Scoprire il Caucaso in bici

GEORGIA: NELLA PATRIA DI STALIN

Discesa! Le nostre bici seguono velocemente il ritmo delle curve. Pedaliamo seguendo una strada molto dissestata allontanandoci sempre più dal confine turco di Posof. Eccoci finalmente nella tanto attesa Georgia. Il paesaggio che si offre agli occhi di chi viaggia in questa terra rievoca quello delle Alpi Europee. Una terra costellata di paesaggi con cime ammantate di neve, alti monti rivestiti da lussureggianti boschi, colline, fertili pascoli, ricchi corsi d¹acqua, antiche chiese, castelli e torri d¹avvistamento che nel loro insieme costituiscono la grande eredità storica e culturale di questo paese. Le condizioni stradali sono precarie. I buchi nell¹asfalto non si riesce a contarli. Sono troppi e ci obbligano a rallentare per evitarli. Mantenere l¹equilibrio con le borse laterali fissate alla ruota posteriore diventa molto impegnativo. La bicicletta è in ogni caso il mezzo di trasporto ideale per visitare il Caucaso, considerato la scarsità di mezzi pubblici. Il nostro itinerario per giungere a Tiblisi, capitale della Georgia, è suddiviso in sette tappe per un totale di circa 500 chilometri. Il turismo occidentale è pressoché inesistente, sia per le difficoltà che si riscontrano per l¹ottenimento dei visti, sia per le poche infrastrutture turistiche. Durante tutta la nostra permanenza in Georgia ed Armenia, incontriamo solo qualche turista, che per viaggiare utilizza i precari mezzi di trasporto pubblici. Incontri con altri ciclisti non ne sono avvenuti, perciò siamo sempre al centro dell¹attenzione e veniamo additate dalla popolazione locale come delle eroine delle due ruote. È un itinerario facile, amichevole. Per dormire cerchiamo piccole locande, trovando sempre calda ospitalità. Pure una leggenda popolare descrive la generosa accoglienza dei georgiani con i passanti. Quando Dio stava assegnando la terra a tutte le popolazioni del pianeta, loro non si accorsero di nulla. Erano attorno a un tavolo, troppo occupati a bere e mangiare. Ma non si preoccuparono più di quel tanto, anzi invitarono il Signore ad unirsi a loro e continuarono a festeggiare. Dio si trovò talmente bene seduto attorno a quel tavolo che alla fine decise di regalare loro il lembo di terra che aveva riservato per sé. La parte migliore del pianeta. In Georgia, distesa a sud della catena del Caucaso, tra il Mar Caspio e il Mar Nero, con una superficie di 69.700km2, vivono comunità diversissime e religioni contrastanti. La regione, abitata fin dal paleolitico superiore, è considerata la ³culla della civiltà². Alcuni ritrovamenti, risalenti all¹Età della Pietra, dimostrano che queste terre furono tra le prime ad essere popolate sulla terra. Nel corso della storia il paese fu teatro di numerose guerre e dominazioni. Secondo la leggenda del ³Vello d¹Oro², la regione fu colonizzata dapprima dai greci, che una volta raggiunte le coste georgiane, si inoltrarono nel paese risalendo il corso dei fiumi. In seguito fu contesa dai bizantini, persiani ed infine dagli arabi nel VII sec., che la tennero sotto il loro potere per ben quattrocento anni. Dopo avere subito il dominio degli arabi, la Georgia, divenne uno dei più forti stati del Medio Oriente, ma nella seconda metà del XIII, cadde sotto l¹invasione mongola poi alla dominazione ottomana. Nel 1801 fu annessa ai territori russi e nel 1921 fu incorporata nell¹URSS. Solo con il crollo dell¹unione delle repubbliche socialiste la Georgia è divenuta una repubblica indipendente (9 aprile 1991).Sotto la dominazione russa, il paese, oltre a produrre ed elargire energia elettrica per dell¹URSS, era una regione di grandi attrattive turistiche. Oggi i suoi abitanti sopravvivono solo grazie all’agricoltura. Il governo deve combattere non solo con le gravi difficoltà economiche, ma pure per gli alti costi per combattere le divisioni interne che creano gravi problemi d¹instabilità. La Georgia conobbe il cristianesimo con gli apostoli Taddeo e Simone. La regione, pur subendo scorrerie e invasioni, resistette agli assalti dell’islam, rimanendo l’unico paese cristiano insieme all’Armenia. Come testimonianza sono le numerose città sotterranee e i monasteri rupestri sparsi un po¹ ovunque nel paese.

