ANTONIO SI E’ TRASFERITO A VIVERE A MIAMI DOVE LAVORA COME FOTOGRAFO
Antonio Tommaso Vanni, fotografo Abruzzese, ha deciso di trasferirsi a vivere e lavorare come fotografo a Miami.
“…In America sanno che un professionista ha un certo costo e non chiedono sconti. Se il lavoro è ben fatto e sono soddisfatti, ti pagano bene e subito. Esiste veramente la meritocrazia, non stanno a guardare chi sei, quanti anni hai, il colore della pelle o l’appartenenza politica. Valutano il tuo lavoro…”
Ciao Antonio, vuoi presentati ai nostri lettori, come ti chiami e di dove sei originario?
Mi chiamo Antonio Tommaso Vanni, sono nato ad Ortona, una cittadina sulla costa adriatica.
La mia storia si può riassumere in poche righe: liceo classico, facoltà di giurisprudenza, servizio militare, perché ai miei tempi pochi potevano sottrarsi alla “leva” e, una volta congedato, la decisione che non avrei mai fatto l’avvocato, ma il fotografo.
Cosa facevi quando eri in Italia?
Il fotografo. La fotografia è una passione che ho sempre coltivato, da ragazzino fotografavo di tutto, poi sviluppavo le pellicole bianco e nero e stampavo le fotografie in camera oscura.
Durante il periodo universitario ho cominciato a fare i primi lavori per il magazine della facoltà e per un periodico locale. Ma per me la fotografia era ancora un hobby.
Gli anni 80 erano anni di grande fermento culturale in Abruzzo, sono stato fondatore e naturalmente fotografo di due riviste: una che si interessava di cultura e l’altra di turismo e ambiente.
Ho seguito dei corsi di foto giornalismo a Milano e quando nell’estate del 1986 la SECI, cioè il gruppo editoriale di “la Repubblica” fondò a Pescara il quotidiano “il Centro” ho cominciato a lavorare come fotoreporter per loro.
Dopo 2 anni di fotogiornalismo ho aperto uno studio insieme a due soci e mi sono dedicato alla fotografia pubblicitaria.
Infine la decisione di “mettermi in proprio” e dedicarmi alla fotografia in tutte le varianti fino ad arrivare a quella artistica con importanti collaborazioni con pittori, architetti, e scultori.
Posso dire che in più di trent’anni di carriera ho esplorato quasi tutti i campi della fotografia.
Quando e perchè è arrivata la voglia o la necessità di lasciare l’Italia?
Cominciamo col dire che in Italia, soprattutto nel centro-sud, non c’è mai stata una grande “cultura fotografica”.
Non voglio generalizzare ma di sicuro gli Italiani si sanno vestire, hanno un gran gusto nell’arredare le loro case, sanno mangiar bene, spesso cucinano anche benissimo, pur non essendo dei cuochi professionisti, insomma hanno gusto in tante cose ma sono un po “limitati” se si parla di gusto fotografico.
Questo, credo sia alla base del mio desiderio di cercare altrove una nuova affermazione professionale. La decisione di lasciare l’Italia è arrivata gradualmente, con una accelerazione nell’ultimo periodo, quando le aziende per cui lavoravo, soprattutto quelle del settore food e moda, hanno cominciato a risentire della crisi e ad investire sempre meno in pubblicità.
Alcune di loro sono state addirittura costrette a chiudere. La crisi economica in Italia è gravissima e investe anche i grandi gruppi industriali. E’ vero che ci sono ancora delle aziende floride, ma sono soprattutto quelle che riescono ad esportare i loro prodotti nei paesi dove l’economia gira bene e i consumi sono in continua crescita.
Ma torniamo alla decisione di lasciare l’Italia, mia moglie, Monica, ha un ruolo determinante nella nostra scelta. Nell’ultimo periodo in Italia abbiamo lavorato per conto di una importante casa editrice realizzando alcuni libri fotografici, per seguire meglio questo lavoro ci siamo trasferiti in Piemonte e poi in in Lombardia e abbiamo viaggiato molto all’estero.
La conoscenza di realtà economiche di altri paesi ci ha fatto capire che era il momento di “cambiare” perché in altri paesi avremmo avuto migliori prospettive di lavoro, non è stata una decisione facile, ma a darmi la forza necessaria ci ha pensato Monica. E’ stata lei che mi ha incoraggiato e ha preparato tutto il materiale necessario per ottenere il visto per gli USA.
Avevi già vissuto all’estero per lunghi periodi prima?
Vissuto per lunghi periodi no, ma ho lavorato spesso fuori dall’Italia.
