Adesso basta: lasciare il lavoro e cambiare vita

Simone Perotti: Filosofia e strategia di chi ce l’ha fatta. Adesso Basta: ecco come lasciare il lavoro e cambiare vita

Cambio vita e me la godo!

Adesso basta: lasciare il lavoro e cambiare vitaNei Paesi anglosassoni il fenomeno è già stato studiato. Si chiama “downshifting”, parola che letteralmente vuol dire scalare la marcia, rallentare. Nel nostro caso si potrebbe tradurre così: lavoro meno, guadagno meno, ho più tempo libero…

Adesso basta: lasciare il lavoro e cambiare vita

 

Adesso Basta

di Simone Perotti

Adesso Basta: lasciare il lavoro e cambiare la vita

Già, infatti tenere il piede premuto sull’acceleratore e andare a 200 all’ora dopo un po’ stanca. Meglio allora frenare di botto e cambiare vita.

Simone Perotti, 43 anni, l’ha fatto. Dopo aver esercitato con la massima diligenza la complicata professione di manager per ben 19 anni, un bel giorno ha mollato tutto. Ha lasciato Milano e oggi si ritrova a vivere a La Spezia. A respirare l’odore del mare, a scrivere, navigare, sistemare barche, vendere le sue sculture e soprattutto a rispondere fino alle 4 di mattina alle migliaia di email che ogni giorno gli arrivano.

Niente più stipendio, almeno non più quello di un tempo, nè il ruolo sociale che essere manager gli conferiva.

Piena rinuncia anche ai vantaggi del mestiere. Come per esempio il fatto di non aver mai comprato un telefonino in vita sua. O di non aver mai pagato un collegamento Internet. Simone Perotti in Adesso Basta, ha deciso di raccontare a tutti la sua esperienza, divenuta ormai un vero e proprio fenomeno sociale. Il libro, presentato nella sede romana dell’Associazione della Stampa estera alla presenza dell’autore, di Maarten van Aalderen, presidente dell’associazione e del sociologo Domenico De Masi, è già alla sua terza ristampa. In 20 giorni ha già venduto 20.000 copie.

Questo libro – spiega Perotti – sta vendendo più di Umberto Eco.

Sarà perchè inquadra un fenomeno generazionale. Tutti quelli della mia età, venuti dopo i capelli lunghi e l’isola di Wight, hanno vissuto un’adolescenza malata. Imponeva lo studio, ottimi risultati in tempi brevi, un lavoro invidiabile, soldi, successo, carriera. E ora, dopo aver ottenuto tutto questo, ci ritroviamo col mal di stomaco e abbiamo deciso di fare outing. E’ un malessere, questo – prosegue l’autore – che coinvolge chi ha un’età compresa tra i 35 e i 50 anni. Per intenderci tutta gente che ora sta messa proprio male”.

“Lavorare stanca”, per citare Cesare Pavese.

“Le aziende ti spremono senza alcuna pietà – sottolinea – e ti mettono alla porta al primo sbaglio. Tirano talmente tanto la corda che alla fine si spezza. Nel senso che arrivi a un punto in cui non ce la fai più a continuare così e senti che vuoi finalmente perdere tempo”.
Sì, proprio così, poter finalmente perdere un po’ di tempo nel fare ciò che piace.
“La prima cosa che ho fatto il primo giorno di non lavoro – racconta Perotti – è stata una lunghissima passeggiata in giro per Milano in una giornata di sole.

E’ stato bellissimo, ho provato un meraviglioso senso di leggerezza.

Certo, se pensi che dopo questa scelta, in famiglia sei decisamente più impopolare, che alle 9 del mattino sei completamente solo perchè i tuoi ex colleghi sono tutti in ufficio e, se li chiami, neppure ti rispondono, o ripensi alla tua inseparabile scrivania, o peggio, che hai molti meno soldi in tasca, un po’ ti viene da chiederti: e se mi ritrovassi tra due anni morto di fame a piangere dietro la porta dell’azienda? Meglio non pensarci troppo. M’inventerò comunque qualcosa da fare”.

Non proprio d’accordo sull’abbandono totale del proprio lavoro, Domenico De Masi dà all’attuale perdita di senso causata dalla realtà lavorativa alienante in cui ci ritroviamo immersi una risposta diversa: reagire con l’otium creativo.
“Ci sono manager che conoscono i propri figli solo dalle foto che hanno sulla scrivania. Bisogna a tutti i costi liberarsi da questa condizione di schiavi, tornando a progettare il proprio futuro. Prendendosi il tempo necessario per riflettere e recuperando disperatamente il senso delle cose”.

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