UNA RELIGIOSITA¹ ANTICA CHE VIVE ANCORA OGGI

Di chilometro in chilometro, come pellegrini, c¹immergiamo nell¹affascinante cultura che la Georgia offre al visitatore. Come prima tappa pedaliamo, per circa 70 chilometri, al di fuori della strada principale che porta a Tibilisi. Spesso veniamo fermati dalla polizia nei numerosi posti di blocco lungo la strada o all¹ingresso delle città. Al contrario di altre repubbliche dell¹ex unione sovietica, sperimentiamo la gentilezza di questi uomini in divisa ritenuti dalla popolazione come persone molto corrotte. Lungo il percorso osserviamo la vita contadina, qui pare avere ritmi antichi. La meta scelta è Vardzia, città medievale di tredici piani completamente scavata nella roccia, simbolo culturale della Georgia. Nel corso degli anni, le ripetute scosse sismiche, hanno rivelato chiese affrescate, cappelle sale, appartamenti, tutti collegati da cunicoli bui e tortuosi. Nel 12 secolo, Giorgio III, costruì la sua fortezza in questo luogo, in quanto era a solo dieci chilometri dal confine Turco. In seguito la Regina Tatiana, la prima donna a divenire regina nella Georgia feudale, fece di questa cittadella militare un luogo di culto divenendo una vera e propria città con più di 50 mila abitanti. Tornati ad Akhaltsikhe, nostro punto di partenza iniziale, decidiamo di intraprendere una tortuosa strada di terra battuta che in circa trenta chilometri porta al monastero di Saphara, edificato nel IX secolo. Appena superata la periferia della città i nostri pneumatici lasciano l¹asfalto per inoltrarsi in un sentiero di terra e sassi molto polveroso. Dapprima saliamo tra un impressionante mosaico di coltivazioni poi dopo aver attraversato bei boschi, raggiungiamo il monastero, autentico nido d¹aquila, arroccato sul bordo di un precipizio ed immerso in una fitta foresta di pini. La bellezza di questo luogo della solitudine, lontano dalle tentazioni del mondo, ci ricompensa appieno della lunga e faticosa salita. La fede qui non è un lontano ricordo del passato. Ancora oggi i credenti salgono il sentiero, si affollano all¹interno dell¹eremo, pregano e accendono candele votive che inebriano la mistica atmosfera. Ripresa la strada principale ci fermiamo dopo una cinquantina di chilometri a Borjomi. La cittadina, famosa per le sorgenti minerali e termali, nell¹era sovietica era una rinomata destinazione dei russi che costruirono case ed alberghi, in seguito utilizzati come abitazioni per i rifugiati. Una simpatica escursione su di un piccolo treno che sembra uscito da un negozio di giocattoli, ci porterà dopo 37 chilometri, al pittoresco villaggio di Bakuriani. Ore 6.50 dopo aver caricato le bici, partiamo. I passeggeri, la maggior parte contadini che si recano nei campi di patate situati nei dintorni di Bakuriani, ci sorridono incuriositi. Il trenino, ansimando e sbuffando, s¹ inerpica valle dopo valle, perdendosi fra un¹impenetrabile foresta di conifere, che con il suo verde sgargiante colora i fianchi delle montagne. Dopo un tortuoso ed emozionante tragitto giungiamo alla meta. Recuperate le biciclette, iniziamo la visita della cittadina, adagiata a 1700 metri d¹altitudine. Con le sue montagne rivestite da fitte foreste, il clima temperato, gli impianti sciistici, si ha la sensazione di trovarsi in un ambiente alpino. Dopo un copioso spuntino, con la luce del sole che filtrando tra i rami dei pini accende di un verde incandescente l¹intero bosco, ci sdraiamo ad assaporare questa natura così poco sfruttata dall¹uomo. Nuvole temporalesche incombono sopra le nostre teste. Così nel primo pomeriggio, inforcate le nostre biciclette, iniziamo la lunga e veloce discesa, che ci porterà nuovamente a valle. Ecco che una pioggia fredda e noiosa ci investe. Pedaliamo a fatica, naturalmente, come sempre, con un forte vento contrario. Gli scrosci si trasformano presto in una vera e propria tempesta obbligandoci a cercare un riparo. L¹indomani, seguendo il serpeggiare del fiume, in una stretta valle, lasciamo Borjomi in direzione di Gori. La città natale di Josif Stalin (1879-1953), leader dell¹URSS e uno dei padri del sistema politico sovietico. Un vento ci investe con forza inaudita. Stentiamo a reggerci in equilibrio. Dal terreno il vento solleva mulinelli di polvere. Da un punto di vista tecnico il percorso non presenta particolari difficoltà. Non ci sono grandi salite, ma la striscia asfaltata si srotola in un continuo saliscendi, anche il fondo stradale migliora più ci si avvicina alla capitale. Il problema più grande è dovuto al traffico veicolare che è intensissimo; pauroso per i sorpassi azzardati dei conducenti, irrespirabile e per nulla salutare per gli scarichi d¹auto, autobus e camion; ed infine assordante per il continuo frastuono dei motori e dei clacson suonati all¹impazzata. Pedalare in queste condizioni oltre ad essere molto pericoloso è pure poco divertente. Finalmente nel tardo pomeriggio arriviamo a Gori. Città fondata da Davide, detto il costruttore, grazie alla sua posizione geografica, nel corso dei secoli assunse un¹importanza strategica in quanto edificata su un importante via che collegava la Georgia ai paesi confinanti dell¹Occidente. L¹indomani, consumata velocemente la colazione, riprendiamo i nostri destrieri d¹acciaio riponendo le pesanti borse sul portapacchi. Dopo avere pedalato qualche chilometro, qualche centinaio di metri davanti a me, intravedo due piccoli cani sbucare sulla strada. Lo schiamazzo dei latrati delle due bestie è senza sosta. In men che non si dica si avventano contro la mia compagna di avventura. Per un lungo momento guardo davanti a me senza capire cosa sta per accadere e senza poter intervenire, visto anche la notevole distanza che mi divideva da Miriam. D¹un tratto, il rumore di uno scontro violento fa scappare i due aggressivi animali a quattro zampe. Miriam, nell¹intento di allontanare le due bestie è nel frattempo precipitata di schianto contro il marciapiede. Le ferite riportate nella disastrosa caduta fortunatamente non si rivelano così gravi, così dopo averle medicate ripartiamo con un¹ andatura più lenta. I 96 chilometri per raggiungere la capitale li dividiamo in due tappe per poter sostare almeno un giorno nell¹affascinante cittadina di Mtskheta. La città fu fino al quinto secolo, antica capitale dell¹Iberia (Georgia settentrionale), prima che la capitale si trasferì nell¹odierna Tibilisi. Situata alla confluenza di due fiumi e sul passaggio di antiche vie commerciali, ha avuto un ruolo significante non solo nell¹evoluzione della cultura e l¹arte georgiana, ma pure come primario centro religioso del paese. All¹interno dell¹austera cattedrale Sveti-Tskhoveli la fiamma tremolante delle migliaia di candele accese dai pellegrini, gli arcaici dipinti che ricoprono le pareti, le tuniche nere e un po¹ sgualcite dei pope ortodossi, sprigionano atmosfere d¹altri tempi. Secondo la leggenda, le vesti di Gesù, furono sotterrate a Mtskheta. Nel primo pomeriggio, dopo un copioso pranzo, saltiamo in sella ai nostri mezzi di trasporto a due ruote e affrontiamo gli ultimi 25 chilometri per raggiungere Tibilisi, importante centro economico e culturale, e tappa finale nello stato della Georgia. Una tappa nella cacofonia più assoluta e in un traffico spaventoso. Pedaliamo con fatica, l¹inquinamento insopportabile mettono a dura prova la nostra pazienza. Lo smog emesso dai tuboi di scappamento è sufficiente per irritarci la gola e farci bruciare gli occhi. Fondata probabilmente nel IV secolo a.C., Tbilisi durante il medioevo, è invasa ed assoggettata a numerose dominazioni da parte di bizantini, arabi, persiani, mongoli e turchi selgiuchidi. Città multietnica, di circa 1.500.000 abitanti, da secoli convivono cristiani, ebrei e musulmani. Tibilisi ci appare, come un¹intricata ragnatela di boulevards, alti palazzi moderni, risalenti alla dominazione russa, e antichi quartieri. Le vie e viuzze sono una pubblica attività; la moltitudine di bancarelle sparse un po¹ ovunque rallegrano e animano la vita di questa gente. L¹aroma e la freschezza dei prodotti si mescola con una varietà di colori infinita.

