Marco Denti si è trasferito a vivere e lavorare in Cina a Shanghai per ricominciare da zero
Dopo aver imparato le basi del mandarino da autodidatta, Marco Denti parte per la Cina, lasciandosi dietro la sicurezza dell’azienda di famiglia per ricominciare da zero iniziando a percorrere una strada tutta sua.
“L’abitudine che mi è piaciuta sin da subito dei cinesi è anche quella che mi crea più problemi: la loro tendenza a non rispettare alcuna regola… Le persone hanno un enorme voglia di riscatto e il continuo miglioramento delle condizioni di vita crea l’idea che tutto sia possibile”.
Partiamo dalle presentazioni: di dove sei, da quanto tempo ti sei trasferito, cosa hai studiato?
Mi chiamo Marco sono di Milano e vivo in Cina da più di 5 anni.
Mi sono laureato in Ingegneria. Dopo il completamento degli studi sono partito alla volta di Shanghai per frequentare un corso di cinese.
Avevo già una buona base di mandarino avendolo studiato da autodidatta. Dopo essere rientrato in Italia e aver trascorso una breve parentesi a Londra mi sono trasferito nuovamente in Cina per lavoro.
Cosa facevi prima di partire per la Cina e perché hai deciso di lasciare l’Italia?
Prima di partire per la Cina ho lavorato per l’azienda di famiglia, nell’ambito del commercio dell’acciaio. Ho deciso di lasciare l’Italia in parte perché la routine milanese non faceva al caso mio e avevo voglia di cambiamento. In parte perché, a livello lavorativo, non volevo “appoggiarmi” a quanto costruito dalla generazione familiare precedente.
Come sei arrivato a Shanghai?
Era una meta che sognavi o ti è “capitata”?
Quando sono rientrato in Cina per lavoro ho vissuto in un primo momento ad Hangzhou (a 200 km da Shanghai) perché avevo trovato una buona opportunità lavorativa.
Per quanto sia una delle mete turistiche più famose tra i cinesi, la città non offre molto e la qualità della vita per un occidentale non è paragonabile a città come Shanghai e Hong Kong.
Questo è stato uno dei motivi che mi ha spinto a cercare una nuova opportunità lavorativa a Shanghai, città che già conoscevo perché avevo trascorso alcuni mesi per motivi di studio. Direi quindi che Shanghai l’ho cercata.
Insieme a Hong Kong, credo sia l’unica meta in Cina in cui sarei felice di vivere. Ritengo che nel complesso la qualità della vita sia molto buona. I difetti principali sono l’inquinamento e il costo della vita che è aumentato vertiginosamente negli ultimi anni.
Eri già stato all’estero per lunghi periodi?
Sì avevo fatto un anno di Erasmus a Barcellona e trascorso alcuni mesi a Londra per un corso di specializzazione. L’ottima esperienza spagnola ha avuto un forte peso sulla mia scelta successiva di trasferirmi all’estero.
È stato difficile adattarsi a una realtà così diversa?
Raccontami qualche abitudine cinese a cui hai fatto fatica ad abituarti e un’altra che invece ti è piaciuta subito.
Direi che nel complesso è stato facile. Prima di trasferirmi per lavorare in Cina avevo già vissuto in tre Paesi esteri. Avevo già viaggiato un po’ ovunque sempre spinto dal proposito di entrare in contatto con abitudini, cibi, lingue differenti.
Quindi in Cina ho trovato quello che cercavo, il contatto con una cultura molto diversa da quella italiana. Direi che l’abitudine che più mi è piaciuta è anche quella che mi crea più problemi: la tendenza dei cinesi a non rispettare alcuna regola.
Da bravo italiano mi sono adattato subito, apprezzo molto l’approccio “vivi e lascia vivere” dei cinesi. Al contempo a volte mi piacerebbe un maggiore rispetto delle regole ad esempio quando bisogna schivare i motorini che sfrecciano sui marciapiedi.
Le pratiche burocratiche per stabilirsi in Cina sono state lunghe?
Hai fatto fatica a trovare un alloggio stabile?
