Marco ha lasciato l'Italia per trasferirsi a vivere in Olanda

Marco, manager di sala nel melting pot olandese

Marco ha lasciato l'Italia per trasferirsi a vivere in Olanda

Marco è un ragazzo di confine, con le sue montagne stampate nella testa, i profumi della sua terra nel cuore e un Paese troppo stretto e miope. Però è testardo, ha una grande voglia di reinventarsi, di conoscere e un grande coraggio: ecco perché va oltre quello che per gli altri era solo una “fase”. Ecco come ha trovato la serenità e dignità ad Amsterdam.
“Mi ci è voluta una buona mezz’ora per spiegare ad una prozia che non è vero che se vai in un bar e ordini una fetta di torta “te la danno con dentro la droga”. Per non parlare del fatto che molti non si spiegano come una nazione con uno dei redditi pro-capite più alti al mondo e un modello economico ancora solido non sia andata in rovina dal fatto che gli omosessuali si possono sposare e avere dei figli. Nelle occasioni successive ho accuratamente evitato di avvisare che sarei rientrato per le vacanze. Sono Italiano e lo dirò sempre con un malcelato orgoglio, eppure dopo quasi tre anni da emigrato sono contento di aver mollato tutto e di essermene andato dalla terra che mi ha reso la persona serena che sono oggi.”

Il peso di casa

Sono sempre stato un ragazzo di confine, cresciuto all’ombra delle montagne del Trentino e cullato dai riverberi di un piccolo lago di montagna in Lombardia. Superato un ponte, cambiavo regione, dialetto, panorama, architetture…Poi, in soli venti minuti di auto, ero di nuovo dall’altra parte. Ero il Bianconiglio, con due paesi che potevo chiamare “casa”. Ancora oggi, a ventinove anni, non so cosa rispondere quando i clienti del ristorante per cui lavoro ad Amsterdam mi chiedono da dove vengo. Sono originario di luoghi piccoli, con l’aria pulita e con i bottegai che conoscono il mio nome. Luoghi in cui trovi un centro commerciale a non meno di 40 minuti di auto, dove le infanzie sono serene e profumano di erba ed hanno il sapore granuloso della neve. Paesi dove trovare lavoro è facile, meno con contratto regolare. Luoghi in cui se sei gay e non ti vergogni di tenere per mano la persona che ami, spesso è necessario sfoderare unghie e denti per rivendicare la propria dignità. Mi mancano le mie montagne, la mia famiglia, i miei dialetti e gli amici. Molte altre cose si sono distaccate dalla mia pelle come corteccia, pezzi lasciati sul tragitto alle mie spalle di cui non sapevo di portare il peso prima di atterrare in questa terra di marinai.

Studio e il lavoro in Italia

Marco ha lasciato l'Italia per trasferirsi a vivere in OlandaSono sempre stato un bravo studente: un’educazione primaria di stampo tedesco mi ha dato la possibilità di essere avvantaggiato nel sistema scolastico elementare in Lombardia, così poi come nell’istruzione secondaria. Diplomato come ragioniere, ho lavorato un paio di anni per risparmiare un po’ di denaro così da poter iniziare l’università a Bologna, corso per Educatori Sociali. Laurea triennale nei tempi, tesi sperimentale classificatasi in un concorso nazionale. Scemo non sono, cocciuto sì. Al punto che sapevo che avrei fatto la fame e non sarebbe bastato mangiarmi il fegato con la burocrazia scolastica e il progressivo e sistematico smantellamento del welfare italiano per essere sazio. Amavo il mio lavoro: per potermi permettere i corsi di aggiornamento, lavoravo i fine settimana come cameriere, mangiavo in macchina un panino tra un domiciliare ed un’assistenza Ad Personam a scuola, studiavo di notte. Mi ero anche iscritto ad una laurea specialistica a Verona per Assistente Sociale, nella speranza di poter avere maggiori tutele lavorative in un futuro ed uno stipendio migliore. Ottocento euro netti al mese, nessun tipo di rimborso e se uno dei miei alunni era ammalato o non si presentava a lezione, anche il mio stipendio per quella giornata non si sarebbe presentato sulla busta paga. Poi guardavo i miei bambini, i graffi sulle mie mani e le chiazze si saliva o altro sulla maglia…E trovavo la forza di continuare, senza vedere ad ogni modo una meta precisa.

