MAGIE D’ASIA

Nella mia mappa dei sogni c¹era l¹idea di pedalare lungo le vie carovaniere che attraversano le remote ed isolate valli distese ai piedi delle imponenti catene montuose dell¹Hindukush, del Karakorum e del Pamir. Vie che collegano l¹Oriente e l¹Occidente: Vie del corallo, della porcellana, delle spezie, dell¹incenso e…della seta. Antichi percorsi che hanno costituito per secoli i tragitti utilizzati da guerrieri, mercanti, ambasciatori, viaggiatori, missionari e pellegrini, che con le loro carovane si avventuravano in terre sconosciute, paesi lontani e affascinanti, abitati da popoli bellicosi, demoni e fate. Attraverso questi canali di scambio commerciale oltre le merci come seta, spezie, polvere da sparo, pietre preziose si propagavano nuove tecnologie, idee religiose e politiche.

ALESSANDRO MAGNO PASSO’ DI QUI

Tanto lontano, racchiuso dai massicci bastioni dell¹Hindukush, il distretto di Chitral è adagiato nella provincia nord occidentale del Pakistan. La vallata è la più isolata regione del Pakistan ed è collegata solo da due impervie strade di montagna. A sud il passo Lowari (3058m) la congiunge con Peshawar, mentre a nord il passo Shandur (3685m) la collega a Gilgit. Nessuno di questi due accessi è praticabile nella stagione invernale, quando le abbondanti nevicate ricoprono l¹intera regione. Il 13 di giugno lasciamo il villaggio di Dir. Pedalata dopo pedalata ci inerpichiamo a stento lungo un¹impervia pista, che serpeggiando per una trentina di km, giunge alla cima del passo Lowari. Il panorama che si presenta sulla vetta toglie il fiato, lì davanti a noi le montagne dell¹Hindukush, (Assassina degli Indiani), si estendono, a forma di mezza luna, per quasi 700 chilometri, dividendo il Pakistan dall¹Afghanistan. Il Tirich Mir, con i suoi 7692 m, come una sentinella torreggia sull¹intera catena. Secondo una leggenda locale, la montagna è popolata da belle fate travestite da vergini seduttrici e rane giganti(boguzai) che aspettano gli escursionisti per offrire loro ciotole di latte o di sangue. Si dice che il malcapitati che riceverà la ciotola contenente sangue andrà incontro a morte sicura. Alcuni uomini, incuriositi dalla nostra presenza e dal nostro particolare mezzo di trasporto, si avvicinano per scambiare due parole. Appartengono ai Chitral Scouts, le truppe militari volute dal Governo Britannico a inizio secolo per proteggere la regione dagli invasori russi ed afghani. Oggi, ci spiega uno di loro, hanno il compito di fermare trafficanti di droga, guerriglieri e profughi afghani, inoltre controllano chi entra ed esce dalla valle iscrivendo generalità, provenienza e destinazione su appositi libroni. Il paesaggio sul fondovalle è completamente punteggiato da campi dorati di granoturco pronti per il raccolto e circondato dalla severità e l¹asprezza delle alture. A sud di Chitral, nelle valli di Bamburet, Rumbur e Birir incontriamo i Kafir Kalash, conosciuti come gli infedeli neri. La loro origine è un enigma che si perde tra storia e leggenda. Alcune tradizioni li legano ai greci, difatti loro stessi affermano di essere i discendenti di Alessandro Magno. Una società arcaica, intatta, ferma nel tempo, saldamente legata a radici e valori