Stefania Fossati: LAVORARE IN UNA ONG
Stefania Fossati, una ragazza ventinovenne di Lissone, in provincia di Monza e Brianza, dopo aver conseguito un Master in Cooperazione allo Sviluppo per l’area balcanica, ha deciso di costruire il proprio futuro lontano dall’Italia, seguendo la strada intrapresa con i suoi studi nella maniera più concreta possibile: andando a vivere a Zagabria.
Dopo aver partecipato ad un progetto di volontariato della durata di 9 mesi, tramite il Servizio Volontario Europeo, è tornata in Italia ed ha iniziato uno stage presso una ONG di Milano, dalla quale è stata poi assunta.
“Mi occupavo di progettazione europea e coordinamento di progetti per la promozione della cittadinanza attiva. – racconta – L’esperienza mi ha insegnato molto, ma non mi soddisfaceva, così ho deciso di mollare tutto e di tornare in Croazia”
Perché hai lasciato l’Italia?
Quando sono partita come volontaria avevo 26 anni e avevo scelto di partire per fare un’esperienza nuova ed interculturale. Quando sono tornata a Zagabria a lavorare avevo 28 anni ed è stato, per cosi dire, un colpo di fortuna: l’organizzazione presso cui avevo fatto il progetto di volontariato europeo mi ha richiamato per una collaborazione. Il lavoro che svolgevo a Milano, per quanto inerente ai miei interessi, non mi soddisfaceva del tutto; così ho dato le dimissioni e sono partita.
Perché hai scelto la Croazia?
Essendo mia madre nata in Istria (regione della Croazia) ma italiana di nazionalità, la Croazia ha sempre fatto parte della mia vita e, fin da quando ero piccola, sognavo di imparare la lingua e di poter venire a viverci. Questo desiderio ha indirizzato anche il mio percorso di studi, che si sono focalizzati nell’area balcanica, e la scelta di svolgere qui il Servizio volontario Europeo. Quando sono tornata a lavorare il motivo della scelta è stato la possibilità di fare un lavoro stimolante e di continuare un percorso già intrapreso.
Di cosa ti occupi precisamente?
Lavoro in una Ong che si chiama HYPERLINK “http://www.vcz.hr/”Volonterski Centar Zagreb (www.vcz.hr) la cui finalità è quella di promuovere il volontariato come forma di cittadinanza attiva e promozione dei diritti umani, della pace e della ricchezza di una società interculturale. Attualmente coordino gli scambi di volontari a livello internazionale: croati che vogliono andare a fare volontariato all’estero e volontari stranieri che vogliono venire qui per partecipare ad un progetto. Mi occupo tanto di progetti di breve durata (campi di lavoro internazionali) quanto di progetti di lunga durata (Servizio Volontario Europeo, Long term volunteer Service) e dei training e supporto dei volontari.
Avevi già visitato la Croazia prima del Servizio Volontario Europeo?
Più di una volta: quand’ero piccola, insieme alla famiglia, abbiamo visitato alcune città croate. Grazie ad un gruppo scout, di cui ho fatto parte, ho partecipato ad un progetto di ricostruzione dopo le guerre degli anni ’90; mentre durante l’università ho trascorso 5 mesi a Zagabria per studiare la lingua croata.
Immagino che i tuoi genitori siano stati più che d’accordo con la tua scelta così meditata…
I miei genitori hanno sempre accettato con serenità e appoggiato le mie scelte. Diverse invece le reazioni dei miei amici: alcuni hanno compreso e hanno visto la mia scelta come naturale conseguenza di un percorso; altri credo non abbiano mai capito il perché, soprattutto perché ignoravano dove o come fosse la Croazia.
Com’è stato l’impatto con la città al tuo arrivo?
Lavorando in una ONG di grandi dimensioni, i primi contatti sono stati proprio con i volontari, oltre che con i colleghi di lavoro. Il fatto di aver già vissuto qui per qualche mese mi ha reso le cose un po’ più semplici, ma sicuramente le difficoltà ci sono state. La lingua, innanzitutto, nonostante avessi alcune basi. Inoltre, come popolo, i croati non sono gente particolarmente aperta, per cui è stato difficile instaurare dei rapporti all’inizio, e lo è ancora oggi a volte.
Quali sono gli aspetti più evidenti della diversa organizzazione del lavoro tra la Croazia e l’Italia?
Credo che alla base di tutte le differenze ci sia un passato storico e una coscienza popolare differente: il socialismo ha lasciato qui il suo segno e la società civile è ancora molto giovane. All’interno di un’ONG questo fattore si sente parecchio, soprattutto perché il settore no profit è molto recente e alcune cose che per me sono scontate qui non lo sono per niente. Più che di diversità nell’organizzazione del lavoro, la diversità la si nota nell’appoggio alle attività da parte delle istituzioni, nel processo di strutturazione che esiste nel settore (cose che in Italia sono già avvenute). Il lato positivo è che c’è ancora spazio per evitare gli errori commessi nelle democrazie occidentali.
Ti sei ambientata bene? Come trovi la mentalità e la gente croata?
Mi trovo bene, nel complesso. Su alcune cose è evidente il diverso background culturale e l’improvviso cambiamento avvenuto in seguito alla caduta del muro di Berlino. L’arrivo delle multinazionali, delle direttive europee, delle leggi internazionali sul commercio ecc. sono diventate prassi senza che però esistesse un substrato che potesse accoglierle: quello che salta all’occhio molto spesso è la contraddizione tra una società civile ancora giovane e un’economia, uno stato, degli standard di vita che sono paragonabili a quelli di qualsiasi altro paese europeo od occidentale (parlo di Zagabria che è la capitale, nelle zone rurali è ancora diverso). Comunque la gente, per quanto a volte difficile, è accogliente, vive la vita con molto meno stress che in Italia, ama ancora divertirsi (anche se a volte con troppo alcool) e godersi i diversi momenti della giornata.
C’è qualcosa che gli italiani dovrebbero imparare dai croati?
Sì: qui c’è molta meno indifferenza. Gli italiani dovrebbero prendere esempio dai croati per quanto riguarda l’attenzione alle persone e a quello che succede intorno sé. Un’altra cosa splendida della Croazia è poi il fatto di star seduti ad un bar per ore a bere un caffè in tranquillità, per il piacere di stare con le persone, senza preoccuparsi dell’orario.
C’è qualcosa che ti manca dell’Italia?
Inutile dire il caffè italiano e la pizza senza ketchup! Per il resto, mi piacerebbe che ci fosse qui un maggiore senso civico, per quanto quello italiano non sia a livelli così alti…
Torneresti a vivere in Italia?
Torno al mio paese per le feste (Natale, Pasqua…) e per qualche weekend lungo, e mantengo vivo il rapporto con i miei amici, con i quali sono costantemente in contatto, ma non credo di tornare a vivere in Italia. Almeno non per il momento. Avendo scelto di operare in un settore che non offre molte sicurezze dal punto di vista lavorativo, la parola “definitivo” è un po’ eccessiva. Penso sempre che andrò a vivere dove ci sarà lavoro, anche se, tra tutte le alternative possibili, ad oggi quella italiana è l’ultima.
Di Maura De Gaetano 16/11/2010