“Io non me lo merito”

Marco ha lasciato l'Italia per trasferirsi a vivere in OlandaUna sera stavo leggendo un testo sull’autismo quando al Tg3 hanno trasmesso l’intervista di una ragazza emiliana, bellissima, forse da poco maggiorenne e non in grado di camminare, che aveva fatto causa alle Ferrovie dello Stato in quanto non le era permesso di usufruire in modo autonomo delle carrozze. Essendo un professionista del settore, le barriere architettoniche e le difficoltà dei miei bambini quando vi si trovavano di fronte erano all’ordine del giorno, nulla di particolarmente sconvolgente. Eppure ho chiuso il libro ed ho ascoltato rapito, non tanto quello che stava dicendo, ma il tono di fierezza con cui si esprimeva. “ Io non me lo merito”, sembrava dire, “ Io devo potercela fare da sola”. Ventisette anni, ancora a casa dei miei genitori, due lavori, pochi soldi da parte nonostante abbia iniziato a lavorare più o meno costantemente fin dall’adolescenza. Io non me lo merito, io devo potercela fare da solo…

E’ il tempo per mollare tutto

Marco ha lasciato l'Italia per trasferirsi a vivere in OlandaLe settimane successive sono trascorse tra la normale routine e l’elaborazione di una strategia per riuscire a cambiare in modo radicale la situazione in cui mi trovavo ad affogare giorno dopo giorno. Pensieri da sempre tenuti sopiti in quanto disturbanti avevano iniziato a farsi sentire con forza. A scuola non potevo fare a meno di pensare al fatto che ero pagato (poco) per educare i figli degli altri, bambini con bisogni specifici e particolari, ma non avrei mai potuto avere figli miei se non con sotterfugi e scelte al limite dell’ortodosso. Nell’ambiente scolastico, laico solo sulla carta, mi sembrava di essere sotto il dominio del “don’t ask, don’t tell”, sia per il mio orientamento sessuale che per il fatto di aver ottenuto lo sbattezzo pochi anni prima. Non avrei mai potuto ufficializzare una mia unione sentimentale. Pagavo le tasse come gli altri ma non godevo delle stesse possibilità. Per non parlare del progressivo smantellamento del welfare, privatizzato a singhiozzi e in modo incoerente, caotico, che rendeva il mio lavoro sempre più complesso e snervante. Avere il maglione sporco di pennarelli e succo di frutta non mi bastava più per essere sereno. Era tempo di crescere, di prendere decisioni importanti e radicali. Tempo di mollare tutto e ricominciare dove potevo vivere come cittadino con pieni diritti e più dignità.
Mi detti tempo un anno per mettere da parte un po’ di soldi, migliorare il mio inglese e capire dove sarei potuto emigrare e trovare opportunità concrete per ricominciare. Continuai a mantenere due lavori, divorai serie televisive online americane e britanniche, nonché libri in lingua originale. Decisi di limitare il campo di ricerca all’Europa, riguardo i diritti per le persone omosessuali sarei potuto emigrare praticamente ovunque. Strinsi il cerchio fino ad ottenere quattro nazioni che potevano essere potenzialmente la mia Arca: Francia, Belgio, UK ed i Paesi Bassi. Un po’ il destino, un po’ perché vivendo in una località turistica frequentata ogni anno da molti olandesi conoscevo già qualcosa della cultura e dello stile di vita di questa popolazione, le terre della Regina Beatrice ebbero la meglio. Poi, diciamo la verità, quanto fa figo vivere in uno Stato con una regina?

