Il primo giorno a Buenos Aires

Questo é uno di quei report che di solito non vengono scritti.
Sono i report del primo giorno quando sono troppo stanco ed occupato per condividere le decine di strane emozioni che provo.
Ma oggi mentre tornavo all’appartamento ho avuto occasione di riflettere e ho pensato che vale la pena di metterle giù, altrimenti se ne vanno e non tornano più, come le canzoni di Vasco.
Il primo giorno sei come un bambino, tutto é nuovo e diverso, e subisci una specie di assuefazione, cercando quasi di essere meno ricettivo per non subire in maniera eccessiva l’ambiente attorno a te, ma in realtà non serve.
Adesso mi sto facendo il caffè sperando mi dia quella mezz’ora di autonomia necessaria a divulgare il verbo.
La notte scorsa infatti ho viaggiato e dormito poco.
Ero in compagnia di due simpatiche ragazze romane in vacanza con le quali ho condiviso le gioe e i dolori di un volo intercontinentale Alitalia che, a proposito, sembra migliorata.

Gli episodi:

Il vento e il sole

Aspettando il pullman sono stato investito dal vento mentre il sole mi scaldava.
Ero sceso dall’aereo da poche decine di minuti. Ho assaporato il momento, e l’ho considerato il benvenuto dell’America del sud.
Nel pomeriggio, camminando in ciabatte e pantaloncini e maglietta thailandesi, mentre attraversavo le grandi vie senza traffico, ho sentito ancora il vento e la sensazione che al di là dei palazzi ci siano spazi infiniti, e non l’hinterland milanese, mi ha fatto amare la città.
Quegli spazi mi hanno attirato e poi respinto. Come se mi dicessero:
– “siamo qui, vieni…no, che cazzo vieni a fare che non c’é niente. Stai lì che é meglio. L’importante é che sai che siamo qui”.
E’ bello sapere che ci sono.

Il ragazzo dell’Agenzia

Si chiama Manuel. Mi ha dato le chiavi, fatto vedere l’appartamento e si é messo a parlare.
Mi ha consigliato un centro sociale per il lunedì sera dove c’è un concerto di tamburi pazzesco.
Non gli avevo chiesto niente.
Poi mi ha chiesto se conosco Luca Prodan. Mai sentito.
Me ne ha spiegato la storia: un italiano eroinomane che dopo aver sentito che a Cordoba non c’era eroina, vi si é trasferito e ha creato una banda chiamata Sumo. E’ diventato un grande ed é morto alcolizzato.
Oggi in Argentina se dici Luca, pensano Prodan. Adesso lo so e mi sto scaricando la sua musica.
Comunque la cosa bella é la voglia di comunicare del latino che vissuta in contrasto con l’asiatico, fa sempre un certo effetto.

La prima bistecca sottocasa

Esco dall’appartamento, entro in un locale con i tavoli e le sedie di legno e ordino una bistecca.
Mentre aspetto bevo il vino ghiacciato e guardo fuori dalle grandi finestre dove passa Buenos Aires.
La signora col cane, la ragazza col libro, il pensionato con la spesa. Tutti accarezzati dal vento.
Arriva la bistecca, grande e con patatine, e mentre la mangio il cameriere tenta di uccidere una mosca.
Dopo esserci riuscito mi sorride.
Pago, lascio due pesos (50 cent) di mancia.
– “Muy amable”, dice il cameriere.
Esco, contento di poter essere muy amable con 50 centesimi.