Le pratiche burocratiche per ottenere il visto sono state relativamente semplici. Nonostante negli ultimi anni la Cina sia diventata più severa sulla concessione dei visti, per chi ha un regolare contratto di lavoro dipendente non ci sono particolari problemi ad ottenere il visto lavorativo.
Per quanto riguarda la casa, al mio arrivo sono stato assistito dal personale dell’azienda che mi aveva assunto ad Hangzhou. Quando mi sono trasferito a Shanghai ho deciso che avrei cercato personalmente la casa “ideale” in una posizione strategica.
Nel complesso ho visto circa 80 appartamenti prima di trovare quello che cercavo (a un prezzo ragionevole).
Il lato positivo è che, in virtù di questa esperienza, potrei avere un futuro come agente immobiliare in Cina…
In cosa consiste esattamente il tuo lavoro in Cina?
Seguo la filiale cinese di un’azienda italiana che produce motori gearless per ascensori.
La Cina rappresenta il 50% di questo mercato quindi, per un’azienda operante in questo settore, è assolutamente necessario essere presenti con un centro produttivo e una rete di vendita.
Com’è lavorare in Cina e com’è la tua giornata tipo?
L’azienda si trova a 60 km da Shanghai. Ho scelto comunque di vivere in centro perché non volevo farmi mancare la comodità della metropoli.
Tutte le mattine prendo la metro che passa sempre allo stesso esatto orario e da lì mi trasferisco su un treno veloce (320 km/h) che mi porta nei pressi dell’azienda.
Dalla porta di casa all’azienda impiego circa un’ora e durante il percorso ho tempo per leggere mail e navigare su internet.
Fare lo stesso tragitto in macchina richiederebbe molto più tempo e un enorme stress per via del traffico e delle abitudini dei cinesi al volante… In azienda arrivo intorno alle 8.30.
Non ho una routine, le attività da seguire sono le più disparate e questo è una delle cose che mi fa apprezzare particolarmente il mio lavoro.
Solitamente faccio una pausa di 15 minuti per un pranzo cinese flash (la qualità della mensa non mi invoglia ad indugiare di più) e riprendo fino alle 18.00.
Qual è la differenza maggiore che vedi tra gli abitanti cinesi e gli italiani nell’ambito lavorativo? E nella vita?
I cinesi sono molto diversi dall’immagine che hanno molti italiani di loro.
Hanno diversi tratti che li accomunano agli italiani, sono socievoli e caciaroni, amano la famiglia e la cucina, sono intelligenti e spesso “furbi”.
In ambito lavorativo direi che la differenza principale sia nell’approccio assolutamente approssimativo ai problemi.
Diciamo che c’è una tendenza a fare le cose in fretta ma anche molto male. Inoltre le figure di livello medio basso spesso hanno poca iniziativa e si limitano a fare quello che viene detto loro.
È una sorta di rispetto nei confronti del superiore forse legato all’influenza del confucianesimo nella cultura cinese.
A livello sociale la più grande differenza che vedo rispetto agli italiani è l’importanza che riveste il denaro e l’apparenza nella vita delle persone.
I cinesi in genere sono molto pragmatici e tendono a guardare l’utilità. Il presupposto per un matrimonio, per esempio, è nella maggior parte dei casi che il livello socio economico del partner sia soddisfacente.
La casa e un buon lavoro sono requisiti fondamentali per un pretendente sposo. La macchina un bonus gradito. L’amore arriverà dopo.
Quindi lo stereotipo che dipinge i cinesi disciplinatissimi, rigorosi e infaticabili è da sfatare?
Dipende. Come avrai intuito da quanto ho detto poco fa, i cinesi sono tutt’altro disciplinati. Riuscire a inculcare il rispetto delle regole è molto difficile. Questo vale anche quando le regole sono volte a tutelare loro stessi, come ad esempio per le norme di sicurezza.
Il cinese medio, a fronte di un fisso garantito, lavora il meno possibile. Diventa però un lavoratore instancabile quando la sua retribuzione è direttamente legata alla produttività.
Esistono naturalmente anche molti lavoratori seri e volenterosi. A prescindere dalla tipologia a cui fanno parte, una caratteristica che accomuna la maggior parte dei cinesi è l’enorme voglia di arrivare a tutti i costi.
Hai fatto fatica a inserirti socialmente?