Prove tecniche di cambiamento: freddo, bidet e biciclette

Decisi di effettuare un sopralluogo nel periodo più freddo dell’anno, a Gennaio, giusto per capire se potevo sopportare il cambiamento climatico per un lungo periodo. Avevo un piccolo problema: non avevo un soldo. Attraverso un sito online GLBT trovai ospitalità da parte di un ragazzo olandese ad Alkmaar, una cittadina nel North Holland di cui non avevo mai sentito parlare. Ci conoscemmo meglio via skype parlando in inglese, gli spiegai i miei progetti e lui si trovò d’accordo nel farmi stare da lui senza pagare ma ad un patto: avrei dovuto cucinare piatti italiani per tutti i 5 giorni della mia permanenza. Cresciuto in una famiglia che faceva quasi tutto in casa e utilizzava frutta, verdura e pollame solo di propria coltivazione e allevamento non potevo chiedere di meglio.
Non riuscii a dire la verità ai miei genitori, dissi loro che andavo a trovare un amico conosciuto durante la stagione sul lago. In realtà andavo ad esplorare quella che sarebbe diventata la mia nuova terra. Sebastian si rivelò essere il tipico olandese: biondo, occhi chiari, sorridente e positivo, curioso, dritto al punto al limite della rudezza, spiccio, rilassato. Mi sentivo come una scimmia approdata in una terra di ghiaccio e vento. Il termometro segnava -18 gradi ed io, con il naso che sembrava mi si dovesse staccare dalla faccia, ero felice. Vivere con lui per 5 giorni e conoscere la sua famiglia mi permise di capire meglio questo popolo e decisi che, anche se non sarebbe stato facile, mi sarei potuto trovar bene tra gli olandesi. I wc erano fatti in modo strano, in una stanza separata dal bagno “perché se ti scappa non devi mica aspettare chi si fa la doccia”…In effetti, dagli torto. Il primo trauma giunse nello scoprire che non c’era il bidet… Dalla faccia stralunata di Sebastian alla mia domanda e dalla sua risposta (“ è una cosa inutile, occupa spazio e i calzini li lavo in lavatrice”), capii che in questa terra sarei stato più cauto nell’avere rapporti occasionali. La spesa si faceva ogni giorno, controllando con cura i prezzi e alla fine scegliendo sempre quello meno costosa. La qualità del cibo era abbastanza bassa e quando dovetti preparare un ragù con una salsiccia che non era della mia valle e che non capivo che sapore avesse, sentii lo sguardo di disapprovazione di mia madre. La bicicletta era onnipresente e serviva per fare tutto: dai traslochi, a condurti in ufficio in giacca e cravatta, dal portare i bambini a scuola all’interno di cassoni di legno ad andare in discoteca la sera con i tacchi. La pioggia se ti cade sui capelli non è una tragedia e l’ombrello è un optional. Tanto poi ti asciughi, mica muori. Se ti viene la bronchite meglio, ti si rafforza il sistema immunitario. I ragazzi e le ragazze mi sembravano bellissimi, dai colori chiari predominanti, alti e con dei bei corpi modellati da anni di bicicletta e sports. L’abbigliamento pratico più che ricercato, le combinazioni di stili e colori “azzeccate” erano rare a vedersi ed i ragazzi usavano il gel per i capelli come gli anni ’90. Mi trovavo costantemente a bocca aperta. Sebastian rispondeva a tutte le mie domande, in modo chiaro e diretto, non curante a volte di poter urtare la mia sensibilità o di utilizzare giri di parole. Chiarezza e velocità, il resto è una perdita di tempo. L’ultima sera attorno alla tavola eravamo in 12 persone: la voce che il piccolo italiano cucinava ogni giorno manicaretti diversi si era sparsa e cugini, sorelle ed amici avevano insistito per essere invitati. Tutti parlavano un buon inglese, dai più anziani ai più giovani, persino i bambini cercavano di comunicare con me. Io in olandese ancora non avevo imparato a dire “grazie”. Mi trovai a capo di una tavola di uomini e donne alti, dagli occhi azzurri ed i capelli biondi, alcuni quasi bianchi, che mi guardavano, sorridevano e facevano domande, a turno, in ordine, sostenendo una conversazione senza accavallarsi, senza alzare la voce. Poi la madre di Sebastian mi fece una domanda: “ Marco, you’re pretty, you’re smart and you’re a good cook…Why don’t you have a boyfriend yet?”. In una stanza piena di sconosciuti che mi avevano accolto nella loro casa, questa domanda risultava avere lo stesso peso di quelle precedenti :”From which part of Italy are you?” oppure “ Do you like it here so far?”. Mi vennero in mente le mie prozie che cercavano di accasarmi con la figlia del notaio o del farmacista anche durante i funerali. Mi veniva da piangere. Le lacrime le avrei versate tutte ed abbondanti mentre attendevo l’aereo di ritorno a Schipol, a singhiozzi e moccio malcelati dalla sciarpa. Tornai a casa più leggero. Decisi che il prossimo biglietto sarebbe stato solo di andata.