Parlando di fumetti con un libraio

Con l’aria di uno zombi che non vuole andare a dormire, ho percorso l’Avenida Corrientes in cerca di un compagno. Non, non sono ancora gay, intendo dire un libro.
Ho scelto Cento Anni di Solitudine che ho letto dieci anni fa in Polonia e che ora vado a leggermi in spagnolo.
Poi ho visto la raccolta completa di Mafalda e ho fatto delle domande.
Il libraio si é acceso e mi ha detto che Quino, l’autore, vive tra Buenos Aires e Milano o Torino.
Gli ho chiesto se Quino fosse dell’Ecuador (bestemmia) e lui mi ha corretto con uno sguardo very proud. No, argentino.
La motivazione del mio errore é imbarazzante: Quito, la capitale dell’Equador e assomiglia a Quino.
Chiari segni di fuso orario.
Poi ho visto la raccolta completa dell’Eternauta, il Guerra e Pace dei fumetti e gli ho fatto delle domande anche su quello. Mi ha guardato come un fratello e mi ha risposto.
Poi sono andato via, troppo stanco per capire.

Il vicino cantante

Un mio vicino di casa canta. Un altro suona il piffero. Il resto del rumore lo fa la strada. I am not alone.
Adesso sono le otto di sera di un giorno non qualunque e tra un pò vado a dormire con Garcìa Marquez.

Il Konex e la night life di Buenos Aires

Ieri ho chiamato Manuel, il ragazzo degli appartamenti, perché dovevamo parlare di una possibile cooperazione.
Mi ha dato appuntamento al Conex, per un concerto di percussioni, e mi sono avviato verso il più strano incontro di affari della mia storia.
Il Conex altro non é che un centro sociale occupato dove girano molte belle figliole, birra e canne.
Mentre mi aggiravo per le orde giovanili in cerca di una serata spensierata, cercavo di non far trasparire dal mio sguardo l’avidità del businessman che va a una riunione di lavoro.
In mezzo alla folla ad un certo punto é spuntato Manuel e siamo andati a prenderci due lattine di birra in un negozio.
C’era gente seduta un pò su tutto il marciapiede.
Poi siamo entrati e ci siamo uniti a dei suoi amici trovati per caso.
Dopo un pò é iniziata la musica. Come potete vedere nella foto (fatta col telefonino), i percussionisti erano su di una specie di palco e noi attorno.
Dato che tutti si erano messi a seguire il ritmo africano, anch’io, dopo un sorso di birra per aiutarmi ho iniziato a fare finta di essere un uomo di ritmo.
Non lo sono, mi serve molta birra per esserlo.
Allora sono andato a comprare ancora.
Poi hanno iniziato a girare delle canne.
A un certo punto uno di loro mi passa una canna che era lunga mezzo millimetro e ho passato, per non bruciarmi le dita.
L’amico, un pò sorpreso e deluso, ha chiesto a Manuel
– “Non fuma il tuo amico?”.
A quel punto ho capito che avevo due scelte:
1) Non fumare ed essere un emarginato a vita.
2) Fumare ed iniziare la discesa nel tunnel della droga.
Ho optato per la seconda. Meglio morire in compagnia che vivere soli.

Con birra e fumo in corpo ero ormai un bahiano e, se non fosse stato per la maglietta dell’esercito thailandese, mi sarei mescolato per bene nella folla.

Una ragazza vicino a noi a un certo punto mi passa una canna. La passo a un altro che la fuma e la ripassa.
Lei dice “passa al tuo amico”. L’amico fuma e gliela ripassa. Le dice “passa all’altro amico”.
Intanto la povera canna stava finendo, per cui le chiedo:
– “Ma tu non fumi?”.
– “Si, si, ma falla girare”.
– “Ma sei amica loro?”.
– “No, non li conosco”.
– “Ah, strano, perché da noi in Italia difficilmente la canna esce dal gruppo”.
– “si, bueno, pero hoy hay buena onda”. (there is a buona atmosfera).
Ok. Que rico. Simpatici questi argentini.

Alla fine del concerto, quando ormai i miei piedi sanguinavano, andiamo alla riunione di affari.
Ormai ero talmente cotto che avrei accettato qualsiasi condizione.
Ci siamo seduti in un ristorante a mangiare delle empanadas e abbiamo concluso un accordo del quale ricordo solo che quelle alla caprese erano buone.

Autore: Luca www.tripluca.com

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