Giorgia vive a Los Angeles, in California, convinta della scelta che ha fatto: «questo è il momento giusto per lasciare l’Italia e per rendersi conto che una prospettiva del tutto diversa può aprire la mente, gli occhi e il cuore».

Cogliere al volo l’opportunità di trasferirsi al di là dell’Atlantico, negli States, inseguendo una duplice passione artistica e sentimentale, scoprendo che si può lavorare in condizioni e con stimoli migliori di quelli che l’Italia offre: questa è la scommessa che Giorgia Mannucci ha fatto con se stessa, vincendola. 27 anni, romana, una laurea specialistica in “Gestione e innovazione delle attività culturali ed artistiche”, Giorgia vive ora a Los Angeles, in California, convinta della scelta che ha fatto: «questo è il momento giusto per lasciare l’Italia e per rendersi conto che una prospettiva del tutto diversa può aprire la mente, gli occhi e il cuore».

Di cosa ti occupavi in Italia, prima di partire? Cosa facevi in Italia prima di partire? La tua attività in Italia ti soddisfaceva?

Ho lavorato per lungo tempo a Roma, presso una piccola galleria d’arte molto innovativa, collaborando anche con Istituzioni importanti. Quello che facevo mi soddisfaceva in pieno: adoravo il mio lavoro! Certo, però, le prospettive non erano delle migliori: con tutti i tagli che i governi italiani continuano a fare al settore della cultura, non ci sono davvero grosse speranze di sopravvivenza per la mia “specie”!

A che età hai lasciato l’Italia e cosa ti ha spinto a farlo?

Ero già stata diverse volte fuori dall’Italia: a 20 anni ho vissuto per qualche mese a Londra e a 21 ho passato un po’ di tempo in Spagna. Viaggiare mi è sempre molto piaciuto. Sono partita per gli Stati Uniti a 26 anni. E’ stata una decisione poco razionale, anche se meditata: mi ha spinto l’amore per il mio ragazzo Joe. La galleria in cui lavoravo ha ospitato una sua mostra e io ero quella che, tra tutti, parlava meglio l’inglese, visti i miei soggiorni all’estero. Sono stata scelta per fargli da assistente durante la sua permanenza a Roma. Da allora non ci siamo più lasciati e, dopo mesi e mesi di Skype, mail e messaggi, ho capito che mi voleva davvero bene: me lo aveva decisamente dimostrato nonostante la lontananza e, perciò, era ora di accorciare quella distanza.

Hai perciò scelto la tua meta solo in base al cuore?

Beh, non proprio. Los Angeles è, certo, la città di origine di Joe, ma in questo momento è anche l’hot spot per la Urban Art, come quella di cui siamo appassionati tanto io quanto il mio ragazzo. Ammetto che in passato avevo fatto progetti diversi: avevo pensato di trasferirmi in Spagna o in Olanda, ma mai negli Stati Uniti. Ho messo per la prima volta piede in America proprio per Joe, ma, lavorando in una galleria d’arte che si occupava principalmente di arte americana ed in particolare californiana (è proprio qui che è nato il Pop Surrealism), non poteva esserci per me una meta migliore! Con il lavoro che fa Joe potremmo in effetti essere ovunque nel mondo: basterebbe un computer sempre a portata di mano. Però è anche importante che lui sia presente agli eventi che vengono organizzati, alle feste, alle nuove inaugurazioni e fiere. Los Angeles è da ormai, qualche anno, la nuova Mecca dell’arte ultra-contemporanea e sta surclassando anche New York.

Qual è ora la tua attività a Los Angeles?

Per il momento mi dedico soprattutto al corso di inglese che sto seguendo e che mi serve per il “maledetto” Visto, ma ovviamente continuo a collaborare con gallerie e progetti di Urban Art, supportando prima di tutto l’opera di Joe

Come hanno reagito alla tua decisione i tuoi parenti e i tuoi amici?

Mamma è disperata! Ma la capisco: sono figlia unica e con un fortissimo legame con i miei. C’è da dire che, però, non hanno mai ostacolato la mia scelta: sanno che vivere qui è quello che davvero voglio e si fidano della mia capacità decisionale. Per il resto, tutti mi dicono che ho fatto la scelta giusta: sempre più spesso la gente mi dice che in Italia non c’è futuro, non c’è speranza…

Quali sono state le difficoltà maggiori al tuo arrivo?

