MARCO POZZONI LAVORA COME PROFESSIONAL TENNIS COACH A DUBAI
Marco Pozzoni, di Milano, faceva il giornalista ma giocava anche bene a tennis. Un giorno parte per l’Australia per intraprendere la carriera di professional tennis coach. Ci è riuscito e ora vive a Dubai dove, tra grattacieli e spiagge, ha trovato la sua “America”…
“Quando sono tornato a Milano, dopo 3 anni in Australia, avevo collezionato diverse conoscenze in ambito internazionale e, grazie anche a Internet e Linkedin, mi sono arrivate diverse proposte di lavoro da Shanghai, Sydney, Denver, New Jersey e infine Dubai. Ho scelto questa destinazione perché è una città in cui ho sempre fatto scalo in aereo e l’ho sempre immaginata come il “Paese dei Balocchi”. Ho fatto due colloqui su Skype con quello che sarebbe poi diventato il mio capo e una settimana dopo, con valigia e racchette, mi sono trasferito…”
Cominciamo dalle presentazioni. Di dove sei, da quanto hai lasciato l’Italia e cosa fai?
Sono nato a Milano il 27 maggio 1984. Mi sono trasferito a Dubai lo scorso marzo (2014), dopo aver vissuto i tre anni precedenti a Melbourne, in Australia, e faccio l’istruttore di tennis da circa 9 anni.
Cosa facevi in Italia, prima di partire?
Da circa dieci anni lavoravo come maestro di tennis nel club in cui sono cresciuto, a Milano. Parallelamente collaboravo come giornalista pubblicista per alcune riviste, curando diverse rubriche e servizi fotografici per testate di sport e motori. Alla fine del 2010, dopo aver lavorato intensamente per oltre due anni full-time in una redazione giornalistica e part-time insegnando tennis, sono riuscito a mettere via un gruzzoletto sufficiente per finanziarmi il viaggio in Australia.
Perché hai scelto l’Australia come prima tappa?
In realtà, l’Australia non era la prima scelta. La mia meta ideale erano gli Stati Uniti, dove ci sono le più rinomate Tennis Academies, ma nel 2010 la mia ex ragazza italiana, con cui avevo deciso di partire, non avrebbe avuto grandi opportunità negli USA.
Così abbiamo optato per l’Australia. Motivo numero uno: la lingua inglese. Motivo numero due: questo Paese, insieme a Nuova Zelanda e Canada, offre un visto per chi lavora, che dura dai 6 ai 12 mesi, rinnovabile poi per altri 2 o 4 anni. E questo ci avrebbe dato la possibilità restare lì senza infilarci in pratiche burocratiche troppo complesse.
L’Australia poi si è rivelata fondamentale per la mia crescita professionale e personale. Ho trovato lavoro dopo solo dieci giorni proponendomi a vari club e, anche se il primo anno è stato duro (lavoravo 7 giorni su 7!), ne è valsa la pena: sono diventato istruttore per la Federazione Australia Tennis, allenando e coordinando le attività agonistiche alla International Academy a Melbourne Park, dove ogni anno si svolgono gli Australian Open.
Torniamo al presente, Dubai: com’è stato il trasferimento dal punto di vista burocratico? Visto, alloggio… Hai fatto fatica?
La scelta di Dubai è stata improvvisa e inaspettata. Quando sono tornato a Milano, dopo 3 anni in Australia, avevo collezionato diverse conoscenze in ambito internazionale e, grazie anche a Internet e Linkedin, mi sono arrivate diverse proposte di lavoro da Shanghai, Sydney, Denver, New Jersey e infine Dubai. Ho scelto questa destinazione perché è una città in cui ho sempre fatto scalo in aereo e l’ho sempre immaginata come il “Paese dei Balocchi”. Ho fatto due colloqui su Skype con quello che sarebbe poi diventato il mio capo e una settimana dopo, con valigia e racchette, mi sono trasferito. I
l mio capo, uno scozzese di 39 anni, mi ha ospitato a casa sua fino a quando non ho trovato un appartamento.
Per quanto riguarda il visto, una volta entrati negli UAE (United Arab Emirates) si hanno a disposizione 30 giorni per procurarselo. Ma la burocrazia di Dubai non è molto snella, al contrario di quella efficientissima australiana, e in molti fanno il cosiddetto “visa run”: allo scadere dei 30 giorni si fa un viaggetto in Oman, che è la nazione più vicina, in modo da uscire e rientrare negli UAE e avere altri 30 giorni a disposizione.
Per fortuna non ne ho avuto bisogno, perché il mio datore di lavoro si è rivolto agli uffici dell’immigrazione e si è assicurato che il mio visto arrivasse per tempo. Il visto dura due anni e per riceverlo bisogna sottoporsi a un esame del sangue e una lastra al torace. Le regole per prevenire il contagio di epidemie sono molto rigide.
Sei soddisfatto della tua sistemazione?
Vivo in uno dei grattacieli delle Jumerah Lakes Towers, che si trovano di fronte alla zona di Marina Towers, dove vivono la maggior parte degli expats Europei e Nord Americani.
Sono a dieci minuti in macchina dalla spiaggia principale di Dubai, dove ci sono ristoranti, club e hotel. Il mio appartamento, che in Italia non potrei nemmeno sognarmi, è al 18° piano di un palazzo di 40, con una camera da letto enorme, due bagni, salotto grande con balcone, cucina e ripostiglio.
Il tutto con un panorama mozzafiato. Insomma al momento non potrei desiderare di più. I contratti d’affitto sono di vario tipo: meno transazioni bancarie fai e meno paghi, perciò esistono contratti mensili, trimestrali, quadrimestrali, semestrali o annuali.
