Gianluca Gallo, 26 anni e già manager in una grande azienda in India
Napoletano d’origine, Gianluca Gallo, 26 anni , ha iniziato a viaggiare sin da piccolo. Grazie ai genitori puo’ dire di aver visto e vissuto il mondo. Oggi svolge il ruolo di manager della business Unit di una grande azienda a Bangalore, India. La sua esperienza in India sembra una naturale tappa del percorso di vita, sempre alla ricerca di nuove sfide e nuove frontiere.
Ciao Gianluca, da quanto si puo’ intuire sei un gran viaggiatore. Hai anche vissuto all’estero prima di quest’ultima esperienza?
Sono stato dalla Thailandia agli Stati Uniti, da Israele al Messico, dall’Australia all’Egitto, dal Guatemala al Marocco ed in vari paesi europei. A sei anni mi sono trasferito ed ho studiato per cinque anni a Budapest, vedendo intorno a me cambiare radicalmente la città, nel periodo di transizione post-comunista (erano gli anni ’90), quando le certezze oziose della economia programmata cedevano il passo al mercato ed alla imprenditorialità.
Durante gli studi, avevo avuto modo di confrontarmi con il mondo del lavoro, grazie ad uno stage (in giro per l’Italia del Sud a raccogliere e verificare dati di bilancio) in Ernest & Young, nell’area auditing (nel 2006) e circa 4 mesi spesi in USA, misurandomi, in Alenia North America, sulle tematiche del cost controlling, riportando direttamente al CFO.
Quindi gli studi ti han portato successivamente a vivere esperienze all’estero? In cosa ti sei specializzato? Qual è la tua attivita’ ora?
Attualmente sono Manager del Controlling della Business Unit del segnalamento di Ansaldo STS in India. Per giungere sin qui mi sono laureato a pieni voti dapprima a Napoli (laurea triennale) e poi al Politecnico di Milano (laurea magistrale) in Ingegneria Gestionale, completando gli studi nel 2009. Completato l’iter universitario, nel 2010, mi sentivo pronto ad affrontare un lavoro impegnativo, a mettere a disposizione le competenze acquisite, ma ancor più avevo una gran voglia di fare, di imparare, di crescere e, principalmente, di dimostrare le mie valenze ed il mio senso di responsabilità.
Mi è stato offerto l’ennesimo stage presso Unicredit Leasing. Ero contento di aver trovato un’opportunità da cogliere, per ampliare le mie esperienze, ma dopo qualche tempo mi sono reso conto che si trattava di un lavoro con scarse prospettive. Ero convinto di poter dare e dimostrare di più dei 700 € lordi mensili che prendevo e la scadenza semestrale che si avvicinava erano la misura della mia incompiutezza.
A quel punto che hai fatto per uscire dalla situazione poco soddisfacente?
Ho continuato a guardarmi intorno, cercando delle alternative che risvegliassero il mio entusiasmo e valorizzassero il mio percorso formativo. In Italia si parla tanto di voler puntare sui giovani, ovunque sento ripetere le solite frasi di rito (“il futuro e’ in mano a loro”), però poi non li si stimola, non si dà loro l’opportunità di dimostrare ciò che sanno e possono fare, ciò che meritano. Ritengo che lo stage sia utile nel processo formativo, ma, nel nostro Paese, se ne abusa. I ragazzi che accettano lo stage danno il massimo per dimostrare ciò che valgono, dimenticano la loro precarietà ed investono energie e speranze nell’azienda che li ha chiamati, ma – nella maggior parte dei casi – è solo un regalo alle aziende. Quest’ultime utilizzano ragazzi dalle mille speranze, li usano (la legge consente di effettuare fino a 18 mesi di stage!) e poi, nello 80% dei casi, non li assumono, perchè prendere un altro giovane stagista costa molto meno che assumere il precedente.
Così, dopo il classico iter di colloqui (in inglese) e qualche proposta poco convincente, finalmente ho trovato una azienda dalla caratura internazionale, disposta a puntare sui giovani e pronta a valorizzarli. Al termine di un impegnativo iter di selezione, Ansaldo STS Italia ha riconosciuto le mie esperienze pregresse ed, a luglio 2010, mi ha assunto con un contratto a tempo indeterminato, comprendente, i primi 6 mesi di prova.