tradizionali. A Chitral, capoluogo e centro più importante della regione ci si trova davanti al dramma di una guerra ormai dimenticata: quella afghana. La città si è notevolmente popolata per il flusso dei profughi afghani, che attendono la pace per poter rientrare nella loro terra d¹origine. La via principale è fiancheggiata da una fila di botteghe, una accanto all¹altra, dove si trovano in vendita un¹infinità di prodotti. Gli uomini accoccolati a terra, chiacchierano, bevono il tipico tè dolce al latte e vendono le loro mercanzie. La difficile arte della contrattazione si impara in Asia: qui non esiste un prezzo fisso, il costo di una data merce viene stabilito al momento, a dipendenza delle circostanze e dal cliente. Ci sono prezzi per i turisti, e ci sono prezzi per i locali, per i ricchi e per i poveri. Nel bazar, come nel resto della cittadina, non si incontrano donne. Siamo in un universo prettamente maschile, una società musulmana dove le donne sono per lo più confinate dentro alle mura domestiche, il loro solo compito è di essere madri e mogli devote. Tutte osservano rigorosamente il purdah, che le vuole velate o infagottate sotto uno spesso mantello dove solo una fitta griglia, all¹altezza degli occhi, consente loro di vedere. La strada che collega Chitral a Gigit si trova in una delle zone più selvagge e superbe del Pakistan. Il paesaggio, dalla struggente bellezza, non è mai stato totalmente dominato dall¹uomo. Le aride pareti che salgono vertiginosamente con le cime ammantate di neve perenne, sembrano inghiottire i minuti fazzoletti di terra coltivata. I contadini con penosa fatica strappano alla terra i magri mezzi di sostentamento.I raccolti non sono sufficienti per la sopravvivenza degli abitanti, così all¹inizio della primavera le famiglie con il bestiame abbandonano i villaggi per affrontare un duro viaggio verso gli accampamenti estivi. Unico terreno pianeggiante tra la città di Chitral e quella di Gilgit è il vasto altopiano del passo Shandur. Ed è qui che ogni anno convergono migliaia di persone per guardare e tifare una delle manie locali dopo il cricket: il gioco del polo. La competizione signorile qui si trasforma in un gioco veloce, rozzo, eccitante e pericoloso dove tutto è lecito, incluso il portare la palla con le mani. Molti sono i cavalli, che a causa dell¹altezza, muoiono durante la partita. Si pensa che il gioco del polo derivi dal buskashi, il ³tira capra² afghano, dove i cavalieri, afferrata una capra morta da una buca al centro del campo, galoppano intorno al campo tenendola fino a riportarla nella buca di partenza senza farsela prendere dagli avversari. Man mano che scendiamo dal passo ci inoltriamo in una stretta valle dove solo tre colori dominano: il giallo ocra dei monti, il verde smeraldo dei campi e il blu turchese del fiume. I ripidi fianchi delle montagne appaiono instabili, tormentati dall¹infrenabile erosione. Sentieri ancora più precari collegano i diversi villaggi precariamente appollaiati sui ripidi crinali dei monti. Gilgit, polverosa cittadina era un tempo considerata un¹importante nodo commerciale lungo la Via della Seta, grazie alla sua posizione strategica, dove confluiscono le valli di Hunza, Yasin e Ishkuman.