Primo, grande problema: i permessi per poter restare qui. L’America, da qualche anno a questa parte, ha inasprito la regolamentazione per l’accesso al paese da “non turista”, rendendo tutto davvero complicato. Capisco la necessità di proteggere i lavoratori americani (dopo la crisi economica, il tasso di disoccupazione si è pericolosamente innalzato), ma alcune regole sono davvero esagerate. Avete mai fatto un ESTA (questionario online, ormai obbligatorio anche solo per una vacanza)? La Prima domanda è: “ Sei un terrorista?”.

Quali sono le differenze che trovi nell’organizzazione del lavoro tra l’Italia e il tuo attuale Paese?

In America, come altrove, la ricerca di un lavoro non è semplice, ma quanto meno le aziende rispondono alle mail quando si manda loro un curriculum vitae oppure una richiesta. Sono stata addirittura ricontattata da musei e gallerie! In Italia una cosa del genere non esiste.

Cosa fai nel tempo libero?

Passeggio con la mia Lomo: una macchina fotografica analogica che fa foto normalmente difettate, stile Polaroid. I palazzi del centro di Downtown sono strepitosi e sempre diversi a seconda delle diverse ore del giorno. Sono pienamente soddisfatta della vita che conduco qui a L.A.

E la mentalità, invece? Quanto sono lontani gli italiani dagli americani nel modo di fare e di pensare?

Ci sarebbe da scrivere un libro intero su questo! L’ America è ancora luogo di estreme contraddizioni: chiunque abbia una buona idea può trovare finanziamenti e realizzarla, ma, di contro, il sito web di uno dei maggiori musei d’America richiede ai visitatori di indicare, a fini statistici, la razza alla quale si appartiene, facendo scegliere tra “bianco” (white), “afro-americana”, oppure “hispanico/latino”. Ovviamente nessuna di queste “razze” esiste realmente, ma la loro concezione è ancora radicata. Per fortuna Joe ha, sotto certi aspetti, molto poco dell’americano medio, per cui sono agevolata in questo. Ad ogni modo una cosa che temo non riuscirò mai a mandar giù è lo spreco totale di energie che la California (che poi viene considerata una nazione “verde”) fa: con tutto il sole che hanno, ogni casa ha l’asciugatrice! Un’altra abitudine alla quale non mi adatterò mai è il fatto di cenare alle 6 del pomeriggio.

C’è qualcosa dell’Italia che ti manca?

I ritmi rilassati, il piacere di godersi la vita e dimenticarsi del lavoro ogni tanto. L’idea di avere in tutto 10 giorni di ferie all’anno mi mette i brividi!

C’è invece qualcosa di americano che importeresti in Italia?

Il burro di arachidi, gli avocados e soprattutto la speranza, la voglia di fare e costruire un futuro, la carica per cercare di realizzare una propria idea o un sogno. In Italia i giovani non possono vivere serenamente la loro età: hanno un futuro segnato, perché lì avere meno di 40 anni, lavorativamente parlando, è uno svantaggio. Visto da qui, in nostro Paese mi sembra senza speranza. Almeno fino a che ci sarà la stessa classe politica a governare il nostro futuro: i bimbi italiani, appena nati, hanno già un debito sulle spalle! Questo la dice lunga.

Mantieni contatti con l’Italia? Ci torni mai?

Ho contatti costanti con amici e parenti italiani, soprattutto con le videochiamate di Skype, le mail, i messaggi, what’supp e le vecchie,care cartoline e lettere: uso tutti i mezzi più o meno tecnologici che ho a disposizione. Amo il mio Paese e ci torno quando posso, ma lo amo solo quasi quanto Joe e la vita californiana.

Pensi mai ad un rientro definitivo in Italia?

Potrebbe essere una eventualità, ma non in questo momento. Qui sento di avere molte più possibilità. Il mio futuro, almeno quello immediato, è qui.

Cosa consiglieresti ad un ragazzo italiano che stesse pensando di andar via dall’italia?

Di farlo, perché è il momento giusto e perché un punto di vista diverso apre la mente, gli occhi e il cuore.

Di Maura De Gaetano 04/10/2011

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