Dall’ITALIA alla CINA – passando per il GIAPPONE – Lorenzo Mariucci si racconta
Lorenzo Mariucci, giovane studente italiano, si trova attualmente in Cina per motivi di studio: si è trasferito a Shangai dopo una permanenza di circa un anno ad Osaka, in Giappone. Sin dalla sua esperienza giapponese, cura un blog dove descrive accuratamente ogni aspetto della realtà in cui si trova di volta in volta: www.paginegialli.com
Dove ti trovi attualmente?
In questo momento mi trovo a Shanghai, nel quartiere popolare di Honkou, sono qui attraverso una borsa di studio per studiare cinese alla Shanghai International Studies University, ma mi piacerebbe potermi fermare qui senza scadenza, magari trovando un lavoro in loco; ottenere un visto non è così difficile come uno possa immaginare, l’importante è avere delle entrate.
Come sei approdato in Cina?
E’ veramente il caso di parlare di “approdo”. Ho visitato per la prima volta la Cina quando ero, sempre per motivi di studio, in Giappone dove ho vissuto per un anno: durante la pausa invernale dagli studi, mi sono diretto da Osaka a Shanghai via mare, con un piccolo viaggio di 48 ore. È da quella prima visita che ho maturato un forte interesse verso la Cina come ispiratrice culturale di tutto l’Estremo Oriente e di parte del Sud est asiatico; se i giapponesi sono rigidi come la pietra, i cinesi invece sono duttili come l’acqua, e a lungo andare è proprio l’acqua che modella la roccia come si può constatare dal massiccio “imbastardimento” dell’apparato etico-religioso nipponico.
Che tipo di accoglienza hai trovato nel Continente di mezzo?
Accoglienza in Cina? E cos’è? A parte gli scherzi, sicuramente i cinesi mostrano gentilezza in una maniera molto, molto sottile, piuttosto pratica, schietta e senza i fronzoli e le esasperazioni del modello giapponese.
In cosa ti è stato difficile abituarti? E invece, in cosa hai trovato la semplicità di adattamento?
Problemi li ho avuti, e forse tuttora ce l’ho, con smog pervadente, l’immenso inquinamento ambientale e acustico, e col traffico che è fastidioso anche per persone non motorizzate a Shanghai come me.
Invece mi sono subito abituato subito, per non dire entusiasmato, alla cucina anzi le cucine presenti a Shanghai. La realtà culinaria cinese può essere ormai definita Cucina del mondo, forse più di Londra, poiché riassume in se il meglio delle 8 cucine cinesi, dello street food, della gastronomia asiatica e infine mondiale, passando per i fast-food americani e le gelaterie.
Com’è stato passare dal Giappone alla Cina? Dal passaggio dall’isola al continente quali sono le differenze che ti sono saltate agli occhi?
A questa domanda, Lorenzo mi risponde invitandomi a leggere un estratto del suo blog che descrive perfettamente alcune delle differenze visibili a d occhio nudo tra popolazione cinese e quella giapponese:
“Differenze nette sono rintracciabili in molti aspetti quotidiani. In Giappone lo starnuto in pubblico assume connotazioni blasfeme, mentre quasi ogni cinese, spesso senza distinzione di sesso, è campione olimpionico di “sputo libero” accompagnato da previa e fragorosa “tirata su di naso”. Le ultime generazioni cinesi sono comunque decisamente più riluttanti nel concedersi a questo discutibile atteggiamento pubblico, ormai sempre più circoscritto agli anziani.
In queste piccolezze comportamentali si palesa il contrasto fra un ortodosso senso dell’armonia collettiva che non concede licenze, e un fin spontaneo pragmatismo che non concede nè pudori, nè tentennamenti. (…) All’esasperata e sorridente fenomenologia della gentilezza giapponese risponde la trasparente ruvidezza cinese, dove è già un miracolo essere guardati in faccia dai commessi. (…).
