queste per migliorare.
Ossia le aziende insieme insegnano e apprendono da altre aziende, e on demand si attivano laboratori con la partecipazione di esperti di settore, di paese, di dominio.
La piattaforma Club Mercati Esteri ospita da alcune settimane i primi esperimenti pilota di EXPORT COWORKING. E’ già attivo il primo di laboratori condiviso di Export Modeling. Nei prossimi giorni aziende, colleghi e operatori che mi hanno contattato – e che ringrazio – riceveranno gli inviti per essere coinvolti nel beta testing (il primo livello di sperimentazione sul campo). A breve apriremo anche l’accesso su invito via web.
Chiamatemi se volete ricevere l’invito al club MercatiEsteri ed essere tra i primi partner protagonisti di questo modo di approcciare l’estero. Che puo’ aver base solo partendo dall’Italia, perche il 98% delle aziende italiane, pur avendone la possibilità, non esporta.
Cerchiamo insieme di uscire dall’incubo export.
Giuseppe Vargiu
Email: gv@italybureau.it