Mia moglie è stata l’editore di un magazine di cinofilia in doppia lingua (italiano-inglese) che aveva molti abbonati in tutti i paesi europei, ma anche in America, Asia e Australia.
Io ero il direttore della fotografia e realizzavo i servizi fotografici ho viaggiato e lavorato in tutta Europa, inoltre, tra il 2007 e il 2010, avevo lavorato per diverse settimane e in più occasioni negli Emirati Arabi.
Sei partito da solo o in coppia?
Sono partito con Monica, mia moglie.
Perché hai scelto di trasferirti proprio negli Stati Uniti e in quale città vivi?
Mia moglie avrebbe voluto trasferirsi a Dubai o Abu Dhabi. Eravamo già stati negli Emirati, avevamo fatto lavori importanti, e avevamo dei buoni agganci oltre a conoscere benissimo le città.
L’idea di trasferirsi negli Stati Uniti è venuta a me, le ho forzato un po’ la mano nella scelta della nazione, peró ho lasciato a lei la scelta della città. C
‘erano due elementi per lei determinanti: Il clima caldo e il mare, per cui Miami Beach è stata la logica conseguenza. Ma era tutto condizionato dal visto, se non fossimo riusciti ad ottenere un visto lavorativo per gli USA probabilmente saremmo andati a Dubai.
Conoscevi già gli States?
Solo come turista. Ma poter lavorare negli Stati Uniti credo sia il sogno di molti fotografi e poterci vivere un grande traguardo.
Una frase emblematica me l’ha detta il Console Americano alla fine dell’intervista per il visto: ” l’America è molto bella, signor Vanni, deve fotografarla tutta, non si limiti solo alla Florida ” per cui Miami è solo l’inizio….
Come hai affrontato e risolto il problema del visto?
E’ risaputo che ottenere un visto lavorativo per gli Stati Uniti non è cosa facile.
Nel mio caso ho richiesto ed ottenuto il VISA O/1 ossia il visto per “straordinarie abilità artistiche”. Questo visto mi da la possibilità di lavorare negli States per tre anni, rinnovabili per altri tre e la possibilità di richiedere la Green Card.
E’ uno dei visti migliori in assoluto, ma anche uno dei più difficili da ottenere.
E’ vero che non ci sono investimenti da fare ma devi dimostrare e documentare una carriera artistica-professionale di alto livello.
Così mia moglie ha cominciato a mettere insieme il materiale necessario: lavori fatti per importanti aziende, campagne pubblicitarie, libri fotografici di cui sono stato autore, interviste su importanti giornali, copertina di libri e magazine, collaborazioni con editori, concorsi fotografici vinti e altro ancora.
Alla fine io stesso mi sono stupito di quanto materiale avevo… ma 30 anni di carriera non sono certo pochi!
L’avvocato che negli Stati Uniti ha seguito l’iter del mio visto, man mano che inviavo la documentazione, lo analizzava e si complimentava per la qualità e l’importanza dei lavori fatti e la cosa mi tranquillizzava parecchio perché sapevo che il numero di domande per il rilascio dei visti lavorativi negli Stati Uniti stava crescendo e l’ufficio dell’Immigrazione americano ne stava rilasciando sempre meno.
Ci sono voluti sei mesi per ottenere il visto.
Tutto il materiale raccolto è stato dapprima sottoposto alla valutazione da parte dello “IATSE”, ossia un importante Ente attivo negli Stati Uniti e Canada a cui sono iscritti registi, attori, scenografi, operatori, fotografi e altri professionisti che lavorano nel campo delle arti figurative.
Ad ottobre 2014 lo IATSE ha valutato positivamente il miei lavori, considerandomi, quindi, persona con abilità straordinarie nel campo della fotografia.
Mancava ancora la prova più difficile, cioè sottoporre tutto il materiale raccolto, compreso l’approvazione da parte dello IATSE, agli uffici dell’immigrazione: l’ USCIS, ossia l’organo governativo statunitense competente in fatto di visti.
Dopo circa un mese ci ha telefonato lo studio legale di Miami per comunicarci che anche l’ USCIS aveva dato parere favorevole alla nostra richiesta di visto. Eravamo ad un passo dall’ottenere il visa O1.
Mancava solo il colloquio col Console a cui spetta la decisione finale, lui infatti puó rilasciare o negare il visto in base all’esito del colloquio.
Qualche giorno prima dell’appuntamento avevo preso una brutta influenza, ma ero felicissimo e anche se avevo la febbre ed ero pieno di antibiotici sono andato all’appuntamento con una certa tranquillità, sono entrato negli uffici del Consolato e ho subito scoperto che il colloquio non era affatto una formalità.
