La Brexit potrebbe trasformare il Regno Unito in un paradiso fiscale?
Per tanti motivi differenti la Gran Bretagna ha sempre seguito la propria direzione, sebbene all’interno della coalizione europea; ad esempio, la costante diminuzione dell’aliquota della tassazione societaria ha incessantemente costituito un grattacapo per gli altri governi europei.
Difatti nel Regno Unito l’aliquota da applicare al reddito delle società deve essere annualmente determinata e approvata dal Parlamento; per l’anno fiscale che va dal 1° aprile 2016 al 31 marzo 2017 il governo inglese ha stabilito di assoggettare i redditi prodotti dai soggetti giuridici stabiliti sul territorio (società o organizzazioni stabili/Permanent establishment) ad un’aliquota unica fissata nella misura del 20%.
Il livello dell’imposta sul reddito delle società del Regno Unito è da 15 anni il più basso tra i Paesi membri del G7. Sulla base dei piani annunciati nell’ultima finanziaria, questa aliquota verrà ulteriormente ridotta fino a raggiungere il 17% entro il 2020, portando così il Regno Unito ad avere il minor tasso di imposta tra i Paesi del G20.
Il suddetto taglio delle aliquote è stato in passato uno dei punti più alti del discorso del Cancelliere Osborne sul bilancio, spingendolo ad annunciare:
“La Gran Bretagna ha un percorso ben definito da seguire; lasciamo che sia il resto del mondo a recuperare”.
A seguito dell’annunciata diminuzione dell’aliquota, le due più grandi economie della zona Euro, la Francia e la Germania, avendo aliquote fiscali sulla tassazione societaria di gran lunga superiori (rispettivamente 34% e 30%) hanno lamentato il fatto che un’ulteriore drastica riduzione del Corporate Tax Rate del Regno Unito potrà effettivamente trasformarlo in un paradiso fiscale delle imprese.
Aliquota societaria come strumento di attrazione per le imprese
Nel Regno Unito non è la prima volta che viene dato un annuncio del genere; in passato il labourista Gordon Brown, durante il suo mandato, aveva ridotto l’aliquota societaria dal 33% al 28%.
I diversi Cancellieri avvicendatisi, seppur parte di diversi schieramenti politici, hanno ridotto l’imposta sulle società per motivi analoghi, ossia per dare una spinta alle imprese britanniche e attrarre investimenti da parte di società estere.
Il secondo obiettivo sembra, quindi, essere stato raggiunto: le cifre del governo stimano che in Gran Bretagna nel 2014 gli investimenti esteri diretti (Foreign Direct Investments – FDI) hanno superato per la prima volta la soglia di £1 trilion, ossia 1.000 miliardi, generando così la costituzione di 85.000 nuovi posti di lavoro nel solo biennio 2014/15, cioè più che in qualsiasi altro Paese europeo.
Da non sottovalutare è il fatto che la costante riduzione dell’imposta sulle società è stata, ed è ancora, parte di un processo a lungo termine di riequilibrio della pressione fiscale sulle società e sugli individui.
Nell’anno fiscale 2013/14, l’ultimo anno di cui sono disponibili dati rilevanti, l’imposta sulle società rappresenta solo il 6,75 % del gettito fiscale totale del Regno Unito, contro il 10,53% riscontrato nel 2005/6.
Alla base di questo progressivo spostamento del carico fiscale vi è una motivazione pragmatica piuttosto che politica: le aziende sono sempre più mobili, essendo disposte a trasferirsi in altre giurisdizioni per poter beneficiare di regimi fiscali più favorevoli.
Uno degli esempi più celebri è costituito dal maggior gruppo pubblicitario al mondo, WPP, il quale, attratto da aliquote fiscali più vantaggiose, ha trasferito la propria residenza fiscale dal Regno Unito all’Irlanda.
Aziende di profilo ancora più alto, come Google e Facebook, non hanno effettuato un movimento fisico, ma piuttosto una traslazione dei profitti verso l’Irlanda – nazione con un’aliquota sulla tassazione delle società addirittura inferiore rispetto a quella del Regno Unito – al fine di ridurre la loro esposizione ai tributi societari.