E riprendendo il discorso alimentare, se spesso nei ristoranti nipponici i tavoli monoposto sono sistemati affinché lo sguardo del commensale si perda nel muro (forse perché l’individuo giapponese si trova più a suo agio con interlocutori dalle voci metalliche come quelle delle vending machine o addirittura con conversatori più silenziosi come le piante del proprio personale microcosmo botanico casalingo), in Cina il pasto è un momento di giubilo collettivo ed è categorico condividere portate luculliane e sbrodolare tutti insieme appassionatamente.
Per quanto riguarda le passeggiate in città, mentre la gentilezza giapponese è così fatalmente contagiosa che si estende anche a oggetti privi di vita come i semafori (il pedone non-vedente viene avvertito del verde tramite un prolungato cinguettio di canarino), in Cina le strisce pedonali hanno scopo prettamente ornamentale. Difatti se in Giappone verso i pedoni viene ostentata una devozione quasi filiale, al contrario in Cina chi è appiedato rappresenta l’ultimo anello della catena stradale; è necessario quindi entrare in empatia con gli automobilisti cinesi per sopravvivere alle norme ataviche che regolano il traffico nel Paese di Mezzo.”
Qualche consiglio pratico? A chi ci si deve affidare per trovare un’abitazione? E un impiego?
Abitazione? Agenzia assolutamente! Lavoro? Dai un’occhiata qui: www.paginegialli.com
Ci sono mestieri “riservati” agli europei?
Sicuramente quelli dove sono richieste facce occidentali, magari lirica, bel canto, insegnamento dell’inglese, produzioni televisive, ecc…comunque il settore dove sono più richiesti gli occidentali è l’ingegneria e vale anche per gli italiani.
Durante le tue permanenze ti è mai capitato di ascoltare commenti sulla popolazione italiana? Come siamo visti?
I soliti luoghi comuni: fashion , pizza, pasta , spaghetti, Ferrari, belle città. Comunque subiscono più il fascino di Germania e Francia, vuoi pure perché in Cina sono molto più presenti prodotti commerciali di questi paesi (Auchan, Danone, Carrefour, L’Oreal, Audi, Mercedes, Wolkswagen, ecc..). Di italiano c’è solo il Ferrero Rocher negli scaffali che appunto spesso sono di department store francesi, quindi chiaramente i prodotti dei nostri “cugini” hanno una presenza e visibilità incredibile che noi che ci sogniamo.
Vogliamo sfatare qualche mito occidentale sui cittadini giapponesi e su quelli cinesi?
E’ giunta l’ora di sfatare il mito che circoscrive il Sol Levante al sushi, il quale costituisce probabilmente l’1% di un’immensa tradizione culinaria. M’infastidisce sentire molti frequentatori di happy-hour in Italia dire “Amo la cucina giapponese”, solo perché hanno assaggiato il sushi. Al massimo possono dire che amano il sushi. Stop!
E poi non sopporto il luogo comune secondo cui “cinesi, giapponesi, tutti uguali!” , c’è un abisso culturale, etnico, linguistico.
Come “vivi” un luogo? Cosa fai per immergerti una realtà diversa da quella della tua origine?
Giro, vivo la quotidianità dei supermercati, dell’università, ma soprattutto dei parchi.