ARMENIA: UN POPOLO MARTIRE

In un minuscolo fazzoletto di paesaggi tormentati e struggenti, segnato da profonde valli, aspre montagne dai dirupi spogli, vulcani spenti, ricoperto di lave, basalti e tufi, si trova, disteso sui Monti Caucasici Minori, l¹Armenia, la più piccola delle ex repubbliche sovietiche e primo stato cristiano del mondo. Ponte tra Oriente ed Occidente, politicamente e storicamente è ancor più tormentato del suo territorio, alla fine del XIX secolo iniziò la repressione del popolo armeno in Turchia. Nel 1985 e 1896 ci furono i primi massacri: il bilancio fu di 300.000 morti. In seguito, il governo turco approfittando del fatto che i paesi occidentali stavano entrando nel primo conflitto mondiale, deportarono tutti gli armeni dell¹Anatolia, trascinandoli nei deserti della Siria dove morirono uccisi dalla fame, dalle epidemie e dai maltrattamenti. Le vittime furono un milione e mezzo, cinquecentomila i dispersi. Con loro scomparvero migliaia di chiese, conventi, scuole, università ma soprattutto la millenaria cultura. Il ³genocidio² del popolo armeno fu ufficialmente riconosciuto nel 1985.Oggi più di tre milioni di armeni vivono fuori dei confini nazionali: negli USA, in Europa e nel Medio Oriente. Terminata la guerra civile russa tra il Caucaso e l¹Anatolia nacque la repubblica armena che nel 1922 aderì all¹Urss. Insieme alla Georgia e l¹ Azerbaigian divenne parte delle repubbliche transcaucasiche. Nel 1991, con la dissoluzione dell¹Urss, si realizza l’antico sogno nazionale: l’indipendenza di Hayastan, la terra degli Armeni. Nel 1988 l’Armenia, il 7 dicembre, alle ore 11,41, un disastroso terremoto d¹inaudita intensità ha scosso il nord della nazione radendo al suolo intere città e villaggi e facendo decine di migliaia di vittime. Numerosi sono i terremoti che colpiscono questa parte del Caucaso. Un¹antica leggenda afferma che il paese è posto fra le corna di un possente toro e perciò trema ogni volta che l¹animale scuote la testa.