NEL PAESE DELLA LEGGENDARIA SHANGRI-LA

Lasciata Gilgit ci immettiamo nella famosa Karakorum Highway (KKH).
La KKH non è un¹autostrada come si potrebbe pensare, ma semplicemente una moderna carrozzabile incisa tra le alti pareti dell¹imponente Karakorum (Le Montagne Nere), una catena minore dell¹Himalaya, lunga 480 chilometri. Un tortuoso nastro d¹asfalto che si insinua tra montagne inaccessibili tagliando il paesaggio nella sua corsa da Islamabad all¹antico nodo carovaniero del passo Khunjerab. Le frequenti frane segnano l¹intero paesaggio, non di rado le pareti dei monti crollano e stritolanti fiumane di ghiaia scendono a valle cancellando strade e sentieri e travolgendo interi villaggi. Ogni curva offre nuovi scorci sulla successione di bizzarre vette, finché dopo circa un centinaio di chilometri ci appare il superbo e imponente Rakaposhi, chiamata dagli abitanti della valle Dumani (La Dea della Neve), che con i suoi 7789m svetta sull¹intera valle di Hunza. Le difficoltà che incotrarono le carovane di quel tempo ad attraversare questa faticosa e impervia regione, permettendo un lento e arduo accesso alla Cina, spiega perché la ricca valle di Hunza ha conservato una propria cultura e tradizione: regno indipendente, venne annesso al Pakistan solo nel 1973 dal presidente Bhutto in nome della democrazia. Nel corso dei secoli la regione fu paragonata alla mitica Shangri-la, luogo di pace ed eterna giovinezza ispirando lo scrittore James Hilton nella stesura di ³Orizzonti perduti². La sua fama è da attribuire ad un saggio lama che insegnò alla popolazione l¹armonia con l¹ambiente e la natura. Secondo alcune teorie la longevità della popolazione è da attribuire all¹alimentazione a base di albicocche, reputate per il loro sapore e le qualità nutritive, e all¹acqua ricca di minerali. Gli abitanti di questa valle, gli hunzakut, sono di fede musulmana e appartengono alla setta degli Ismailiti, di cui Karim Aga Khan è il carismatico capo spirituale. Anche le donne portano il segno del progressismo Ismailita: a differenza delle sciite e sunnite che seguono un fondamentalismo poco tollerante che le vuole ridotte a sagome nere e relegate solo dentro le mura domestiche, le Ismailite non indossano il velo e partecipano attivamente alla vita sociale. Ciò che sorprende di questa gente sono i tratti somatici simili a quelli europei. La loro origine è ancora oggi avvolta nel mistero e il loro idioma, il Burushki, è diverso da quello parlato dai popoli vicini, e non aiuta di certo a risolvere l¹enigma della loro provenienza. Si pensa che, come i Kalash, discendano dalle milizie di Alessandro Magno. L¹ampia vallata si presenta come un¹unica grande oasi, articolata in più villaggi, contornata da imponenti montagne dai dirupi ghiacciati, che cambiano colore e forma a seconda della posizione del sole. Qui la natura esibisce tutto il suo aspetto selvaggio, è un paesaggio scarno, una terra erosa, brulla resa fertilissima dai contadini che con una fitta rete di canalizzazioni hanno convogliato l¹acqua delle nevi perenni nei frutteti e nei piccoli appezzamenti coltivati a frumento, orzo, mais e riso. I castelli di Baltit, una reminiscenza dell¹architettura tibetana, e Altit, edificato sulla cima di un impressionante dirupo sopra il fiume Hunza, troneggiano sulla valle. Un tempo residenza dei Principi del Baltistan, il regno del Pakistan settentrionale, che fino alla metà del secolo resistette a tutti gli assalti dell¹esercito coloniale di sua Maestà Brittannica. Sust, a cento chilometri da Karimabad, è il punto di partenza per chi vuole superare il confine pakistano ed inoltrarsi negli sconfinati paesaggi della provincia autonoma cinese dello Xinjiang. La regione del Khunjerab è divenuta parco nazionale del WWF: qui molti esemplari di fauna himalayana, come stambecchi, muntjak, volpi, lupi, orsi, leopardi delle nevi e le famose pecore di Marco Polo, hanno trovato rifugio.