La decisione: cercare lavoro in Olanda

Marco ha lasciato l'Italia per trasferirsi a vivere in OlandaIn famiglia la notizia che sarei partito non venne accolta con gioia ma nemmeno in modo negativo: i miei genitori non capivano ma mi avrebbero appoggiato moralmente. Per il resto me la sarei dovuta cavare da solo. Cercai informazioni riguardo al welfare, ai documenti da preparare, ai costi degli affitti e delle assicurazioni sanitarie ( la sanità è privata), oltre che effettuare ricerche più di tipo antropologico, per conoscere meglio la popolazione autoctona. Ovviamente, cercavo anche disperatamente un lavoro. Nel mio campo era impossibile trovare qualcosa che non si trattasse di baby sitter in nero per famiglie bilingui benestanti, per cui cercai di puntare su quelle poche qualità che possedevo e che potevano essere utili all’estero: la padronanza della lingua inglese e francese e le mie capacità culinarie, queste ultime non professionali ma comunque apprezzabili. Dopo un paio di mesi, avevo solo molta confusione in testa e nessun contatto lavorativo concreto. Non si è trattato di certo di un periodo sereno, anche perché avevo iniziato il protocollo di distacco dagli alunni che seguivo, per abituarci a vicenda alla futura separazione e reciproca assenza.
Accadde poi che, per caso, una signora per cui avevo lavorato durante una stagione estiva, mi accennò ad un ragazzo che conosceva e che stava aprendo un ristorante ad Amsterdam: lo contattai via skype la sera stessa e mi disse che aveva bisogno di un lava piatti che sapesse anche fare le paste fresche. Lo stipendio netto, il minimo olandese, era quasi il doppio del mio attuale. Comprai i biglietti per andare in prova per 3 giorni pochi minuti dopo la nostra conversazione. Sempre attraverso la community GLBT che mi aveva permesso di conoscere Sebastian, contattai un altro ragazzo olandese che accettò di affittarmi una stanza ad un prezzo basso, a patto che preparassi i pasti. Sarei stato anche disposto a stirargli le camice se fosse stato necessario e questo può rendere l’idea di quanto il desiderio di andarmene fosse forte in me. Mi dovevo reinventare da capo, iniziare una nuova vita con il solo aiuto della mia testardaggine e voglia di ricominciare. La prova andò bene e venni assunto. Il ragazzo che mi aveva ospitato, un medico professionista, accettò di farmi vivere con lui per un paio di mesi, a patto che avessi continuato ad occuparmi della cucina. Rientrai in Italia ed ufficializzai la mia partenza a parenti ed amici stupiti, conviti che la mia fosse solo una “fase”, una piccola crisi. Mi resi solo conto in quel momento che poche persone avevano creduto davvero che ce la potessi fare e me ne rammaricai.