ARMENIA STRETTA TRA IL MITO DELL’ARCA DI NOÈ

Le nubi a fine di mattinata si addensano fino ad inghiottire la cima innevata dell¹Ararat. Il cielo si gonfia, diventa nero e una pioggia intensa ci investe. L¹improvviso acquazzone fa rivivere nella nostra mente il mito dell¹arca di Noè. Un tempo, il territorio Armeno, abbracciava un¹area più vasto rispetto dell¹attuale e comprendeva l¹Ararat, il monte sacro e simbolo nazionale del popolo armeno, oggi situato in Turchia. Nella tradizione occidentale, al Diluvio Universale è associata l’immagine dell’Arca. Secondo la Bibbia essa sarebbe approdata sul monte Ararat. Dopo altri cento dieci giorni (totale 150 giorni dall’inizio del diluvio) l’Arca si posò sui monti di Ararat (Genesi 8:5), passano altri 73 giorni (le acque intanto cominciano ad abbassarsi) e Noè vede le cime dei monti (Genesi 8:5). La ricerca della prova storica della narrazione biblica iniziò già nel medioevo. La leggenda fa risalire a Noè l’origine del popolo armeno, sembra che solo nel sec. VI a.C. gli Armeni si siano costituiti come popolo intorno al monte Ararat, nelle scoscese catene del Caucaso. L’Armeno è un popolo venuto dalla fusione degli abitanti dell’antico regno di Urartu con tribù indoeuropee venute dalla Frigia. Arrat, in turco Agri Dagi, è il nome delle due montagne, Piccolo Ararat (3,925 m) e il Grande Ararat (5,165 m), collocato in Anatolia orientale, al confine con l¹Iran e l¹Armenia. All¹improvviso la pioggia si placa: lo spettacolo che si presenta davanti ai nostri occhi è di una bellezza incomparabile. Sciabolate di luce, come un potente riflettore, oltrepassano la fitta coltre di nubi creando uno struggente arcobaleno.

