Un argomento molto importante e del quale i nostri politici dovrebbero interessarsi è la RICERCA sia SCIENTIFICA che non. Ma in particolare dovrebbero preoccuparsi della questione tanto complessa, quanto delicata riguardante la FUGA DI CERVELLI.
Le ragioni di tali difficoltà sono riconducibili a vari fattori a volte anche intrecciati tra di loro. Ma tutti indistintamente contribuiscono a far sì che tale problema, che oggi è divenuto di vasta portata è tuttora e troppo spesso oggetto di equivoci sia involontari che premeditati.
Qualche definizione
Prima di procedere è necessario dare delle definizioni per delineare i confini del tema in questione.
L’Enciclopedia Britannica definisce la BRAIN DRAIN. Ovvero la FUGA DI CERVELLI è “l’abbandono di un Paese a favore di un altro da parte di professionisti. O persone con un alto livello di istruzione, generalmente in seguito all’offerta di condizioni migliori di paga o di vita.”
Tale definizione però non è sufficiente per descrivere un fenomeno. Che nonostante la sua anzianità, è emerso nel dibattito internazionale solo intorno agli anni Settanta. Soprattutto in termini di emigrazione dal Sud al Nord del Mondo.
Nel 1997 l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) in un suo rapporto trattante i movimenti di persone altamente qualificato ha evidenziato all’interno di essi altri 2 elementi che si addizionano al tradizionale BRAIN DRAIN; il BRAIN EXCHANGE e il BRAIN CIRCULATION.
BRAIN EXCHANGE cioè lo SCAMBIO DI CERVELLI che sempre secondo l’OCSE è il flusso di risorse intellettuali tra un Paese e l’altro. Con uno spostamento bilanciato nei due sensi.
BRAIN CIRCULATION ovvero la CIRCOLAZIONE DI CERVELLI, invece, viene definita come un percorso di formazione e avviamento alla carriera. In cui uno studente si reca all’estero per completare gli studi al fine di perfezionarsi. Per poi tornare in patria e mettere a frutto le esperienze accumulate per occupare una posizione più vantaggiosa.
Circoscrizione del problema
Lo SCAMBIO DI CERVELLI e la CIRCOLAZIONE DI CERVELLI sono fenomeni praticamente assenti in Italia che vanno ad alimentare il già delicato problema della FUGA DI CERVELLI sia perché gravano molto sull’economia del nostro Paese in quanto la fuga dei ricercatori italiani all’estero in 20 anni ha apportato all’Italia una perdita di 4 miliardi di Euro; sia perché l’esportazione di capitale intellettuale non è solo perdita di persone e denaro. Ma è soprattutto perdita di INNOVAZIONI. Perché le SCOPERTE e le INVENZIONI effettuate all’estero rimangono di proprietà dei Paesi nei quali è avvenuta la scoperta. Indipendentemente dalla nazionalità dei ricercatori.
In questo clima, il quasi totale disinteresse della POLITICA ITALIANA nei confronti della RICERCA, forse perché considerata questione scomoda da trattare, non ha contribuito solo alla FUGA DI CERVELLI dall’Italia, in particolare verso gli Stati Uniti d’America e negli ultimi anni verso i paesi emergenti come Cina e India (Paesi che tra l’altro investono moltissimo nella ricerca). Ma ha anche reso l’Italia meta poco ambita dai ricercatori stranieri.
Un fenomeno senza precedenti
I ricercatori italiani che decidono di lasciare l’Italia per svolgere le loro ricerche e studi altrove lo fanno principalmente per un motivo. La SFIDUCIA NEL PROPRIO PAESE, perché in esso vige un governo che alla ricerca non lascia spazio, né fondi, né alternative.
L’unica strada percorribile da un ricercatore italiano è l’ESPATRIO.
Molti ricercatori italiani hanno aderito ad organizzazioni internazionali come la recente ERC. Ossia il Consiglio Europeo delle Ricerche. Che qualche anno fa ha stanziato circa 300 milioni di Euro per il primo bando, budget destinato ad aumentare per i bandi successivi.
L’ERC è il più innovativo meccanismo per la ricerca in Europa.
Per il suo primo bando l’ERC ha ricevuto oltre 9000 domande distribuite fra i vari paesi in maniera ineguale. I vincitori furono solo 300, vale a dire 1 su 30. L’ERC non assegna borse di studio, ma fondi di ricerca che possono raggiungere i 2 milioni di Euro a testa.
I dati di seguito riportati dimostrano pienamente la gravità del problema della FUGA DI CERVELLI per l’Italia; infatti le domande italiane furono 1600 contro le 1000 della Germania. Le 800 della Gran Bretagna e le 600 della Francia.
Dei 1600 ricercatori italiani, ne vinsero 35. 9 dei quali ottennero un punteggio di 10 su 10, battendo la Germania, il Regno Unito, la Spagna e la Francia.
Questi dati forniscono un’immagine positiva per quanto concerne la preparazione dei nostri ricercatori. Ma allo stesso tempo delineano un’immagine disastrosa dell’Italia. Prima di tutto perché la registrazione di 1600 domande da parte dell’ERC nell’anno 2008 mettono in luce il disinteresse del Governo italiano nel creare opportunità per i ricercatori italiani in Italia.
Inoltre, dei 35 ricercatori vincitori solo 22 rimasero in Italia. I restanti 13 scelsero Paesi esteri con migliori strutture di ricerca e probabilmente anch’essi come i loro predecessori non faranno mai più ritorno in Patria. Soprattutto se la situazione anche in futuro rimarrà invariata. Dall’estero, solo 3 ricercatori scelsero l’Italia come meta di studi e ricerche, due polacchi e un norvegese.
In quest’ambito il confronto con gli altri paesi è devastante. Infatti per citare solo un esempio dei 30 vincitori inglesi, 24 restarono nel Regno Unito. Ai quali si aggiunsero altri 34 ricercatori di altri paesi tra cui 6 italiani.
Per concludere i dati appena riportati sono una piccola ma significativa prova di quanto è grave il problema della FUGA DI CERVELLI e di quanto pesa all’Italia. Perché quando si parla di ricerca non si parla solo di ricerca scientifica. Ma dell’intera capacità di innovazione di un Paese. Perché la FUGA DI CERVELLI è la misura di quanto un Paese stia smarrendo sia la visione del proprio futuro, sia la capacità stessa di pensare e progettare il futuro.
Di Jilian Cosci 30-01-2011