Lavoro e vita frenetica ad Amsterdam

Rientrai ad Amsterdam un mese dopo, con il treno notturno da Milano in quanto viaggiare in aereo con tutti i bagagli sarebbe stato troppo costoso. Il lavoro era duro, l’ambiente di cucina rozzo e maschilista ma anche lì riuscii a farmi rispettare. Vivevo lontano dal centro, a 20 minuti di metro dal lavoro, arrivavo a casa tardi e la sveglia suonava presto la mattina per poter preparare la colazione ed il pranzo da portare al lavoro al mio coinquilino e cercare online una nuova soluzione abitativa, cosa difficile in ogni capitale, soprattutto se hai pochi soldi. Nel giro di un paio di mesi trovai una stanza in nero, dopo qualche tempo un’altra con contratto regolare. Nelle ore libere dal lavoro (poche, in quanto ero impegnato al ristorante 6 giorni a settimana e mai solo per 8 ore al giorno), davo lezioni private di italiano ad un’insegnante di canto australiana che mi aveva contattato tramite un gruppo su Facebook di Italiani nei Paesi Bassi e frequentavo un corso di Olandese presso l’Istituto Italiano di Cultura della città. Dopo un anno, anche per via del quotidiano utilizzo della bicicletta, avevo perso dieci chili, ero vicino alla soglia di un esaurimento nervoso per stanchezza ma ero contento della mia scelta. Mi dispiaceva solo di non averla fatta molti anni prima.
Ho lavorato sodo e sono riuscito a guadagnarmi la posizione di manager di sala. Ho superato anche alcune interviste per posizioni lavorative differenti (principalmente call center) e sono rimasto stupito dalla serietà con cui le candidature sono prese in considerazione: sono stato sottoposto a test attitudinali e d’intelligenza, colloqui in più lingue, analisi dettagliate del mio CV. Generalmente in ambienti di ufficio le gerarchie sono molto meno prese in considerazione che in Italia, nonostante la differenza nelle mansioni e negli stipendi, di base tutti sono considerati alla pari ed hanno il diritto di esprimere la propria opinione. Alla fine ho sempre deciso di rimanere presso il ristorante per una pura questione di tipo economico. Inoltre, a forza di labbra strette e musi duri ero riuscito a guadagnarmi una posizione di rispetto ed una certa autonomia decisionale.

Vivere in Olanda

Marco ha lasciato l'Italia per trasferirsi a vivere in OlandaIl tenore di vita generale degli olandesi è alto, i sussidi statali vengono elargiti abbondantemente e per diverse ragioni (rimborso dell’assicurazione sanitaria, assegni famigliari e di accompagnamento, rimborsi per gli affitti delle case e così via). Fino ad un paio di anni fa gli studenti universitari potevano viaggiare gratuitamente su tutti i mezzi pubblici (che sono più costosi che in Italia ma ottimi) oltre a godere di buone borse di studio. Attualmente si stanno verificando anche qui molti tagli al welfare e alla cultura, da qualche tempo la politica di tolleranza e compromesso tipica dei Paesi Bassi ha subito una brusca virata verso i partiti di destra (un ruolo importante hanno giocato l’omicidio di Pim Fortuyn e di Theo van Gogh), il che pare porterà, tra le altre cose,al pagamento dei corsi di Olandese offerti dallo Stato, per ora ancora gratuiti, in cui di solito ti forniscono di tutto, dai libri alle penne per scrivere.
Amsterdam, la capitale, è una città vivibilissima, con poco traffico, piccola, dove in 15 minuti in bicicletta arrivi pressoché ovunque. Mi ha conquistato fin dal primo giorno, con le sue architetture tipiche e particolari, i canali, il vento che sa di sale e porta sabbia dal mare, le persone che sorridono già di prima mattina, i bambini che vanno a fare la spesa da soli, le case sull’acqua, la molteplicità di culture che qui sembra aver trovato un luogo in cui convivere in modo proficuo per tutti, la libertà di espressione e l’attenzione alle arti, le finestre grandi al primo piano e senza tende e biciclette, biciclette e biciclette! Devo ammettere che Amsterdam non è rappresentativa dei Paesi Bassi come Parigi non lo è della Francia, però ho avuto modo di visitare molte altre città nel Paese (che è molto piccolo e quindi facilmente esplorabile) e sono giunto alla conclusione che potrei trovarmi a mio agio pressoché ovunque all’interno di queste terre.

