Pietro, fotogiornalista, è andato a vivere e lavorare in Giappone

Pietro si è trasferito a vivere e lavorare in Giappone a Okinawa  come fotogiornalista

Pietro Scòzzari, quasi 48 anni, fotoreporter di Bologna, decide (circa 25 anni fa) di lasciare l’Italia, partire, viaggiando… E ha continuato a viaggiare attraverso il Brasile, New York, Goa.
Oggi vive e lavora come fotogiornalista in Giappone, a Okinawa.
Ecco la sua storia e le sue impressioni.

Ciao Pietro!

Qual è stato il motivo per cui hai scelto di trasferirti a vivere e lavorare in Giappone? Avevi un’attività tua prima di “mollare” l’Italia?

Ho deciso di trasferirmi a vivere e lavorare in Giappone perchè lo amo e, in particolare, Okinawa, dove ho incontrato la mia nuova moglie. Ho passato gli ultimi 25 anni viaggiando, seguendo la mia attività – fotogiornalista free-lance per riviste di viaggio, scrittore di guide per turisti italiani, occasionalmente accompagnatore turistico per nostri zombie randagi – e il cuore.

Dove vivevi prima di trasferirti a vivere e lavorare in Giappone?

Ho vissuto a Bologna, a Bazzano (Bologna), a Verucchio (Rimini), in Brasile, a New York, a Goa. Il vostro sito si chiama ‘Mollotutto’, ma io, in pratica, in Italia ho ‘mollato’ solo un motorino con il motore spompato. Niente case, mogli/fidanzate, figli, lavori. Sono finito a Okinawa poco dopo lo tsunami di un paio d’anni fa. Stavo girando attraverso il Giappone per scrivere un servizio per la defunta Panorama Travel, quando è scoppiato il casino.

Allora mi trovavo a Kyoto ed ero diretto a Tokyo, dove avrei voluto passare un mese a fotografare la follia urbana. Invece ho seguito la follia erotomane di un amico karateka brasiliano con la metà dei miei anni, conosciuto in un ostello di Kyoto e poi venuto a Okinawa. A Naha ho scoperto una città a dimensione di Pietro, ancora ricca di atmosfera, nonostante le ruspe che, quotidianamente, abbattono le case tradizionali per far spazio ai nuovi condominietti. La mafia del mattone qui domina.

Che differenze trovi tra l’Italia e il paese che ti ospita? Culturali, economiche, stile di vita ecc.

L’Italia non fa più per me. Non ne sopporto la maleducazione, la politica ributtante, l’imbarbarimento costante – sia degli indigeni quanto degli immigrati – e, non ultimo, il crollo del mio mercato del lavoro. Negli ultimi cinque anni hanno chiuso bottega altrettanti clienti (riviste). Ora vendo le mie foto in tutto il mondo attraverso agenzie on-line, non ho più bisogno di una base fissa da nessuna parte.

In Giappone il lavoro è schiavizzante, ma nessuno si piange addosso. Se vai in ospedale provano a curarti prima che tu muoia, non dopo. Nei mezzi pubblici o nelle biblioteche pubbliche nessuno urla al telefono. Il benzinaio, prima di riempirti il serbatoio, si inchina verso il cofano della tua auto. E io mi inchino anche alle foglie che cadono dagli alberi. L’ultima volta che sono stato in Italia, dal mio medico, una vecchietta con i capelli azzurri mi voleva tagliare la fila. Qui non succederebbe MAI.

Ora che ti sei trasferito a vivere e lavorare in Giappone di cosa ti occupi?

Continuo la mia attività di fotogiornalista, ma con l’editoria affondata ho bisogno di arrotondare. Qui a Naha sto tenendo workshop di fotografia di viaggio e di cucina italiana. Inoltre insegno l’italiano e l’inglese. A breve lavorerò come ‘AT’ (assistant teacher) di inglese in una scuola elementare. Spero di riuscire a svegliarmi alla mattina presto…

Torneresti in Italia? Ti manca qualcosa in particolare?

Ci tornerò appena troverò un buon motivo, tipo vedere mia madre. Ovviamente mi mancano i vecchi amici e i parenti, la buona cucina e, ogni tanto, la mia lingua. Ma la tecnologia (e-mail, Skype, Facebook) aiuta ad accorciare le distanze, e poi qui a Okinawa ho conosciuto un po’ di italiani (siamo una decina di residenti in tutto). Mi mancano il prosciutto vero – qui arriva quello congelato canadese… – e il parmigiano a prezzi adeguati.

Consiglieresti ad altri italiani di vivere lì? Ci son opportunità lavorative?

Non lo so. Il Giappone non è per tutti, alcuni italiani lo trovano noioso. Io, dopo un quarto di secolo di sbattimenti fra aerei e treni, mi sono felicemente pre-pensionato (almeno per ora…), non ho più voglia di andare da nessuna parte, se non in bicicletta. Opportunità di lavoro, nella ‘povera’ Okinawa (è un po’ il Meridione del Giappone), ce ne sono, ma solo se si è disposti a imparare la lingua piuttosto ostica e se si accetta di vivere una vita semplice su Marte. Meglio se con un capitale appresso, perché lavorare da dipendente rasenta la schiavitù: un’impiegata da McDonald’s ‘guadagna’ circa 600 yen, meno di 5 euro l’ora, e viene trattata da schifo. Forse la giusta punizione per spacciare cibi made in Monsanto.

Le mie cronache da Okinawa:
http://unitalianoaokinawa.blogspot.jp

Di Luisa Galati 21/11/2013

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