Giuseppe, lasciare l'Italia per trasferirsi a vivere in Svezia

Giuseppe Martino Martinelli e Laura Trespioli: due italiani nel Regno di Svezia.

Martino e Laura. Lui di Roma, lei di Novi Ligure. Entrambi ingegneri, entrambi giocatori di hockey sul ghiaccio. Costituiscono una di quelle coppie che si è voluta allontanare dall’Italia, in cerca di un luogo dove far valere la propria professionalità.
Si sono trasferiti in due momenti diversi a Stoccolma e dopo un periodo nella capitale, il lavoro di Martino li ha condotti a Vasteras, polo dell’industria elettromeccanica a sud-est del paese.

Qual è stato il motivo che vi ha spinto ad emigrare in Svezia?

LAURA: io mi occupo di animazione in 3D e purtroppo l’Italia non è all’avanguardia nel settore. In realtà anche nel sud e centro Europa, l’animazione al computer è considerata semplicemente un mezzo di intrattenimento, non ne sono state sviluppate la potenzialità di profitto come negli Usa e quindi è uno dei primi investimenti che durante le crisi economiche viene a saltare. In Svezia, invece, da un po’ di tempo ne stanno intravedendo le potenzialità.
Per seguire la mia professione, mi sono dovuta spostare dal Piemonte e dopo qualche mese passato in Inghilterra a lavorare per una società produttrice di videogiochi, ho ripensato alla mia vecchia passione per la Svezia e mi sono detta: “Perché non provare?” A 20 anni avevo visitato il paese grazie ad uno scambio culturale e mi hanno immediatamente colpito le modalità di vita totalmente nuove per me: lo stile di vita rilassato rispetto a quello centro-europeo, i luoghi incontaminati, la sostanziale mancanza di traffico e di velocità. Dopo qualche tempo di ricerca, sono stata assunta da una società di sviluppo in 3D: ho lavorato presso questa struttura fino a pochi mesi fa e dal momento che la società ha chiuso, in questo momento, sto frequentando un corso di perfezionamento sulla mia materia.

Giuseppe, lasciare l'Italia per trasferirsi a vivere in SveziaMARTINO: eravamo fidanzati quando lei si è trasferita qui. Io all’epoca ancora non avevo trovato un lavoro che mi soddisfacesse e, dopo mille viaggi per vedersi e stare insieme, ho accettato la proposta di Laura che mi chiedeva di fare una piccola vacanza in Svezia e contemporaneamente di provare a vedere se da quelle parti ci fosse qualcosa anche per me. Sono stato molto fortunato perché ho avuto risposta positiva alla prima offerta di lavoro a cui ho risposto: sono stato contattato da una multinazionale qualificata in reti di trasmissione di energia elettrica, la materia in cui io mi ero specializzato durante la mia laurea! E sono stato assunto.

Quali sono le cose che vi hanno colpito positivamente del paese?

LAURA: sicuramente lo stile di vita più rilassato. A partire dai trasporti pubblici, la cui puntualità in Italia è lontana e sconosciuta fino ad arrivare agli orari di lavoro flessibili.

MARTINO: mi colpisce la civiltà di un paese che dà la stessa importanza al lavoro che al tempo libero. Come ti diceva Laura, gli orari di ufficio della maggior parte delle aziende private sono flessibili: si deve rispettare un monte ore settimanale e lo si può fare con una libertà di orario che prevede anche riposi settimanali. Si da importanza al progetto per il quale si è stati chiamati e si lascia al dipendente la libertà di svilupparlo come crede.

Come ve la cavate con la lingua?

LAURA: Martino in Svezia ha acquisito la conoscenza della quinta lingua! Parla e scrive in svedese. Mentre io inizio solo ora a capire qualcosa in più, ma non lo parlo.

MARTINO: non è vero: non sono in grado di conversare in modo corretto, per un discorso “di strada”, ma lo capisco. Nella società per cui lavoro, si parla la lingua del posto, ma quando c’è qualcosa che non capisco, i miei colleghi e i miei superiori non hanno problemi a parlare in inglese.