Abitudini e integrazione

Le mie abitudini col tempo si sono modificate, frutto di un lento e a volte restìo processo di integrazione all’interno di una cultura fortemente diversa sotto alcuni aspetti da quella italiana, soprattutto nelle abitudini alimentari e nelle relazioni. L’attenzione al cibo è molto inferiore, la dieta tipica olandese è a base di verdure e patate bollite, salsicce, molti latticini, carne e carboidrati abbinati in maniera poco mediterranea ma spesso con più influenze medio-orientali delle ex colonie. Non è considerato cortese fare una visita ad un amico avvisandolo che saremo sotto la sua porta in dieci minuti, lo stesso vale anche per tua madre o il tuo partner. Ho avuto un ragazzo olandese ed a volte dovevo ricordarmi che non sono nella mia Terra e qui le cose vanno in modo diverso: i nostri appuntamenti erano rigorosamente segnati in agenda (è una cosa comune, lo vedo spesso fare anche a coppie che frequentano assiduamente il ristorante), le spese divise con cura maniacale al centesimo, le vacanze erano da farsi in campeggio ( io in una tenda, Dio mi salvi!), quando c’è il sole non vi è verso di rimanere in casa, si va al parco. Mai una discussione, se vi erano dei problemi ci si metteva a tavolino e si trovava una soluzione comune. È stata un’esperienza molto arricchente, per quanto sia durata poco e, si spera in futuro, da rifare. La colazione è di solito abbondante, il pranzo è più che altro in uno spuntino e la cena è attorno alle sei di sera. Da ex-professionista ho notato molte differenze anche nelle modalità educative e di cura dei bambini: vengono spinti dai genitori a prendere posizioni ed a parlare per se stessi fin da una giovane età, se si sporcano non è una tragedia, se fanno a botte se la devono cavarsela da soli (ma con i genitori sempre in disparte a vigilare nel caso la lite vada fuori controllo), se piove o nevica spesso non indossano un cappuccio o non sono coperti da un ombrello. Credo che una qualsiasi mamma italiana griderebbe allo scandalo, eppure, nel vedere come poi crescono le ragazze ed i ragazzi olandesi (alti, fisicamente forti, intraprendenti), magari hanno ragione loro.

In Italia restano montagne e pregiudizi

In Italia non torno spesso, un paio di volte all’anno, preferisco viaggiare per l’Europa ora che ne ho la possibilità economica. I contatti con la mia famiglia sono regolari, specialmente con mia sorella, con gli amici più stretti quasi quotidiani, tramite cellulare o social network. Ricordo che la prima volta che sono rientrato in Italia, sono andato a visitare alcuni parenti, i quali erano comprensibilmente incuriositi da questa mia esperienza. La loro idea dei Paesi Bassi è quella dell’italiano medio: droga, mignotte e sballo. Ci sono rimasto molto male anche perché prostitute in strada qui non ne ho mai viste. Evito accuratamente ogni sostanza di tipo psicoattivo, per cui non sono mai entrato in un coffee shop, anche perché non tollero l’odore del fumo. Mi ci è voluta una buona mezz’ora per spiegare ad una prozia (una di quelle dei funerali da acchiappo) che non è vero che se vai in un bar e ordini una fetta di torta “te la danno con dentro la droga”. Per non parlare del fatto che molti non si spiegano come una nazione con uno dei redditi pro-capite più alti al mondo e un modello economico ancora solido non sia andata in rovina dal fatto che gli omosessuali si possono sposare e avere dei figli. Nelle occasioni successive ho accuratamente evitato di avvisare che sarei rientrato per le vacanze. Ultimamente vivo l’Italia come un turista: mangio tantissimo, faccio il pieno dei profumi, dei sapori, delle voci e dei colori che ad Amsterdam non posso trovare, mi dedico allo shopping (anche per questioni tecniche, oltre ad una concezione differente dello stile, è difficile che riesca a trovare taglie adatte al mio metro e settanta), compro libri e guido la mia auto, ancora in Italia visto che ad Amsterdam risulterebbe pressoché inutile. Soprattutto, guardo le mie montagne e ne imprimo l’immagine in fondo agli occhi.