SULLE TRACCE DELLA BIBBIA

Nel IV secolo d.C. l¹Armenia divenne il primo paese al mondo a proclamare il Cristianesimo religione di Stato, distinguendosi da quella cristiano-ortodossa. Il cristianesimo, da religione si trasformò in cultura. La nostra biciclettata sarà suddivisa a brevi tappe, con un chilometraggio ridotto, per consentire una visita approfondita delle numerose ricchezze storiche e culturali di questo straordinario paese. Pedaliamo sempre su di un ottimo fondo stradale, in un continuo saliscendi. Unici problemi durante la biciclettata sono la moltitudine di vetri di bottiglie disseminati lungo la carreggiata, ma riusciamo sempre ad evitarli così da non forare neppure una volta durante tutta la nostra permanenza in Caucaso. Anche l¹onnipresente vento, che in tarda mattinata, si trasforma da leggera brezza a raffiche di forte intensità, non ci concede un giorno di tregua lasciandoci a fine giornata molto spesso spossati e disidratati. Ogni giorno la nostra esperienza ciclistica è arricchita dal contatto con la popolazione. Ovunque veniamo invitati per una sosta, che si tramuta spesso e volentieri ad un invito per un barbecue. Sulla tavola imbandita gustiamo i piatti tipici armeni: lo shashlyk ovvero degli spiedini d¹agnello o pollo, il lavash, una sorta di piadina insipida, i dolma che consistono in pallottole di riso e uvette avvolte in una foglia d¹uva, melanzane con uno squisito ripieno di noci tritate, patate, peperoni grigliati, il tutto sarà bagnato dalla vodka, che a queste latitudini scorre a fiumi. Lasciata Yeravan, capitale e centro economico dell¹Armenia iniziamo il nostro viaggio. Un itinerario fuori del tempo alla scoperta delle centinaia di chiese, conventi e monasteri fortificati che erano a loro tempo centri sociali, università e rifugi. Ad Echmiadzin, città santa e Vaticano del popolo armeno, la cattedrale (IV-XIX secolo) fu costruita da Gregorio, l¹Illuminatore, sopra un antico tempio del fuoco. Oggi residenza del Patriarca-Catholicos, guida spirituale della chiesa apostolica armena. I monasteri di S.Hripsime e S.Gayane, entrambi risalenti al VII secolo, dedicati a due vergini cristiane martirizzate dal re Tiridate III alla fine del III secolo. Il convento fortificato di Khor Virap (fosse profonda, VII-XVIII sec.), famoso luogo di pellegrinaggio, da dove si può godere una superba vista sull¹imponente Ararat. Re Tiridate, nel XIII secolo, per evitare la cristianizzazione dell¹Armenia imprigionò Santo Gregorio in una fossa scavata sotto la terra. Attorno alla prigione è stato eretto il monastero. Liberato dallo stesso re dopo 13 anni, S. Gregorio battezzò la famiglia reale che proclamò nel 301 la conversione dell¹Armenia al cristianesimo. Proseguiamo il nostro vagabondare raggiungendo la regione di Ashtarak, uno dei più antichi insediamenti umani nella valle dell¹Ararat. Da qui, arrancando faticosamente una ripida strada raggiungiamo la cittadina di Byourakan. Trasportare il bagaglio in ripide salite è un lavoraccio, ti lascia le gambe doloranti e la mente che ripete all¹infinito il monologo della fatica: Ma cosa mi è venuto in mente di riempire così tanto le borse! Ma perché le cose più interessanti si trovano sempre in cima ad una faticosa salita! Ma non potevo continuare a navigare attraverso il Caucaso virtualmente! zitta! vai avanti, non hai scelta. Ma perchè non passa neanche una vettura? ²La città ha una certa importanza non solo per i suoi monumenti storici e la fortezza di Amberd, ma anche per la presenza dell¹Istituto di Astrofisica e del centro internazionale di ricerche spaziali. Lasciando la strada asfaltata, imboccando soltanto stradine minori appena leggibili sulle mappe geografiche, si ha la sensazione di scoprire luoghi meravigliosi ed incontaminati In una splendida giornata, pedalata dopo pedalata, su un¹interminabile salita raggiungiamo la fortezza medievale di Amberd (X-XIII secolo). Situata a 2300 metri d¹altitudine, in un quadro selvaggio di austera bellezza, ai piedi del monte Aragats, questo baluardo costituiva un importante anello nel sistema di difesa contro I Turchi. La chiesa dell¹XI secolo è la parte meglio conservata dell¹intera fortezza. Dopo una notte insonne, a causa delle zanzare e di altri piccoli insetti che abitano perennemente nei materassi, lasciamo Byourakan. L¹interminabile prurito non accenna a diminuire, questo massacro notturno ci ha riduce ad un colabrodo. Mentre Miriam riesce a trattenersi dal grattarsi io utilizzo oltre le mani qualsiasi oggetto che mi capita a tiro. Ogni parte del mio corpo è a sangue. L¹insieme architettonico greco-romano di Garnì (I sec.), comprende un tempio pagano dedicato al sole, di stile ellenistico, e il palazzo reale con i bagni, dove s¹ intravede ancora il pavimento a mosaico rosa e verde di pregevole fattura. Proseguendo tra uno scenario di montagne aride e selvagge, a picco sulla profonda valle del fiume Arat, ci troviamo dinnanzi ad un vero gioiello architettonico: il monastero troglodita di Geghard (VII, XI-XII sec.), parzialmente scavato nella roccia. Secondo la tradizione qui è conservata la lancia (gheghard in armeno) che trafisse il costato di Cristo. Un po¹ ovunque si trova tipica espressione dell¹arte decorativa armena: i steli tombali (khachk¹a)r, lastra di pietra posta verticalmente ad incastro in una base di tufo e poi decorata da una croce scolpita nella pietra ed incorniciata da arabeschi a motivi naturalistici. Ecco il lago di Sevan, a 63 chilometri da Yeravan, situato a 2000 metri di altitudine, con le sue acque scintillanti, color turchese, è una vera e propria perla dell¹Armenia. Visitiamo le chiese de SS.Apostoli e della S.Madre di Dio (IX sec.), situate su di una penisola rocciosa che penetra nel lago. Mentre ci apprestiamo ad uscire dalla seconda chiesetta, odiamo il suono di un canto profondo e sonoro, giungere dall¹interno. Rientriamo e ci sediamo in silenzio. Un ragazzo, con lo sguardo fiero, intona antichi canti ecclesiastici. Il canto si fa più forte e vibrante, come a voler testimoniare il profondo senso della tradizione e dell¹identità nazionale, di un popolo unito nelle loro disgrazie, di là dalle frontiere legato dalla comune religione dall¹amore per il canto, le leggende, i costumi e l¹arte, di cui chiese e monasteri sono preziose testimonianze.

AUTORE: Alessaandra Meniconzi

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