Le due persone che mi precedevano sono state liquidate con un perentorio: “mi dispiace, visto negato”.
Poi è arrivato il mio turno, il Console ha guardato dei documenti sul suo monitor, mi ha fatto qualche domanda di carattere generale e qualcuna specifica che riguardava il mio lavoro, poi con un gran sorriso ha pronunciato la frase che ho detto prima: “Complimenti, signor Vanni, si ricordi che l’America è molto bella, deve fotografarla tutta, non si limiti solo alla Florida”.
Mi ha dato la mano e mi ha augurato buon viaggio.
In che cosa consiste la tua attività?
Sono un fotografo professionista e mi occupo di fotografia a 360 gradi, dal fashion al food, architettura, still life, real estate, portrait, wedding e pets. Inoltre se si tratta di advertising sono in grado di seguire le campagne pubblicitarie dei miei clienti dalla A alla Z, compreso tutto ciò che riguarda le strategie della comunicazione, dalla grafica alla stampa di brochure, cataloghi e quant’altro.
Ho già realizzato una copertina per un magazine molto diffuso sul versante ovest della Florida presto farò altri lavori sulla costa del Golfo del Messico, là ci sono posti meravigliosi dove la natura la fa ancora da padrone e la gente è ospitale e gentile.
A Miami sto organizzando il mio lavoro, inoltre sto tenendo corsi di fotografia e collaboro con alcuni artisti e pittori su progetti finalizzati alle gallerie d’arte.
Oltre a questo per cosa altro si distingue la tua attività?
Con il mio visto posso lavorare in proprio come fotografo e svolgere tutte le attività collegate al mio lavoro, ma potrei anche lavorare per qualche studio fotografico o per le numerose agenzie che ci sono a Miami.
Posso solo aggiungere che cerco di dare ai miei clienti un prodotto di alta qualità.
In Florida ci sono dei bravi professionisti, ma ci sono, come in Italia, molti fotografi improvvisati, con poca esperienza e spesso con attrezzature amatoriali.
Fanno dei lavori mediocri ma hanno un loro mercato perché si accontentano di compensi molto bassi.
In questo scenario l’unico modo per affermarsi è chiedere compensi adeguati, lavorare bene e cercare di essere il migliore.
Arrivato a Miami ho dovuto ricominciare una nuova vita in un posto completamente nuovo, conoscere la città, capire cosa fare, cercare una casa, costituire una società, aprire i conti bancari, cercare clienti, scegliere i laboratori fotografici e le tipografie per la stampa che avessero gli stessi standard di qualità a cui ero abituato, e oltretutto prendere in fretta la patente americana, ricordo che se sei residente negli Stati Uniti, la tua patente italiana ha validità un solo mese.
Considerando che sono arrivato a fine gennaio, credo di aver fatto abbastanza!
Quali differenze sostanziali riscontri a livello lavorativo rispetto all’Italia?
In America sanno che un professionista ha un certo costo e non chiedono sconti. Se il lavoro è ben fatto e sono soddisfatti, ti pagano bene e subito. Esiste veramente la meritocrazia, non stanno a guardare chi sei, quanti anni hai, il colore della pelle o l’appartenenza politica. Valutano il tuo lavoro.
Negli altri stati americani, poi, e in alcune grandi città come New York, Boston, San Francisco, Chicago, il lavoro di un fotografo professionista è retribuito molto bene, molto più che in Florida, perché come ho già detto a Miami in particolare, esiste tanta concorrenza poco qualificata che, “rovina la piazza” con prezzi ribassati e scarsa professionalità, ma anche la piazza “rovinata” di Miami offre mille occasioni in più rispetto all’Italia, e le possibilità di lavoro sono numerosissime.
Ci sono, ad esempio, agenzie che assumono fotografi e operatori a cui fanno dei corsi specifici per essere in grado di lavorare negli ospedali con i neonati e persino in sala parto; altre agenzie specializzate per le foto scolastiche.
Foto a cui le famiglie e gli studenti stessi tengono tantissimo e conservano gelosamente dal primo anno di scuola fino alla laurea. Altre agenzie si occupano di eventi e a Miami, questi sono numerosissimi ed importantissimi.
Naturalmente, anche qui come in Italia, si può lavorare con battesimi, compleanni, matrimoni e spesso vogliono un fotografo anche per l’engagement, cioè il fidanzamento.
Inoltre ci sono momenti importanti nella vita delle comunità di origine latina dove è richiesto il lavoro del fotografo. Per esempio fanno delle gran feste con tanto di sessione fotografica e video in occasione del 15° compleanno delle ragazze, la così detta quinceañera.