Ci sono stereotipi o pregiudizi nei confronti degli italiani?
La prima volta che sono venuto in Cina facevo la vita da studente, quindi mi è stato molto facile conoscere cinesi e stranieri che frequentavano la mia stessa università e stringere amicizie.
Queste stesse amicizie sono state di aiuto quando sono rientrato in Cina per lavoro. Indubbiamente parlare la lingua locale è di grande aiuto, ma uno straniero in una città internazionale come Shanghai potrebbe tranquillamente vivere frequentando solo altri connazionali.
Quando si parla di Italia le cose che la maggior parte dei cinesi associa direttamente sono il calcio e la pasta.
Questo vale anche per quella fascia di popolazione che non ha idea che l’Italia sia in Europa e che chiede se in Italia si parla inglese. Anche la mafia gode di una certa fama.
I cinesi con un livello di istruzione superiore associano agli italiani un temperamento cordiale e caloroso. Roma, Milano, Venezia e la Sicilia. Quest’ultima è immediatamente associata alla mafia e al film Malena, molto famoso in Cina.
Infine due nomi che venivano spesso associati all’Italia erano quelli di Berlusconi e Pavarotti, che però negli ultimi due o tre anni sono usciti dalla TOP 10.
Aggiungo inoltre che gli uomini italiani hanno – giustamente aggiungo io – la fama di essere bellocci. Il merito è della nostra nazionale i cui calciatori sono rimasti impressi nelle fantasie di molte cinesi. Pirlo in modo particolare.
Cosa consiglieresti ad altri italiani che desiderassero trasferirsi in Cina?
Vuoi dare un consiglio a chi volesse seguire le tue orme per lavorare in Cina.
In generale consiglio sempre a tutti di andare all’estero per qualche anno, indipendentemente dal Paese prescelto.
La Cina può essere un’ottima scelta sia per il peso che questo Paese ha, e avrà sempre di più, nel panorama internazionale. Sia per le differenze rispetto a un Paese occidentale che ne fanno un’ottima meta per acquisire una certa apertura mentale. Va detto tuttavia che la Cina di oggi non è la nuova America.
Ci sono sempre più italiani che vengono qui con la speranza di essere arrivati nella terra delle opportunità. In Cina la buona volontà non basta, nemmeno se corredata da una conoscenza discreta della lingua.
Conosco numerosi ragazzi cinesi che si sono specializzati in italiano all’università e che parlano la lingua straniera molto meglio di quanto non facciano gli italiani con le lingue orientali.
Oltre a una perfetta conoscenza del mandarino, spesso parlano anche il dialetto locale e conoscono perfettamente la mentalità del posto.
Si sono affacciati sul mondo del lavoro prima e sono estremamente motivati. È evidente che pochi sceglierebbero un italiano rispetto a un cinese per un ruolo dove il requisito principale è la conoscenza delle due lingue.
Questo per dire che chi viene in Cina deve essere preparato. La conoscenza del cinese sta diventando sempre più importante a tutti i livelli, ma da sola non è sufficiente. Si è in competizione con sempre più connazionali (oltre che stranieri), ma soprattutto con sempre più cinesi.
Ad ogni modo, pur non essendo la terrà delle opportunità, per chi è preparato e motivato la Cina offre possibilità di crescita professionale enormi rispetto all’Italia. L’importante e non arrivare con la falsa illusione che tutto sia dovuto in quanto occidentali.
Domanda di rito: ti manca l’Italia? Ci torneresti?
La cosa che mi manca di più sono ovviamente i familiari e gli amici. Vivendo a Shanghai devo rinunciare allo sci in inverno e alle attività all’aria aperta in estate.
Per il resto non vedo particolari ragioni per tornare in Italia in questo momento. Uno dei motivi per cui oggi preferisco vivere in Cina è il fatto che questo Paese sta vivendo una fase simile a quella del dopoguerra italiano.
Le persone hanno un enorme voglia di riscatto e il continuo miglioramento delle condizioni di vita crea l’idea che tutto sia possibile. C’è ottimismo e positività. L’Italia purtroppo mi dà l’idea di un Paese che ha perso l’entusiasmo, privo di prospettive.
Di Valeria Grandi