SUL TETTO DEL MONDO

Varcando la frontiera pakistana si lascia alle spalle un mondo di colori, forme e volumi per entrare in un paesaggio di terre aridissime sovrastate da montagne superbe. Lo Xinjiang è la più grande e remota provincia della Cina. Racchiusa dall¹immenso deserto del Taklimakan (Il Deserto che Ulula) e dalle alte vette del Pamir e del Tien Shan, questa landa fu temuta da tutte le carovane di passaggio perché si pensava fosse abitata da tribù ostili e creature mostruose. La sensazione che ti comunica il paesaggio è quella del vuoto, un vuoto che nasce dal silenzio, dall¹immobilità, dall¹assenza di vegetazione, ma sopratutto dalla sua enorme espansione. I monti levigati, trasformati dal vento e dalle intemperie rendono il paesaggio lunare. Le rare carovane di cammelli carichi di tutti i beni della famiglia conferiscono alla monotonia del paesaggio un fascino particolare. Queste terre hanno sempre favorito il nomadismo: Kirghisi e Kazhaki, un tempo padroni dell’Asia Centrale, al disgelo lasciano le modeste case di mattoni cotti al sole, per migrare con le loro yurte in cerca di nuovi pascoli. Nati nomadi, vivono essenzialmente di pastorizia: si allevano yak, montoni e cavalli, mentre i cammelli Battriata, grazie alla loro robusta costituzione, vengono utilizzati solo come animali da soma. Qua e là le yurte spiccano sui verdi pascoli. Per noi l¹arrivo a Kashgar è un brusco risveglio da quel mondo tranquillo e immacolato che ci aveva accompagnato fino ad oggi. L¹oasi, punto di interscambio delle mercanzie fra Occidente e Oriente, un tempo era la più importante città dell¹ovest cinese. Oggi la città è un grande cantiere, dove squadre di operai lavorano giorno e notte per costruire deprimenti palazzi, simbolo della Cina moderna. Il ritmo di vita semplice e tranquillo lascia il posto al terribile odore dei tubi di scarico, all¹incessante strombazzare dei clacson e alla brulicante calca di gente dalla diversa fisionomia. Solo nel bazar di Kashgar si respira ancora un¹aria come nei leggendari racconti di Marco Polo: la domenica la città si sveglia in uno straordinario brulicare di attività commerciali. Più di centomila persone, provenienti da ogni angolo dello Xinjiang, dilagano nel labirinto di viuzze della vecchia Kashgar. Incontriamo uno straordinario mosaico di gente, facce antiche, bibliche, un¹immagine fuori dal tempo, dove è facile dimenticarsi di essere in Cina. Provengono dagli angoli più remoti dello Xinjiang, restano il tempo sufficiente per vendere o acquistare una data mercanzia. ³Posh! Posh! Posh!² largo, largo, largo, la voce dei carrettieri come un eco si diffonde nell¹aria. Cercano di farsi spazio nella fiumana di gente che intasa le vie. Kashgar è una cittadina di musulmani osservanti, di donne velate, di genti che parlano un dialetto turco, di odore del souk arabo, dell¹inconfondibile aroma di kabâb e dei pani arabi che si diffonde nell¹aria. Le bancarelle occupano ogni spazio vuoto. C¹è il bazar per le spezie, per le verdure, per i gioielli, per le stoffe, ci sono i ramai, i laboratori di tornitori su legno, i barbieri all¹aperto, le case del tè, i ristoranti avvolti da nuvole di vapori dove gustare gli spaghetti, le zuppe o il kabâb, fatto di lombate di pecora arrostita. Ognuno ha il suo posto. Una stessa mercanzia è esposta in venti botteghe diverse, ma tutte vicinissime una all¹altra. In alcune botteghe si può seguire come l¹artigiano fabbrica l¹oggetto: gesti e attrezzi immutati da secoli. Il mercato più affascinante è quello dove si vendono e barattano i capi di bestiame. Alle prime luci del giorno lo scalpiccio degli zoccoli riecheggia per le strade. Uomini e animali convergono in un apposito spiazzo. questo è il luogo più rumoroso, il più vivo. Gremito di venditori, acquirenti che tastano, sollevano, esaminano, provano, litigano, contrattano ogni sorta di capo, il tutto avvolto in una magica atmosfera medievale. La nostra biciclettata si conclude tra i colori e i profumi del mercato. Nei nostri ricordi rimangono immagini forti e intense: ambiente belli e grandiosi, ma pure tra i più ostili della terra e toccanti incontri di gente semplice ed ospitali.

AUTORE: Alessaandra Meniconzi

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