Melting pot, turisti e vergogne italiane

Marco ha lasciato l'Italia per trasferirsi a vivere in OlandaQuando giunge il tempo di tornare nella mia casa straniera, sono sereno, ho voglia di sentir parlare una lingua ruvida ma allo stesso tempo musicale, di vedere ragazze che non indossano le calze anche in inverno, di rituffarmi in quel melting pot che è questa città, dove donne che raccolgono con cura i capelli sotto un velo occupano qualsiasi posizione lavorativa e in cui tutti parlano almeno tre lingue. Ho un po’ meno voglia di confrontarmi con gli Italiani all’estero, principalmente con i turisti, che spesso giungono qui con le stesse convinzioni dei miei parenti, disinformati e pigri, perdendosi lo spirito di questa città e la possibilità di tornare in Italia con occhi diversi. Questo vale anche per molte altre popolazioni europee e non (ad esempio, gli olandesi non hanno una cattiva opinione dei turisti italiani ma più che altro degli inglesi e dei tedeschi), eppure mi sono reso conto di essere diventato intollerante con la mia stessa gente. Qui ho conosciuto pochissimi italiani che non facciano uso quotidiano di sostanze stupefacenti, anche più volte al giorno. Lo ammetto, ho un problema di pregiudizio su questo tema, ma tant’è. Detesto quando nei forum si scatena il panico in seguito alla notizia che sta per essere discussa una legge che limita l’accesso ai coffee shop e agli smart shop ai soli residenti nei Paesi Bassi o nel comune di una particolare città. Mi fa vergognare, sembra che il motivo per cui molti italiani siano immigrati qui sia la regolamentazione delle droghe leggere. Per quanto riguarda i turisti, spesso si riconoscono anche senza che parlino. Per lo più giovani, dagli occhi arrossati per aver passato ore nei coffee shop, dall’inglese basico e con un forte accento, si lamentano del cibo e, non ho idea del perché, indossano dei cappellini di cotone con dei nastri ai lati con scritto Amsterdam. Van Gogh è quello che “sta a disegnà ‘e faccette” e non mi è capitato una volta sola di sentire una frase del tipo: “Ma chi cazz è sta Anna Franke?”. La maggior parte delle volte che un turista italiano mi chiede informazioni è per trovare il coffee shop più vicino. Quello di cui inoltre molti turisti italiani ad Amsterdam non tengono conto è il fatto che non pochi Olandesi, avendo una passione per il nostro Paese come luogo di vacanze, parlano e comprendono un po’ di Italiano. Giusto pochi anni fa era trasmessa in tv una pubblicità molto popolare riguardo a dei corsi di lingua, dove una famiglia olandese entra in un ristorante italiano, vengono sfottuti pensando di non essere capiti ed il padre gli risponde per le rime. I Paesi Bassi accolgono da generazioni popolazioni da tutto il Mondo…Chissà perché per questa pubblicità hanno scelto proprio gli italiani. Lo ammetto, con un po’ di vergogna, in seguito ad alcuni episodi imbarazzanti di turisti italiani in negozi o luoghi pubblici, ho sfoggiato il mio miglior inglese con accento british per fare in modo di non essere affiancato alla ragazza che chiedeva se un lecca lecca alla cannabis “is stronghe, cioè, te fa sballà?” o alla casalinga della bassa bresciana che si lamentava del fatto che “che i culatù i ga mia ritegno, ardei lè, i se basa en mès a toch!”. Ammetto che in questo ultimo frangente qualche soddisfazione me la sono tolta umiliando questo tipo di turisti in pubblico.
Fatico anche a frequentare molti degli italiani che ho conosciuto emigrati qui da anni, sia per il problema a cui accennavo in precedenza dell’utilizzo di sostanze stupefacenti, che per le continue lamentele sul tempo, sul cibo, sugli olandesi che sono chiusi, sulle ragazze olandesi che sono intrattabili (o indipendenti), sulla lingua che è impossibile da imparare e così via. Quando sento questi discorsi penso agli immigrati che arrivano in Italia, che si adattano a qualsiasi tipo di lavoro, che già parlano un italiano comprensibile e un’altra lingua straniera oltre a quella del loro Paese di origine e che non hanno le agevolazioni di cui gli immigrati possono godere nei Paesi Bassi.

