Ingegnere insoddisfatto del suo stile di vita, ha deciso di mollare tutto per vivere come semi nomade viaggiando
Fabio Pulito, nato a Padova, dopo aver completato i suoi studi in ingegneria ed aver lavorato per qualche anno come consulente aziendale nel settore dell’informatica, insoddisfatto del suo stile di vita, ha deciso di mollare tutto per vivere come semi nomade semplicemente viaggiando: Australia, Thailandia, Laos, Vietnam, Cambogia, Malesia, Singapore e Indonesia. E poi ancora Taiwan, Giappone, Cina, India, Nepal, Egitto, Turchia e Russia. In questo momento si trova in Vietnam ma non ha intenzione di rimanerci a lungo e non è ancora sicuro sul dove andare in seguito.
So che prima di dedicarti al semi-nomadismo lavoravi nel settore dell’informatica. Cos’è che ti ha fatto cambiare idea e ti ha spinto a lasciare tutto per vivere come semi nomade?
E’ vero, lavoravo nel settore dell’informatica, ma non sono stato spinto a cambiare idea né dal lavoro né dal settore. Ciò che non sopportavo, che influenzava in modo negativo sempre più aspetti della mia vita, anche quella extra-lavorativa, facendomi entrare in uno stato che pur non intendendomi di psichiatria mi permetto di definire di depressione soft, era il mondo “corporate” in generale.
Il posto fisso da impiegato, nell’ambiente della media-grande azienda, con i suoi orari, i suoi formalismi -l a necessità dei quali viene spesso imposta senza che nessuno sappia darne una spiegazione – ma soprattutto le sue dinamiche, i rapporti umani forzati e il più delle volte falsi, le cospirazioni da quattro soldi, le frustrazioni, le preoccupazioni frivole, le paure ingiustificate, le riunioni tediose e inutili dove tutta questa energia negativa cerca una sterile valvola di sfogo, i valori in cui nessuno crede, da condividere a tutti i costi.
Il tutto in cambio di uno stipendio, che non può certo essere tutto, non per sempre almeno. E quindi di cos’altro? Di certezze per il futuro che poi tanto sicure non si sono rivelate. Ambizioni a cui non aspiravo. Di benefit trappola, di promozioni verso livelli sempre più interni di un labirinto pericolosamente intricato.
Quel lavoro e quel settore poi non li ho lasciati del tutto per vivere come semi nomade. Quel che ho mollato sono solo le modalità in cui mi erano stati prescritti. Di tanto in tanto insegno corsi di informatica/gestione aziendale. Saltuariamente, come free lance. Diciamo che attualmente ho deciso di vivere come semi nomade in uno stato di precariato semi-volontario, nel senso che ne verrei fuori anche subito, se non dovessi dire addio per lo meno ad alcuni aspetti della libertà di cui godo ormai da una decina d’anni.
È accaduto altre volte nella tua vita che lasciassi un posto di lavoro fisso per rincorrere un sogno? Come ci si sente a rinunciare ad un futuro con delle certezze per potersi sentire veramente liberi e vivere come semi nomade?
Non mi è difficile rispondere a questa domanda, avendo già trattato l’argomento nel mio blog www.fabiopulito.com/2011/03/seminomade.html Mi sono sentito un po’ come quando all’inizio di quest’anno ho lasciato l’appartamento che affittavo, mi sono messo la borsa in spalla e sono rientrato nel vecchio, familiare circuito piuttosto casuale tra stanze di alberghi, guest house, appartamenti di amici, conoscenti e sconosciuti, e alloggi forniti dai clienti: quando ho un corso di formazione da insegnare, si intende.
Alla fine dell’ultimo giorno di preavviso, all’uscita dall’azienda, mi è sembrato di buttar fuori l’aria dopo aver tenuto il respiro a lungo, il petto finalmente rilassato e il cuore che poteva galleggiarvi soave e leggero, in totale libertà per tornare a vivere come semi nomade. Senza sapere che pensare quando mi si diceva che dovevo essere pazzo e io non provavo nulla.
Per divertimento ho elencato su un pezzo di carta anche un po’ di metafore che calzassero: elemento labile, uccello in perenne migrazione, rampicante senza appiglio, umanoide pre-agricolo, vagone sganciato, scialuppa alla deriva.
Quando hai lasciato il tuo lavoro avevi un’idea di che cosa ne sarebbe stato del tuo futuro?
Assolutamente nessuna idea. Per lo meno a medio-lungo termine.
Tra tutti i posti dove sei stato non ce n’è neanche uno in cui ti piacerebbe piantare le tende e provare a costruirti una vita da residente invece che vivere da semi nomade?
Sì, ce ne sarebbero: Thailandia, Hong Kong, Cina, Giappone, Australia, Argentina, Spagna, forse altri. Le condizioni favorevoli per farlo non si sono però mai presentate e io non ho mai cercato di crearle con la necessaria determinazione.
Non senti mai la necessità di poter dire con certezza ad un tuo amico o a una ragazza appena conosciuta, dove trascorrerai il resto della tua vita?
Magari a volte, per ragioni puramente pratiche ma è una sensazione che tende comunque a passare in fretta.
Come reagisce la gente quando gli racconti la tua storia? Riescono a concepire il tuo punto di vista o, pur ammirandoti per il tuo coraggio, mantengono le distanze e ti etichettano come pazzo a vivere come semi nomade?
Haha… interessante. Conosco persone che potrebbero rientrare in ognuna delle categorie che hai delineato. Anche in altre a dire il vero, ad esempio: mantengono le distanze e mi etichettano come pazzo a vivere come semi nomade senza nemmeno ammirare il mio (presunto) coraggio. Questo è un punto tanto interessante quanto delicato. La linea di divisione tra coraggio e codardia (fuga o inseguimento di un sogno, ritirata o ricerca della libertà?) è molto sottile e non ben marcata. Una risposta a quei quesiti io non l’ho ancora trovata.
Dopo dieci anni di viaggio, consiglieresti ad un amico di lasciare la routine della vita quotidiana e rimettersi in gioco come hai fatto tu e vivere come semi nomade? O gli consiglieresti piuttosto di tenersi stretto il suo lavoro e di farsi una vacanza per distrarsi?
In assoluto, direi nessuna delle due alternative. Se proprio devo dare un consiglio è di cercare di seguire il proprio istinto, se lo si ritiene affidabile. Io non ho una posizione pregiudiziale nei confronti di chi ha il lavoro fisso: molte persone che stimo ce l’hanno. Persino io ne vorrei uno, se i suoi contenuti e le condizioni al contorno mi entusiasmassero, anche solo in parte. Purtroppo non ho ancora trovato un’occupazione che soddisfi i prerequisiti necessari.
Allo stesso modo non ritengo che la mia scelta di vivere come semi nomade debba per forza essere quella giusta. Io ho preso quella decisione perché era l’unica alternativa alla condizione di infelicità in cui ero sprofondato che ero riuscito a individuare.
Ecco, forse il consiglio è proprio questo. Se uno è infelice deve cambiare qualcosa. Mollare il lavoro è un’opzione, ma credo non sia l’unica, tanto meno quella adatta a tutte le situazioni. Anche subire in silenzio però non lo è.
Hai mai pensato di rientrare in Italia?
Sì. Potrebbe per esempio interessarmi trascorrervi alcuni mesi all’anno. Per stare più vicino a miei genitori mentre invecchiano e non rischiare di perdere contatto con le mie radici, sia culturali che di sangue. Ma non è comunque qualcosa di cui sento di avere bisogno urgentemente.
Di Giacomo Savonitto 30/12/2011