Eika, avvocato, si è trasferita a vivere e lavorare in India

Erika Suzzi, avvocato creativo a Dehli… come il secondo dopoguerra in Italia. Erika parte da Bologna e si trasferisce a vivere e lavorare in India come consulente aziendale. Arriva in questo nuovo mondo senza pregiudizi e scopre che la parola d’ordine è “squilibrio” e un Paese in fermento in piena evoluzione.
“Dimentica i documentari ed i libri letti sull’India… con Mumbai non c’entrano niente!

E’ interessante la quantità di gente che si conosce, storie diversissime, persone interessati, culture differenti. Inoltre, sono un popolo molto giovane, il management delle grandi imprese indiane è di un’età compresa tra i 35 e i 50 anni. Tutto è in evoluzione e c’è una gran voglia di fare, e molto da fare. E’ un po’ come il secondo dopoguerra in Italia: stanno nascendo ora i centri commerciali, le grandi catene di negozi hanno appena approcciato il mercato…

Che facevi in Italia prima di trasferirti a vivere e lavorare in India?

L’avvocato, mi sono sempre occupata di diritto societario.


Come hai maturato la scelta di trasferirti in India?

Un’opportunità di lavoro, per una società che si occupa di consulenza aziendale: a società italiane che vogliono investire in India e, viceversa, a società indiane che vogliono investire in Italia.


Eri già stata altre volte in India prima di trasferirti?

Si, avevo fatto un viaggio meraviglioso in Rajasthan, un anno prima. L’India mi era sembrata stupenda, mistica e affascinante, ma tra una vacanza (nella terra dei Maharaja) e la “vita vera” (a Bombay) c’è una bella differenza…


Come ti sei mossa appena arrivata?

Avevo già degli appoggi anche perché sono andata per lavoro. Oggi lavoro per questa società ed ho iniziato una mia attività nell’ambito della moda: ho realizzato questo pareo-saari in tessuto prezioso, da indossare in diversi modi.

Come è stato l’impatto con l’India?

Per prepararmi un po’ prima di venire qui ho letto i libri di Terzani, di Rampini e di tutti coloro che hanno avuto a che fare con l’India. Ho letto molto proprio per non rischiare di arrivare qui carica di pregiudizi. Ed, infatti, non lo sono. Sebbene il mio giudizio finale sull’India non sia comunque positivo.

All’inizio ho avuto la reazione che chiamano “squilibrio emozionale”

Eika, avvocato, si è trasferita a vivere e lavorare in IndiaE’ difficile restare indenni all’impatto con l’India (se si è persone sensibili), non subire uno shock. Io ho pianto tanto da farmi scoppiare un capillare. La ragione è che ci si rende conto che non c’è speranza per un miliardo di indiani, su un miliardo e trecento milioni.

La ragione è che loro stessi sono feroci, qui ci sono le caste, e i potenti orchestrano il tutto ALLO SCOPO di lasciare un milione di persone nello schifo, operai-scimmie al servizio di pochi. L’India è uno dei paesi più corrotti al mondo. Gli indiani sono i più razzisti al mondo. E la loro religione aiuta: detta molto semplicemente (forse troppo, me ne scuso), secondo l’induismo ogni essere umano ha davanti a se un percorso in salita di reincarnazioni da fare, e l’ascesa dipende da quanto si è onesti e virtuosi in questa vita.

Il pulitore di fogne è convinto di diventare tra tot reincarnazioni un re

Quindi è pacifico, vive rilassato, non vede le disparità come ingiustizia ma come naturale evoluzione della propria anima. Chi non ha niente vede il ricco come più evoluto, perché più in alto nella scala delle reincarnazioni, e quindi non lo odia, non lo invidia, semplicemente attende.

Questo da un lato è la loro forza, perché gli indiani sono buoni e pacifici (non mi sono mai sentita in pericolo una volta!), ma da un altro punto di vista è terribile, perché le disparità sono atroci.

Hai notato differenze tra il mondo lavorativo indiano e quello italiano?

Non sono certa di riuscire a spiegare quello che sia, realmente, vivere in India, lavorare con gli indiani e rapportarsi a una cultura così diversa. In generale: loro sono pacifici, rilassati oltremodo e “circa”. Capita di aspettare un idraulico sette giorni dopo che lo stesso ti ha assicurato di essere sotto casa tua e di star per prendere l’ascensore, capita di entrare negli uffici comunali e di vedere i dipendenti dormire con la faccia sulle scartoffie, capita di chiamare il centralino dell’Indian Airlines per prenotare un volo e trovarsi a chiacchierare del più e del meno perché il centralinista vi chiede chi siete, cosa fate di bello, ecc.

Poi ci sono le eccezioni: ho trovato gente fantastica, indiane che sono diventate mie amiche e colleghe di lavoro, ma sono per lo più persone abituate a viaggiare, con una mente più internazionale.

E tra lo stile di vita?