Di dove sei?

Eppure, sono italiano. Quando mi viene chiesto il Paese da cui provengo in quanto è difficile capirlo dal mio accento nel parlare inglese o olandese, lo dico tronfio di orgoglio: “Sono Italiano!”. Un po’ perché l’italiano all’estero (oggi) piace, un po’ perché quando non hai più la possibilità di respirare l’aria in cui sei cresciuto, ci si riscopre nazionalisti. A questo punto, se il mio interlocutore è olandese, di solito inizia a parlare spagnolo per far vedere che conosce l’Italiano (non chiedetemi perché, non ne ho idea), spesso gesticolando con le mani in modo fastidiosamente ridicolo ed imitando uno pseudo accento siciliano che mi fa automaticamente serrare le labbra e stringere gli occhi come se fossi la Signorina Rottermeier. Oppure una maestrina dalla penna rossa incazzosa, tanto per rimanere in tema di nazionalismi. Quando sento sfottere la nostra lingua tanto raffinata e musicale, il mio sorriso di “servizio” si trasforma in un ghigno poco accogliente.
Per il resto gli olandesi mi affascinano: così diversi da me, poco attenti al particolare, spicci, con un diverso concetto di raffinatezza rispetto a quello italiano, spesso geniali nel trovare soluzioni che vadano bene a tutti, sempre pronti a dire la loro opinione senza che questa venga richiesta, sorridenti e disponibili ma anche fermi e dritti al punto indipendentemente dalle situazioni, rispettosi delle regole ma anche no, con poche sfumature ma molti “colori primari”, anche caratterialmente, belli, sportivi, trasandati ma attraenti, sempre pronti a partire per una nuova vacanza e desiderosi di superare i propri limiti. Sono così diversi da me che me ne innamoro ogni giorno e un po’ li detesto allo stesso tempo.
Io ancora non ho capito se qui sono a casa. So solo che sto bene, sono indipendente e posso vivere appieno la mia dignità di persona. Vivo in una delle città più belle d’Europa, frequento persone che giungono da ogni parte del globo, anche una semplice conversazione è un modo per scoprire qualcosa di nuovo ed arricchirmi come persona. Tornerei in Italia in modo stabile solo se la mia famiglia dovesse aver bisogno di me. In questo sì, sono molto italiano. Per il resto preferisco guardare la mia terra da lontano, vederla per quanto è bella e sentirmi un po’ in colpa per il fatto che mi manca ogni giorno di meno. Sono Italiano e lo dirò sempre con un malcelato orgoglio, eppure dopo quasi tre anni da emigrato sono contento di aver mollato tutto e di essermene andato dalla terra che mi ha reso la persona serena che sono oggi.

www.zingarate.com/network/amsterdam

Di Emiliana Pistillo 17/01/2012

CONDIVIDI SU:
You May Also Like
Vivere a Parigi MOLLO TUTTO - Valentina

VALENTINA HA SCELTO DI VIVERE E LAVORARE A PARIGI

VALENTINA HA SCELTO DI VIVERE E LAVORARE A PARIGI Valentina. 28 anni…
lavorare in Francia - guida turistica Parigi

TRASFERIRSI A LAVORARE IN FRANCIA COME GUIDA TURISTICA A PARIGI

TRASFERIRSI A LAVORARE IN FRANCIA COME GUIDA TURISTICA A PARIGI Luca Barrile,…
Provenza, basta un assaggio per cambiare vita

PROVENZA, BASTA UN ASSAGGIO PER CAMBIARE VITA

Provenza, basta un assaggio per cambiare vita Amicizia, suggestioni, voglia di riscatto:…
Mattia Sattin Accompagnatore Turistico Francia Mollare Tutto

MATTIA LAVORA COME ACCOMPAGNATORE TURISTICO IN FRANCIA

MATTIA LAVORA COME ACCOMPAGNATORE TURISTICO IN FRANCIA Mattia Sattin, 29enne di Rovigo, laureato…