Martino mi parla di un suo pensiero sviluppato intorno alla lingua: mi spiega che le persone più qualificate, con un alto livello culturale hanno difficoltà a parlare inglese mentre la “popolazione con un livello culturale medio-basso ha più padronanza della lingua. Il motivo? I film trasmessi nelle tv nazionali sono tutti in inglese, non vengono doppiati nella lingua di esportazione; ne deriva che chi passa più ore davanti la tv, parla un inglese perfetto, mentre chi è impegnato a mandare avanti i propri studi, no!

Piatto nazionale preferito?

MARTINO: sicuramente lo stekt strömming, aringhe panate e fritte con contorno di cipolla!

LAURA: io invece vado pazza per lo Isterband, una specie di salsicciotto, una sorta di wurstel fatto con carne macinata. Ne mangerei a quintali!

Ci sono delle abitudini alle quali avete faticato ad abituarvi?

LAURA: all’inizio mi è stato difficile abituarmi agli orari molto diversi da quelli della mia vita precedente. Qui si cena alle cinque, perché il lavoro inizia molto presto.

MARTINO: in realtà no. Pensavo che la mancanza di luce durante gran parte della giornata potesse darmi più problemi, invece è stato piuttosto facile abituarvisi.

Ci sono molti italiani da queste parti?

Giuseppe, lasciare l'Italia per trasferirsi a vivere in SveziaMARTINO: Qui ci sono italiani da almeno tre generazioni. Devi sapere che l’economia svedese cominciò a evolversi piuttosto tardi rispetto al resto d’Europa: lo fece alla fine dell’Ottocento grazie lo sviluppo dei trasporti che permise alla nazione di sfruttare le proprie risorse, cioè il legno e il ferro. Quindi la crescita vertiginosa dell’industria ha portato la Svezia alla ricerca di ingegneri da tutto il mondo. Gran parte di quelli che hanno lavorato per l’Asea (la più famosa industria di energia del Nord Europa, oggi ABB, ndr) come ingegneri, provenivano dall’Italia: la seconda generazione ha visto invece parecchie persone impegnate nel campo della ristorazione e l’ultima, quella a cui potremmo appartenere anche noi della nostra età, è di nuovo di ingegneri.
Qui c’è una vera e propria venerazione per l’Italia e per l’italiano: gli svedesi cercano di imparare l’italiano, quasi tutti conoscono almeno qualche parola.

Mi dicevate che di tempo libero ne avete molto. Come lo impiegate?

LAURA: Ce ne andiamo spesso in giro a visitare i luoghi del paese, le classiche gita fuori-porta che non si esauriscono mai e pratichiamo il nostro sport. Qui si può giocare ad hockey dove e quando si vuole, ma in confronto agli svedesi siamo dei dilettanti!

Posto da vedere?

LAURA: il mio cuore è rimasto a Stoccolma: è l’insieme perfetto di opera umana e elemento naturale. Si respira un’atmosfera di modernità da un luogo talmente incontaminato da cui non te l’aspetteresti.
Io sono molto affezionata ad un luogo in particolare che visito ogni volta che veniamo a Stoccolma: il museo Scansa, un museo all’aria aperta che raccoglie miniature di abitazioni provenienti dall’intera Svezia: pezzi di case e cortili provenienti da tutto il paese sono stati smontati e trasportati fino a qui.

MARTINO: anche io come Laura, scelgo Stoccolma ma invece del Museo Scansa, io non posso fare a meno, ogni volta che siamo lì, di fare un giro al Museo Vasa! È un museo costruito interamente intorno all’ammiraglia Vasa, l’unica nave del 1600 ancora esistente. Il vascello è composto per oltre il 95% da pezzi originali ed è decorato da centinaia di sculture intagliate. È un’enorme nave affondata davanti alla costa di Stoccolma, durante il viaggio inaugurale nel 1628 e recuperata negli anni ’60.

Avete in mente di tornare in Italia?

LAURA: Se le condizioni che mi hanno spinta a cercare lavoro altrove, un giorno dovessero migliorare, non mi nego l’opportunità di tornare.

MARTINO: perché no? Ma per ora stiamo bene qui.

Cosa vi manca dei luoghi in cui avete vissuto fino a qualche anno fa?

LAURA E MARTINO: sicuramente gli amici con i quali siamo cresciuti. Nient’altro.

Grazie dell’intervista e al prossimo incontro.

Di Letizia Tiscione 19/11/2010

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