La parola chiave è SQUILIBRIO.
Allora…dimenticarsi i documentari ed i libri che si sono magari letti sull’India…con Mumbai non c’entrano niente.
Niente misticismo niente sciamani, lo spirito è stato mangiato da 20 milioni di uomini volutamente tenuti in povertà da un governo ladro (in Italia in confronto siamo dei santi) che vivono in una città di dimensioni grandi come un rettangolo 40 km per 10 km…praticamente la popolazione di un terzo dell’Italia che vive in uno spazio del genere.



Di questi 20 milioni almeno 7 milioni non sono censiti (non hanno nome non hanno documenti, niente), 10 milioni non sanno leggere e scrivere, 15 milioni vivono con meno di 20 rupie al giorno (35 centesimi di euro). I 15 milioni di cui ti dicevo vivono negli Slum (presente slumdog millionaire??? ecco, le capanne dove lui viveva da bambino…), baraccopoli senza acqua senza niente dove la speranza di vita è intorno ai 40 anni.

Poi ci sono i ricchi…

Io faccio parte di questa categoria (non ci vuole molto). Quindi ho un bell’appartamento. Vado a cena nei ristoranti dentro i grandi hotel (stupendi…qui il divario tra il niente e il tutto è incredibile, il medio non esiste) anche perché è impossibile fare altrimenti. Per gli occidentali andare nei loro posti equivale a morire in tre giorni… E’ proprio una questione di anticorpi diversi: loro li costruiscono dalla nascita.
Il mondo dei ricchi giovani di Bombay, che frequentano Bhollywood, i locali alla moda, il mondo della moda, è la stereotipazione del nostro: vivono per i brand, fanno un uso smodati di alcool e cocaina, non hanno nessun interesse per la cultura.

Diversissima è la vita a Delhi. Dove c’è più la cultura delle grandi e antiche famiglie benestanti. Dove i giovani vengono mandati all’estero a studiare. E dove tutto è più pacato e meno coinvolto dalla frenesia del divertimento. Qui ho trovato persone meravigliose, più simili a me ed al mio stile di vita.

Hai trovato difficile vivere in India?

La difficoltà maggiore del vivere in India, per me, è il lato igienico. Non hanno idea di cosa sia l’igiene, il pulito. Anche a casa di gente facoltosa, o in grandi ristoranti, bisogna stare attenti. Non si lavano le mani, toccano il cibo con le mani sporche, non hanno idea di come conservare i cibi. Faccio di solito la spesa in un supermercato molto carino, l’unico dove è possibile trovare pasta e prodotti italiani. E mi sono trovata a litigare più volte per come conservano i cibi. Parmigiano lasciato sotto il sole per ore e poi venduto regolarmente, gelati sciolti causa black out (molto comune) e poi ricongelati.

Eika, avvocato, si è trasferita a vivere e lavorare in IndiaTutto questo fa si che ogni espatriato passi la maggior parte del proprio tempo in India a combattere disturbi gastrointestinali. Ho un amico che si è da poco trasferito dall’Italia a Jaipur. Di padre indiano e madre italiana che, seppur indiano nel sangue (e legatissimo alla parte indiana della sua famiglia) è sconvolto dalle condizioni igieniche dell’India.

Torni in Italia qualche volta?

Torno in Italia ogni due mesi. La prima reazione, appena scendo dall’aereo, è una sensazione di pulito. Tutto mi sembra lindo e profumato, mi giro ad annusare la scia di sapone che fa la gente. La seconda reazione è una strana malinconia ed un senso di inutilità vedendo gli sprechi, la superficialità e il consumismo. Potrebbe sembrare retorico ma vi assicuro che passare da un luogo in cui ci sono bambini nudi e malnutriti che vivono per strada sugli stracci, ad uno in cui i bimbi in moncler urlano perché non hanno l’ultima versione della playstation, è difficile.


Cosa ne pensi del luogo in cui oggi vivi?

Io ho un autista, Suresh (è impossibile girare per strada, ci sono due strade principali e tre milioni di stradine senza nome, dove si ammassano tutti con i mezzi più disparati: macchine cammelli elefanti carretti ecc). Secondo gli Indiani ricchi che frequento per lavoro non ci dovrei neanche parlare. Invece mi sono affezionata a lui e alla sua famiglia. Li invito a mangiare a casa, sono andata a casa loro. Il risultato finale? Vengo criticata. Non dovrei mischiarmi a certa gente.

Il lato interessante del vivere in India è la quantità di gente che si conosce. Storie diversissime, persone interessati, culture differenti. Inoltre, sono un popolo molto giovane. Il management delle grandi imprese indiane è di un’età compresa tra i 35 e i 50 anni. Tutto è in evoluzione e c’è una gran voglia di fare, e molto da fare. E’ un po’ come il secondo dopoguerra in Italia: stanno nascendo ora i centri commerciali. Le grandi catene di negozi hanno appena approcciato il mercato, stanno aprendo ora ristoranti internazionali (italiani, giapponesi e thai).

Torneresti in Italia?

Si, tornerò in Italia, ma spero di mantenere sempre un contatto con l’India, che ormai mi è un po’ entrata dentro.


Di Emiliana Pistillo 02/05/2011

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