Parlaci della tua attività: si lavora bene a Dubai?
Qui si lavora molto e si guadagna altrettanto bene. Inoltre, ci sono buone possibilità di fare carriera, se si ha una buona padronanza della lingua inglese. Per esempio, io non potrei farne a meno, stando a contatto con clienti tutti i giorni: devo saper spiegare la tecnica e trasmettere entusiasmo agli allievi, di persona, ma anche nell’ambito organizzativo, al telefono e via mail.
Il guadagno minimo per vivere bene a Dubai è di 10.000 Durhams (circa 2000 euro), anche perché gli affitti in questi grattacieli vanno dai 4.000 ai 5.000 Durhams al mese (800-1000 euro). Fare la spesa e mangiare fuori, invece, non costa molto. Evitando ovviamente ristoranti e hotel in centro.
Com’è la tua giornata tipo?
Nei giorni lavorativi, che secondo il calendario musulmano vanno dalla domenica al giovedì, mentre venerdì e sabato sono festivi, mi alzo alle 6 per essere sul campo da tennis intorno alle 7. Le lezioni durano fino alle 10, perché nelle ore successive fa troppo caldo; poi c’è una lunga pausa, durante la quale vado in palestra, porto a spasso il cane, pranzo e mi riposo. Ricomincio a lavorare alle 3 e vado avanti senza sosta fino alle 9 o 10 di sera.
Dubai è davvero il “Paese dei balocchi” che sembra? È facile avere successo?
Dubai è un bel parco giochi per adulti. È una Las Vegas mediorientale, ma senza il gioco d’azzardo e senza i bar di striptease. È un bel posto dove vivere. Lusso, luci e sfarzo sono un po’ ovunque nella città. Avere successo qui non è difficile ma, come ho detto prima, la padronanza della lingua inglese è essenziale. Comunque non è tutto rose e fiori: bisogna darsi da fare, capita spesso per esempio di lavorare 6 giorni a settimana. E per i lavoratori dipendenti non ci sono molte tutele, l’Articolo 18 non esiste proprio.
Hai riscontrato forti differenze culturali?
La religione è una parte molto importante della vita, qui a Dubai, e questa è una delle differenze più evidenti rispetto al nostro Paese, ma la trovo affascinante. Per esempio, bisogna abituarsi a sentire cinque volte al giorno le preghiere ad Allah, che le moschee diffondono con gli altoparlanti in ogni quartiere. Al supermercato c’è un reparto speciale, quasi nascosto, chiamato “pork section”, dove sono venduti prodotti di origine suina, visto che i musulmani non possono mangiare carne di maiale o prodotti che la contengono. Inoltre, per legge e per la fede musulmana, non è lecito convivere con il proprio partner senza essere sposati.
Ma su questo punto non ci sono controlli rigidi, perciò la maggior parte degli expats convive ugualmente. Lo stesso vale per le bevande alcoliche: gli europei possono richiedere una licenza per acquistarle e berle. Ad ogni modo, il fatto che io non sia musulmano non è mai stato un problema, non ho riscontrato casi di intolleranza o discriminazione. L’unico atteggiamento che mi ha fatto un po’ indispettire, ma riguarda la religione, è… la noncuranza delle automobili e delle regole stradali: mi è capitato spesso di trovare graffi o segni dopo aver lasciato l’auto parcheggiata!
Cosa consiglieresti agli italiani che volessero trasferirsi a Dubai? Ci sono professioni particolarmente richieste?
Come ho già detto, sapere bene l’inglese è essenziale. La mia esperienza è che noi italiani siamo molto ben visti all’estero e non il contrario, come a volte si crede. Ma, per avere successo, un italiano deve faticare molto di più rispetto a un inglese. Perché la capacità comunicativa è sinonimo di efficienza.
L’offerta di lavoro qui a Dubai è molto alta: avvocati, agenti di commercio e ingegneri sono le categorie più richieste. Allo stesso tempo c’è tanta concorrenza nel cercare lavoro e gli inglesi in genere riescono ad aggiudicarsi le migliori posizioni, specialmente se sono giovani e hanno viaggiato già molto.
Come ti sei integrato? Hai contatti con la popolazione locale o soprattutto con altri espatriati?
Ho molte amiche inglesi, la mia ragazza è canadese, ho una collega sudafricana e uno tedesco, che a sua volta è fidanzato con un’americana… insomma il gruppo di persone che frequento più spesso sembra l’inizio di una barzelletta: “Ci sono un italiano, un tedesco e un inglese…” Avvicinarsi agli abitanti locali non è facile, specialmente alle donne, che stanno sempre isolate fra loro. Anzi, parlare a una donna musulmana che non si conosce è perfino maleducato e a volte pericoloso.
Ad ogni modo è scorretto parlare di “abitanti locali”, perché qui sono pochissime le persone originarie degli Emirati Arabi. La maggior parte sono siriani, egiziani, libanesi o iraniani. In generale sono cordiali e sempre pronti a fare festa. Non è difficile stringere amicizie qui a Dubai, perché siamo un po’ tutti nella stessa condizione di “espatriati”.
Dove ti vedi tra 10 anni? Torneresti in Italia? Non ti manca neanche un po’?
L’Italia non mi manca, a parte gli affetti. Il mio sogno è quello di trasferirmi in South Florida, ma per ora non sto facendo piani. Forse ho già trovato qui la mia “America” e la possibilità di una vita migliore.
Email: marco.pozzoni@hotmail.com
Di Valeria Grandi