Com’è avvenuta la tua integrazione in una realtà locale sostanzialmente differente da quella italiana?
Miami Beach e Miami sono forse le città meno americane degli Stati Uniti. Qui la maggior parte della popolazione è Latina, lo spagnolo è la lingua più parlata. Cuba, Haiti, tutti gli stati dell’America Centrale, e Meridionale sono presenti e le loro comunità sono molto numerose. Ci sono poi tantissimi europei, soprattutto russi, e naturalmente Italiani. In tutta la contea pare ci siano 35.000 connazionali.
Miami e’ una città veramente cosmopolita. In queste condizioni è facile vivere perché il tessuto sociale è fatto di integrazione, le culture, i cibi, i gusti, risentono di tutte le popolazioni che negli anni hanno fatto crescere e sviluppare questa città, e paradossalmente in questa confusione di razze ognuno si sente un pò a casa.
L’Italia oramai è per te un ricordo, hai nostalgia, cosa ti manca?
Sono in Florida da fine gennaio 2015, sette mesi soltanto, non me la sento di dire che l’Italia è solo un ricordo, di certo non ho ancora la nostalgia, forse tra qualche anno anche a me l’Italia mancherà ma per il momento, sono troppo impegnato a scoprire l’America.
Conosci molti italiani che vivono a Miami, li frequenti?
Credo sia naturale avere i primi contatti con i connazionali, e così è stato anche per me; i miei primi clienti sono stati gli italiani.
Adesso frequento americani, brasiliani, russi, cubani, argentini, venezuelani.
A Miami si incontrano e si conoscono persone provenienti da tutto il mondo, credo sia un errore chiudersi e frequentare solo connazionali, e poi è così bello e stimolante aprirsi a nuove culture.
Ne io ne mia moglie apparteniamo a quella categoria di persone che devono per forza parlare italiano, frequentare locali italiani, bere italiano e mangiare italiano, anche se i ristoranti italiani sono tra i migliori e il nostro cibo è eccellente.
Sono una persona profondamente curiosa, fare nuove esperienze è la cosa che più mi piace e spero che il desiderio di scoprire posti nuovi e conoscere persone nuove non mi abbandonerà mai.
Vivere a Miami sotto quali aspetti è meglio che in Italia ? E sotto quali aspetti è peggio?
Vogliamo parlare di una economia che gira a mille, una crescita demografica, urbanistica, turistica, commerciale senza precedenti, offerte di lavoro ad ogni angolo di strada e una voglia di fare che oramai in Italia non ha più nessuno?
Negli ultimi anni Miami sta diventando uno dei più importanti centri artistici e culturali degli Stati Uniti; si sviluppano zone della città interamente dedicate alla moda, all’arte, allo shopping, al food.
Opere architettoniche gigantesche ed investimenti da capogiro. Inoltre una cura del verde, dei parchi, un rispetto della natura e una pulizia che in Italia non esiste in nessuna regione.
Mare e spiagge bellissime, strutture alberghiere tra le più rinomate e accoglienti del mondo e gente che continua ad arrivare sempre più numerosa.
Una presenza turistica che supera di gran lunga quella di tutte le città d’arte Italiane messe insieme e che non conosce crisi o stagionalità.
Per quanto mi riguarda non ci sono degli aspetti di questa città che considero peggiori che in Italia, non perché qui sia tutto bello, Miami non è il paese dei balocchi e qui nulla è facile, ma tutto è possibile. Ma non solo Miami, tutta la Florida è così, e probabilmente tutti gli Stati Uniti sono così.
Secondo me il confronto è impari perché l’Italia di oggi offre davvero poco, è un paese in recessione con una economia morente e nessuna prospettiva. Aggiungerei che la microcriminalità in continua crescita sta trasformando l’Italia in un paese dove è davvero pericoloso vivere e crescere i propri figli.
Fino a qualche anno fa vedevamo le città americane violente e piene di delinquenza, è vero qui i crimini ci sono e sono numerosi ma almeno la presenza della polizia è costante, i criminali vengono presi e condannati. Anche la giustizia funziona sicuramente meglio che in Italia. Posso dire che sono contento della scelta che ho fatto, non so se rimarrò per sempre a Miami, amo questa città ma il consiglio del console di girare tutta l’America è sempre valido.
Cosa consiglieresti ad altri italiani che desiderassero seguire le tue orme?
Provateci, rimettersi in gioco è sempre stimolante, il cambiamento è energia.
Negli Stati Uniti esiste il problema del visto, e senza di esso tutto diventa difficile se non impossibile, ma se potete, cercate nuovi orizzonti.
Contatti:
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Di Massimo Dallaglio