Come sei giunto poi all’idea del trasferimento in India? Ci son state delle motivazioni particolari che ti han fatto scegliere questo paese?
Sono stato inserito come Junior Project Controller, con l’obiettivo di essere mandato qualche mese nella zona Asia-Pacifico, per supportare le funzioni locali. Dopo 3 mesi di formazione in Italia e 4 mesi tra Australia e Malesia, il “qualche mese” si è trasformato in un contratto di distacco di due anni in India (fino a Marzo 2013). Forse era nel mio destino. Ansaldo STS è una azienda meritocratica. Ho imparato velocemente da colleghi e superiori molto esperti e competenti, ho raggiunto dei buoni risultati, ho avuto – e quella non guasta mai.. – un po’ di fortuna e così, l’azienda mi ha valorizzato a tal punto che, ad un anno dall’assunzione, mi ha nominato responsabile del controlling locale in India, con sede a Bangalore.
Come hai vissuto questa nuova realta’? E’ stato facile ambientarsi?
Nonostante la mia pregressa esperienza internazionale, l’impatto iniziale con l’India e’ stato “forte”, anche in virtù della consapevolezza di non esser lì da turista o visitatore occasionale, ma di dover vivere in questo luogo per due anni. Le amicizie, rapidamente instaurate, ed in particolare quelle con dei colleghi di grande spessore umano e professionale, incontrati in loco, hanno reso più semplice il mio adattamento.
Qual è l’impressione che hai avuto dell’India?
E’ un paese particolare, sotto vari aspetti..
L’India è un mondo a parte, legato ancora oggi alla sua tradizione plurimillenaria eppure esposto alle sfide del XXI secolo , e’ un paese affascinante, dai mille contrasti. La povertà ti colpisce nel cuore, ma, nonostante ciò, i più miseri non sono aggressivi, anzi i bambini sorridono sempre e non ho mai subito tentativi di rapine o particolari scortesie, pur tornando tardi la sera. Un po’ dipende anche dalla religione più praticata nel paese: gli Induisti credono nella reincarnazione e, pertanto, ritengono che il modo di comportarsi nella vita presente sia determinante nella reincarnazione successiva. Noi Cristiani spesso dimentichiamo cosa ci aspetta dopo la vita terrena, presi dal nostro edonismo ed alimentati dai messaggi pubblicitari che spingono al consumismo ed alla sola “realizzazione” terrena, ma – da questo punto di vista- dovremmo recuperare un po’ della spiritualità di questo popolo, che – pur credendo irragionevolmente a 300 mila Dei – offre una testimonianza di coerenza che impone rispetto.
E per quanto riguarda il lavoro com’è stato l’impatto?
Lavorare con gli Indiani non e’ semplice. Loro stessi dicono che “il problema dell’India è nell’affermare sempre che non c’è problema”. Infatti , per una sorta di accondiscendenza innata verso l’altro, tendono sempre a darti ragione, evitando di contraddirti, anche se non conoscono la risposta, o se stai affermando qualcosa che non condividono o sanno essere inesatto. Per fortuna non sono tutti così, ma, specialmente nel mio lavoro, fatto principalmente di numeri e dunque di dati certi, bisogna sempre stare all’erta. I rapporti personali sono sereni, quasi idilliaci, ma quando spiego una tecnica di calcolo o una regola contabile cerco di prevenire il loro timore di fare domande. Non basta chiedere se è tutto chiaro, perché risponderebbero affermativamente. Ho trovato la soluzione chiedendo sempre: “Do you understand 100%?”, perché così qualcuno ha il coraggio di dire “99%” e allora capisco che è opportuno ripetere e riparto dall’inizio.
Una volta ci fu una videoconferenza tra India e Australia. Il meeting era presieduto dal responsabile australiano che parlò per circa mezz’ora. Conclusa la riunione, un collega chiamò gli Indiani per chiedere se fosse tutto chiaro. Loro risposero che, in realtà, in Australia avevano il microfono disattivato e non avevano potuto sentire niente, nonostante per tutta la riunione, in segno di rispetto, avessero annuito.
C’è qualche qualita’ del popolo indiano che ti ha affascinato ? Hai imparato forse ad apprezzare uno stile di vita diverso da quello occidentale.