I rischi di una “corsa al ribasso”
Lasciando da parte la Realpolitik, molti critici hanno accusato i diversi Cancellieri di imbarcarsi in una “corsa al ribasso” con l’aliquota fiscale societaria.
Tale gara è impossibile da vincere, sostengono, in quanto ci saranno sempre piccole giurisdizioni – come l’Irlanda o Singapore – disposte a tagliare le loro imposte sulle società a livelli addirittura inferiori a quelli della Gran Bretagna.
Il più grande pericolo di questa politica è dato dall’ulteriore possibilità di inimicarsi i governi dei partner commerciali europei e del G7.
Da rilevare, inoltre, è il fatto che gli Stati Uniti hanno un tasso di imposta sulle società pari al 39% ossia quasi il doppio del Regno Unito. La frustrazione causata dal modo in cui alcune delle più grandi aziende della Silicon Valley canalizzano proporzioni considerevoli dei loro profitti globali in Irlanda, potrebbe portare le autorità statunitensi ad intervenire nuovamente cercando di neutralizzare gli incentivi offerti da Irlanda e Regno Unito tramite un incremento della tassazione sugli utili prodotti all’estero dalle società statunitensi.
La capacità dei paesi dell’UE di esercitare una pressione sull’imposizione fiscale societaria della Gran Bretagna è attualmente limitata dalle garanzie di libero scambio offerte dall’appartenenza all’Unione Europea del Regno Unito, ma questa protezione potrebbe scomparire a seguito del Brexit.
Lo scenario post Brexit
La Gran Bretagna, avendo lasciato l’Unione Europea, potrebbe potenzialmente essere in balìa delle ritorsioni imposte dal blocco europeo, eppure, ironia della sorte, la politica fiscale societaria di questo Paese potrebbe diventare ancora più radicata a fronte di tale tensione.
Gli stimoli ad investire nel Regno Unito potrebbero diminuire, costringendo potenzialmente Westminister a cercare una compensazione riducendo ancora di più l’aliquota sulla tassazione societaria.
In questo modo, sebbene la favorevole politica fiscale abbia dimostrato nel tempo di essere un ottimo modo per stimolare le imprese locali e incentivare le aziende estere ad investire in Gran Bretagna, adesso rischia di provocare una reazione da parte dei Paesi che accusano il Regno Unito di “concorrenza sleale”.
Il governo conservatore è stato a lungo ostile a tutto ciò che potesse portare ad un’armonizzazione fiscale europea, quindi è possibile che, liberato da qualsiasi obbligo con la UE in materia di imposta sulle società, potrebbe cercare di trasformare la Gran Bretagna post-Brexit in un paradiso fiscale.
Nel frattempo, nessuno sa ancora chiaramente quali sono i meccanismi che verranno posti in atto a seguito della Brexit e l’incertezza generata rischia di spiazzare potenziali investitori esteri.
Ciò potrebbe portare il governo ad alzare la posta: il taglio sull’aliquota societaria potrebbe trasformare la Gran Bretagna in un vero e proprio paradiso fiscale delle imprese come le Isole Cayman (ma senza sole).
Mentre è improbabile che una Gran Bretagna post-Brexit continui ad averr buone relazioni commerciali con l’UE, la protezione garantita dalle tariffe UE potrebbe scemare.
Sarebbe veramente ironico se una politica volta a fare della Gran Bretagna una delle nazioni più attraenti per gli investimenti internazionali portasse ad un aumento delle ostilità con gli ex partner europei e persino ad una politica di protezionismo da parte di rivali internazionali.
“Business as usual”
A seguito del referendum sulla Brexit, molte aziende del Regno Unito sperano che il soffocante assedio burocratico dell’Unione Europea sia finito.
Tuttavia, per le imprese che dipendono pesantemente dal commercio con l’UE il quadro è destinato a essere meno ottimista almeno fino a quando l’esito dei negoziati commerciali diventera’ chiaro.
Diverse indagini condotte a partire dall’inizio dell’anno 2017, hanno dimostrato che la fiducia delle imprese è stata intaccata in quanto il percorso verso la Brexit si e’ rivelato tutt’altro che semplice.
L’opinione generale è che una volta definita la posizione negoziale del Governo con chiarezza, gli imprenditori potranno pianificare il futuro con maggiore certezza.
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