Lorenzo viene letteralmente colpito dalla “fauna” dei parchi cinesi. Riporto un divertente estratto di un suo articolo:
“Sono orgoglioso di abitare nel distretto di Hongkou, tranquilla zona residenziale “vecchia maniera”, molto alla mano e senza eccessive sbavature filo-occidentali. (…)
Altro valore aggiunto di Hongkou è rappresentato dal Parco di Lu Xun, uno dei più grandi polmoni verdi presenti a Shanghai, per cui spesso mi ci concedo una passeggiata di rottura dallo smog e dall’esasperato ritmo metropolitano. (…)
Ma quello che sicuramente affiora non è tanto il delicato affresco di
laghetti, ponticelli, fiori di loto galleggianti su ruscelli incantati, ciliegi, musica di Simon e Gurfankel (?) dagli autoparlanti, salici piangenti, usignoli disneyani, prugni asiatici…no, no, ciò che nei parchetti locali emerge prepotentemente è nientemeno che…. l’ essere umano, ben rappresentato da una fiumana di arzilli ultrasessantenni cinesi. (…)
E in questi paradisi bucolici metropolitani viene celebrata la vecchiaia cinese (…). L’accettazione spontanea dell’esistenza porta i vecchietti cinesi a gesti memorabili, sia nelle giravolte sulla sbarra, sia nella vita di tutti i giorni (nonostante caldo, umidità, freddo, pioggia o fatica). Risulta oltremodo eccitante passeggiare nel parco e ammirare questi ultrasessantenni impegnati con tanta grinta nella ginnastica artistica e nelle partite di badminton(sport popolarissimo in Cina), nelle corse all’indietro (serve per ottimizzare la circolazione, dicono) o nella pratica del fin troppo inflazionato Tai Chi (…).
In questi atteggiamenti quotidiani io intravedo poco divertimento e scarso piacere, ma piuttosto una costante e appagata vitalità, forse traducibile in un’dea di felicità scevra da ossessioni, desideri, rimpianti.
Questa forma autoctona di eudaimonia si materializza anche nelle orde di attempate signore che, accompagnate dagli erhu (violini cinesi a due corde), si dedicano a stravaganti canti e balli corali. Ma c’è anche qualche cane sciolto che – mentre passeggia – si lascia improvvisamente possedere da Pavarotti (e di solito è pure bravo, quindi non lasciatevi spaventare da inaspettate prove di belcanto).
Non si può allora non menzionare la serena competitività dei “nonni” che giocano agli scacchi cinesi (xiangqi) in qualsiasi angolino del parco (ma sono visibili anche su ogni marciapiede di Shanghai). Si tratta di sfide epiche, circondate da insolite folle di curiosi (manco fosse una partita a scacchi fra Karpov e Kasparov), ma comunque regolate dalla forte empatia che caratterizza gli orientali quando si trovano nei posti pubblici.
Osservare così tanti matusa sollazzarsi a questi livelli è un piacere per gli occhi e per lo spirito, d’altronde sono scene di giubilo rare in occidente, dove la terza età appare spesso abbrutita, vuoi perché è assente un background confuciano fortemente celebrativo degli anziani, vuoi perché manca l’imbeccata taoista per vivere l’esistenza al massimo, che qui significa entrare in simbiosi con la vita (il Tao), non possederla…”
Cosa deve “lasciare a casa” un italiano , per vivere da queste parti?
L’Italia! Qui c’è un’idea diversa di bellezza, gentilezza, addirittura di relax. Ma abbracciando queste differenze che apparentemente sembrano ostacoli impossibili, si potrà apprezzare un grande, grandissimo popolo.
Tu racconti le tue esperienze attraverso un blog. Sono curiosa di sapere se i tuoi conoscenti o amici cinesi (e giapponesi) si ritrovano in quello che descrivi? Insomma, stai acquisendo un occhio orientale?
Questo non lo so, io so solo che uno non può essere esperto conoscitore di leoni perché va allo zoo, oppure un affermato ittiologo solo perché possiede un acquario a casa. La stessa cosa vale per i cinesi, li puoi conoscere solo nel loro paese, tutti assieme nelle loro città e non perché frequenti il negozietto cinese sotto casa a Milano o perché abiti nel loro stesso palazzo.
Hai intenzione di rimanere in Cina?
Si, per diversi anni magari, se riuscissi a trovare un lavoro che mi gratificasse…
E allora, buona ricerca Lorenzo e grazie per l’intervista!
Di Letizia Tiscione 01.11.2010