Un aspetto che apprezzo molto della loro cultura e’ che, per loro, come per gli antichi Ebrei e Cristiani, l’ospitalità’ e’ sacra. Sono stato recentemente in visita da una amica indiana a Mumbai. Quel che ha fatto per me e’ indescrivibile, dal prepararmi un dolce europeo al mio arrivo, al cedermi il suo letto (e lei ha dormito per terra). Eppure è una mia recente conoscenza, in quanto e’ una amica di mia cugina ed era la prima volta che ci incontravamo, dopo vari contatti telefonici ed in chat. Quando sono andato via mi ha scritto: “la prossima volta che torni, ti diamo una copia della chiave di casa, perché adesso questa e’ anche casa tua”. Un amico mi aveva detto che se diventi amico di un Indiano, e’ una amicizia che non perdi più. Condivido questa affermazione, perché sono già conquistato dal loro modo di essere. Ci sarebbe tanto da imparare da loro in tal senso.
Questa estate, invece di rientrare in Europa, ho girato l’India del Nord. Ho visto il Taj Mahal, le residenze di vari Maraja, villaggi dediti ad agricoltura e pastorizia e città vive e caotiche sin dalle prime ore del mattino. L’India è spettacolare, non solo per gli incantatori di serpenti, o i templi indù, o le fortezze da raggiungere a dorso d’elefante, o la ricca fauna ed il meraviglioso artigianato. L’India ti dà una emozione dentro, mista a rabbia e senso di impotenza per la povertà che la caratterizza. A Varanasi, ho vissuto da turista l’esperienza religiosa della città sacra sul Gange, ma ho sentito di dover rispettare chi giunge fin lì con un viaggio orizzontale (cioè sulla Terra) per intraprendere un percorso in verticale (verso Dio).
A questo punto della tua vita hai raggiunto degli obiettivi che probabilmente in Italia non sarebbero stati possibili. Torneresti a “casa”?
Ovviamente l’Italia mi manca, amo la mia terra e le mie abitudini: mentre osservo le mucche passeggiare per le strade, le capre mangiare la spazzatura, alcuni uomini sputare o orinare per strada, mentre vedo preparare dolci e cibo senza attenzione alle norme igieniche, o bambini mal vestiti piangere, donne in burqa che incrociano altre in jeans, ripenso con nostalgia alle mie passeggiate sul lungomare, alle cene a base di pesce, alle gite in moto, alle notti passate a ballare in discoteca fino a tardi (qui a Bangalore peraltro, tutto chiude alle 23:30) e mi manca persino la possibilità di…bere l’acqua dal rubinetto.
A Bangalore, tuttavia, il clima e’ stupendo, ci sono le Maldive e l’Hymalaia a due passi e sto imparando a giocare a golf, spendendo molto meno di quel che pensassi e trovando istruttori indiani gentili e competenti. Per un Europeo, la vita qui può offrire, comunque, diverse opportunità.
Insomma, resto un Italiano, ma questa esperienza mi sta arricchendo e sono certo che, giorno dopo giorno, saprò sempre più comprendere ed apprezzare la cultura indiana. E’ anche questa una sfida, anche se con me stesso, e credo sia giusto mettersi sempre in discussione.
Oggi vedo l’Italia nel mio futuro, ma non mi dispiacerebbe vivere un’altra avventura professionale ed umana magari in Australia, America, Francia, o altrove. Viaggiare e vivere a contatto con altre culture, con storie, costumi ed usi diversi ti apre la mente (e il cuore) e, se si vuol migliorare se stessi e dare un contributo al proprio paese, si deve esser pronti a guardare oltre le apparenze, si devono cogliere gli aspetti positivi e negativi, si deve imparare – con umiltà, ma anche spirito critico – dagli altri: credo sia il miglior modo di imparare e crescere …
Un giorno ritornerò, e con molto piacere, in Italia, sperando di dare compiutezza alla mia vita e di essere utile, nel lavoro come nella vita, agli altri, ma oggi la mia priorità è imparare a vivere il Mondo. Come diceva Sant’Agostino “il Mondo e’ un libro e chi non viaggia ne conosce solo una pagina”, ed io amo leggere.
Di Luisa Galati 01/09/2011